Tragedia Greca

 

LA TRAGEDIA GRECA

 

La tragedia Greca è riportata in opere di teatro, opere liriche e opere cinematografiche tutte rifacentesi a temi trattati dalle tragedie greche.

Non solo la cultura, ma anche le nostre emozioni hanno radici nell’antica Grecia.

Difatti,  nelle tragedie antiche si osservano  quasi tutte le problematiche emozionali e morali che fanno parte del nostro attuale patrimonio psicologico.

Il termine traghikos, spaventoso, orribile, mette a fuoco l’inestricabile groviglio in cui l’uomo precipita soggiacendo al proprio destino o travolto dalle proprie passioni. I protagonisti della tragedia sprofondano nel baratro brutale segnato dal loro destino umano.

La critica ha focalizzato più la bellezza estetica, l’eleganza della poetica classica, e la drammaticità degli avvenimenti, ma non sempre ha analizzare in maniera appropriata la psicopatologia  della mitologia antica.

Eppure la tragedia greca è espressione della psicopatologia umana, e  induce a riflettere su alcuni passaggi psicologici inquietanti, che scavano nelle tenebre delle contraddizioni dell’animo,  e mostrano una materia così conturbante da potere essere interpretata in lettura psichiatrica.

L’ineluttabile finitezza del destino individuale, rilevato dalla filosofica greca, metteva in luce il senso d’insicurezza della gente. Nelle  tragedie è chiaro  il fallimento e la fragilità dell’uomo,  in balia del fato e della sua essenza mortale.

I greci turbati da questi problemi, trovavano così  nel palcoscenico le ossessioni e le situazioni irrazionali e paranoiche nelle quali navigavano quotidianamente le loro menti. Le tragedie allora avevano un effetto catartico.

Discussi questi temi col professore Rapisarda il quale mi spinse a fare il documentario che venne poi presentato al convegno “Teatro e psicopatologia” svoltosi a Siracusa nel maggio del 2000.

La tragedia ellenica può essere dunque considerata  il paradigma dell’angoscia esistenziale:  Medea, Edipo, Aiace, Elettra, Antigone, Oreste sono emblematici esempi di psicopatologie. 

Edipo è il classico dramma della fatalità alla quale l’essere umano non può sottrarsi e della quale fatalità alla fine è costretto a sopportare le tragiche conseguenze.

Elettra e Oreste, figli di Clitennestra e di Agamennone,  capo della spedizione contro Troia, odiano la madre perché ha ucciso il loro genitore, Agamennone.

Accade che Clitennestra, in assenza del marito, si è legata  ad Egisto, ed Elettra e Oreste vendicano l’assassinio del padre e pongono fine “alla vergogna dell’adulterio” materno. 

Clitennestra, a sua volta ha ucciso il marito  per punirlo  di avere  fatto sopprimere la figlia Ifigenia, sacrificandola al dio per vincere la guerra. Elettra e Oreste raffigurano l’atroce necessità, fatta di eventi terribili,  che fa precipitare i protagonisti in orribili  delitti e in drammi a fosche tinte. Tutti questi personaggi lottano invano contro il fato. Ma irragionevole, d’altronde, se non folle, è,  in un certo senso, anche  la cecità affettiva e morale che spinge Elettra e Oreste a vendicare l’assassinio di quell’Agamennone che a sua volta era reo di avere ordinato l’uccisione di Ifigenia!

Quando ero ragazzo, la tragedia di Medea mi era apparsa una forzatura: una madre che, tradita dall’uomo che ama, uccide i propri figli per vendicarsi del traditore e per procurargli un dolore.

In seguito, purtroppo vari episodi riferiti dalle cronache attuali mi hanno fatto ricredere sulla supposta “inattualità di Medea”

E anche il tema dell’Antigone, può apparire sorpassato ( come si sa Antigone ha dato sepoltura al fratello Polinice morto combattendo per una idea che egli riteneva giusta, contro la propria patria e contro il proprio fratello Eteocle.) e tuttavia, invece è attuale: Antigone rappresenta  la pietas umana, che, al cospetto della morte, va al di là delle diatribe umane. La morte, dovrebbe cancellare gli odi, le posizioni politiche. Creonte, il capo del governo, invece non è di questo parere: anche dopo che “il traditore” Polinice è morto vuole ancora vendetta contro di lui.

La grandezza di questa tragedia sta proprio nel ripristinare valori trascendenti e nel combattere  faziose scelte politiche.

Tanto per dire l’attualità della tragedia: si può osservare proprio anche qualche fatto banale, la filosofia della croce rossa, e quella delle assistenze umanitarie prendono spunto da queste osservazioni di Antigone. 

La Baccanti toccano un altro tema  sociale interessante. La tragedia ha vari piani di lettura: può essere interpretata come la lotta tra il bene e il male. Il male in questo caso è rappresentato dalle sfrenatezze dei culti orgiastici di Dionisio e il bene da Penteo, che impresola la ragione, e che si oppone ai cittadini che si danno alla pazza gioia.  Ma Penteo, creatura umana non può che essere travolto dalla volontà del dio.

Potrebbe esserci un’altra interpretazione degli avvenimenti, ed  allora la tragedia Le Baccanti può  essere vista come un’opera che mette in luce la punizione del dio Dionisio, contro la superbia umana che si vuole opporre alla filosofica della divinità. 

Ma se lo spirito delle opere greche lo si ritrova nella nostra attualità un problema di carattere letterario è come salvare le sfumature di linguaggio nella traduzione contestuale dal greco che si pone a proposito della messa in scena delle tragedie.  È anche capire i veri significati e i veri valori degli dei venerati nella Grecia

Ne ho parlato col regista Maccarinelli, dal quale così potremo avere delle indicazioni in merito.

Tanto per curiosità, c’è da dire che la pato-mitologia, le stranezze e le incongruenze narrate dai tragici greci, non sfuggirono a Platone, il quale fu del parere che le tragedie non dovessero essere rappresentate di frequente, perché potevano nuocere alla sanità mentale della popolazione.

Un allievo di Platone, Polemone, spinse il concetto alle estreme conseguenze e invitò i propri allievi ad assistere alle rappresentazioni tragiche praticando una sorta di autocontrollo, per rimanere  distaccati dal pathos che da esse emanava, onde evitare di esserne coinvolti e magari “resi peggiori” dallo spettacolo.

In seguito Platone, cambiando parere,  convenne che la moralità non ha nulla a che vedere con l’arte.