SENZA AMICIZIA, SOLITUDINE NELLA COPPIA
Affermava lo psicologo Alfred Adler che «l’individuo che non s’interessa dei suoi simili incontra nella vita numerose difficoltà,ed è anche colui che maggiormente fallisce».
Se questo è vero in generale, è oltremodo determinante nei rapporti tra partner. E tuttavia, spesso molti di coloro che si proclamano innamorati, non curano l’amicizia con la persona amata: «Ci amiamo. Che bisogno c’è di essere “anche” amici?». Le coppie spesso stabiliscono rapporti “momentanei”, fragili, occasionali, senza dialogo. Paradossalmente, in un’epoca di grandi comunicazioni, molti partner stentano a scambiarsi confidenze e non riescono a migliorare la loro reciproca comprensione. Partner assieme da venti e più anni non si sono mai parlati “veramente”, e hanno scambiato solo frasi di circostanza, determinate da esigenze pratiche, da contingenze momentanee. Mai una parola che chiarisca la base del loro legame, mai una partecipazione al mondo dell’altro. Secondo un vecchio luogo comune l’amicizia tra uomo e donna è di secondaria importanza. Anzi, non può esistere. Si ignora così che è proprio l’amicizia a produrre l’armonia nella relazione, che smussa le differenze.
L’atavica incomunicabilità tra universo maschile e quello femminile dipende dalla riluttanza che uomini e donne hanno ad aprirsi a confidenze reciproche. Si tratta di una idiosincrasia che non fa solidificare i rapporti tra i sessi.
Anche ai nostri giorni non è infrequente, nelle riunioni miste, vedere che gli uomini si aggregano fra loro per parlare di sport o di politica, e le donne fanno comunella per discutere i propri problemi. I due mondi rimangono scissi per mancanza di una cultura all’amicizia tra i sessi.
L’amicizia tra partner comporta vantaggi, stimola alla stessa sintonia, fa viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda. Amicizia è interessarsi a ciò che sta a cuore all’altro, saperlo ascoltare e venirgli incontro. È comprendere la sensibilità del partner, non offendere i suoi gusti, dimostrare di gradire il tempo passato in sua compagnia. È saper apprezzare il partner, essere disposti a qualche sacrificio per fargli piacere; è rendergli attraente il tempo trascorso assieme.
Purtroppo però, a volte, il concetto d’amicizia è frainteso e così, equivocando sul “potere” di questo sentimento, c’è chi pretende che il partner sia sempre disponibile e ciò anche senza mostrargli mai gratitudine. Il peggior modo di stare assieme è considerare il rapporto di coppia una sorta di pattumiera nella quale scaricare gli aspetti meno opportuni del proprio carattere. C’è infatti chi utilizza l’unione di coppia per brontolare, rimproverare e recriminare, o magari per sottolineare i difetti dell’altro. Denigrare il proprio compagno/ compagna, non accettare mai il suo punto di vista, mettersi in concorrenza con lui, fondare la propria autostima sminuendo il suo valore, non apprezzare mai qualunque cosa faccia è il peggior modo di stare in coppia.
Soddisfare il proprio narcisismo e rinforzare la propria autostima traballante sulla pelle del partner è un’operazione infantile e pericolosa per la vita assieme.
Quando il flirt nasce dall’attrazione sessuale: in questi casi l’unione vive male se i due non sviluppano anche con gusti, desideri e aspirazioni “compatibili”, e se si basano solo sull’ esteriorità, senza svelarsi mai “l’interno”. C’è chi mantiene “sotto controllo” la propria trasparenza interiore, ritenendo che l’amicizia con l’altro sesso non sia possibile. Se questo accade, la coppia è costruita su due solitudini: quella della donna e quella dell’uomo, e la solitudine non aiuta a fronteggiare le incomprensioni e i disagi della vita di coppia, anzi comporta incomprensioni, reciproche accuse, e forti delusioni.
Prototipo dell’amore-amicizia fu il rapporto che legò il filosofo Abelardo ad Eloisa. Le lettere che i due si scambiarono testimoniano quanto profondo e intellettualmente affiatato fosse il loro legame. Una grande amicizia e un grande amore legarono Boris Pasternák., reduce da diverse esperienze, a Olga Ivinskaja, più giovane di lui di trenta anni. La “miracolosa presenza” di Olga lo rinnovò e gli ispirò il personaggio di Lara, figura principale del romanzo Il dottor Zivago. La Ivinskaja fu vicina a Boris anche quando il PCUS gli impose di allinearsi alle direttive del partito: «l’unica consolazione mi viene dall’amore e dall’amicizia per una donna» ebbe a dire lo scrittore.
Altro grande amore-amicizia fu quello che si instaurò tra Corrado Alvaro e sua moglie, Laura Babini, che lo aiutò nei momenti più tristi della vita. «La mia migliore amica» disse di lei Corrado. L’amicizia e l’amore tra lo scrittore tedesco Hans Fallada e Anna fu come lo stesso Hans ebbe a dire « uno di quei rapporti che salvano dalla catastrofe esistenziale e che risolvono l’agonia di una vita». Lo scrittore narrò la storia di quel ménage e di “quell’amicizia” nel romanzo E adesso pover’uomo?, venduto in milioni di copie e tradotto in venti lingue.
Quando Yann Andréa Lemmée lesse il primo libro di Marguerite Duras aveva vent’anni e lei ne aveva sessantuno. Per cinque anni il giovane scrisse una infinità di lettere alla donna che lo aveva stregato e affascinato con le sue idee e le sue opere. Alla fine Marguerite conquistata dall’amicizia di quel fan lo invitò a casa sua. Da quel momento i due vissero assieme. Lui scrisse la biografia della Duras, e la loro fu una simbiosi “amicale”, che durò sedici anni, cioè fino alla morte della scrittrice. Andréa dopo il lutto non volle più stare con nessuno e scrisse un secondo libro biografico sul rapporto “sintonico” con quella donna che aveva cambiato la sua vita.
Grande amica e consigliera di Enrico II di Francia , oltre che amante, fu l’onnipresente e onnipotente Diana di Poitiers. Come sarebbe stata la conduzione di quella nazione, senza gli interventi di quella donna? I duchi di Guisa sarebbero potuti diventare tanto potenti senza il suo intervento? Quali sarebbero stati i rapporti tra Francia e Inghilterra, senza i consigli di Diana “al suo re”? Per ragioni di etichetta Enrico la chiamava “madame” e lei “sire”. Ma la loro conversazione aveva il tono di una reciproca amicizia.
Il buon rapporto di coppia si instaura in maniera lenta e complessa. Senza sincera amicizia la relazione manifesta prima o poi la sua instabilità; il rapporto va in brandelli e i lacci oppressivi creano una dolorosa insopprimibile realtà in comune.
L’amicizia tuttavia non è garanzia di durata dell’amore (i campi dell’amicizia e quelli dell’amore sono diversi) ma è una premessa che evita, se la passione finisce, l’accanimento e il malanimo durante la separazione.
E non è poco che, quando il sentimento finisce, se l’amicizia perdura, grazie ad essa i due partner possano civilmente restare collegati.
L’AMORE NELLA DINAMICA DI COPPIA
L’amore è tra le situazioni più complesse della vita. Gli innamorati mostrano un assorbimento completo dell’attenzione l’un l’altro, tanto che, quando flirtano, è evidente la mancanza del loro coinvolgimento e del loro interesse nei confronti delle altre persone e dei fatti che accadono attorno a loro. Questa intensa attrazione che lega l’un l’altro gli innamorati alimenta in loro la convinzione che l’amore possa isolarli dal resto della vita. Tuttavia, se si guarda la storia dell’umanità la convinzione che un’altra persona mediante l’amore possa soddisfare la maggior parte dei nostri bisogni ha una base culturale abbastanza recente. Questo sentimento così articolato era sconosciuto a Greci e Latini, ed è stato ignorato per tanto tempo dai popoli dell’estremo Oriente, dagli antichi Cinesi e dai Giapponesi. La tipologia affettiva, che esalta il sentimento d’amore come la sublimità più auspicabile, è stata introdotta dalla cultura occidentale, che ha educato le masse a ritenere l’innamoramento l’elemento fondamentale della vita di un individuo. Basta leggere qualche romanzo per rendersi conto di come la letteratura abbia alimentato questo sentimento nei suoi vari aspetti tra i partner.
L’amore, lungi dall’essere un comportamento che si realizza nella stessa misura per tutti, ha invece una variegata serie di forme e di sfumature. Vi sono amori che cominciano con una prepotente attrazione fisica, e altri che cominciano con una amicizia o per ammirazione. Amori ossessivi complicati dalla gelosia, dall’egocentrismo e dal narcisismo, e amori composti e tranquilli grazie a un forte self control.
L’amore che si sviluppa a prima vista è una circostanza che rischia di far scegliere compagni sbagliati. Speso finisce quando i partner pronunziano frasi come “non avevo capito che lui/lei fosse così” e in queste circostanze non resta alcun tipo di legame.
In quanto all’amore pragmatico o razionale, questo è un rapporto basato sull’amicizia, ma manca di una forti spinte passionali. Vi sono partner che si comportano come se amarsi fosse un dovere e considerano l’amore una specie di obbligo per venire incontro ai bisogni dell’altro. Un caso emblematico al riguardo è rappresentato dall’amore che legò Clara Wieck a Robert Schumann. La signora Schumann, concertista di primo piano, fu una consorte affettuosa che aiutò tutta la vita il marito, egocentrico e bisognoso di attenzioni e puntelli psicologici, rinunziando spesso, “per senso del dovere”, alle proprie necessità e alla propria carriera.
L’amore solamente erotico, invece, è fatto di puro edonismo ludico, ed è profondamente incentrato sulla bellezza e sull’avvenenza. Ma quando l’attrazione fisica viene meno i due partner smettono di stare assieme senza troppo drammi. Un esempio è dato dalla passione violenta che colse D’Annunzio per la Duse, e dall’altrettanta indifferenza dimostrata dal Vate per quella donna, quando la sua passione scemò.
Ci sono coppie che attribuiscono la massima importanza alla attività svolte assieme vedi il caso di Simone de Beauvor e Jean P. Sartre, di Bertrand Russell e sua moglie Dora, e altre che ritengono che l’amore sia soprattutto desiderarsi carnalmente, come evidenzia la passione che travolse la scrittrice Anaïs Nin ed Herry Miller. Vi sono invece amori puramente sentimentali al pari di quello che legò Luigi Pirandello a Marta Abba in cui mancava o quasi il requisito della passione sensuale e dell’eros.
L’amore-attaccamento è la forma più esasperata di ritorno all’infanzia. Si tratta di una variazione delle esperienze particolarmente ansiose della perdita dell’oggetto d’amore, frequente nei primi anni della vita e che viene proiettato, in seguito, da alcuni adulti, nel rapporto di coppia. Chi vive di amore-attaccamento sollecita continuamente nel partner sicurezza e dedizione; vuole essere tranquillizzato, vuole essere accudito, e presenta una grande fragilità in caso d’abbandono. È questo il caso in cui si osservano le più potenti reazioni emotive quando il rapporto finisce, perché si ricreano le situazioni della angoscia di separazione tipiche dell’infanzia. Un esempio di questo legame lo da il rapporto affettivo che unì il pittore Marc Chagall alla bella Susy Rosenfeld, compagna e ispiratrice di ogni azione della sua vita, tanto che, quando ella morì, Chagall cadde nella più cupa disperazione e tentò anche il suicidio. Chagall affermava che i drammi della sua vita erano stati, quando era bambino, la separazione dalla madre, e da adulto la perdita della donna amata.
In quanto all’infatuazione, essa si manifesta come passione incontenibile per una persona idealizzata e mai vista com’è nella realtà. Al pari dell’amore a prima vista, l’infatuazione, proprio perché inebria e fa perdere il senso della realtà, è piena di pericoli perché è un rapporto nevrotizzante, che finisce per inghiottire tempo, energie, sogni, e che prima o poi fa cadere nella disillusione e nella frustrazione. Per guarire da questa forma di coinvolgimento tanto pericolosa, bisogna conoscere realisticamente la persona oggetto dell’infatuazione cosa che nove volte su dieci pone termine alla idealizzazione. L’infatuazione è un sentimento “superficiale”, perché non si basa su una conoscenza vera della persona amata, ma su una esaltazione della fantasia. Il poeta William Butler Yeats sognò sempre una notte d’amore con la scrittrice Maud Gonne che aveva immaginato essere la sua donna ideale. Quando, alla fine, la Gonne, dopo la lunga e assillante corte di Yeats gli si concesse, il poeta, “trovando che la Maud reale non era come egli aveva immaginato” ebbe una disastrosa defaillance.
Il poeta Montale amò e desiderò senza riuscire mai ad avvicinare, Dora Markus, un’ebrea viennese della quale s’era infatuato avendola vista in una fotografia assieme al critico letterario Bobi Balzen. Secondo alcuni, però, Eugenio Montale si sarebbe inventata l’esistenza di Dora, per poterla cantare come musa ispiratrice. Montale s’infatuava facilmente e s’innamorò di una donna, appena conosciuta, l’austriaca Gerti Frankl Tolazzi, che gli ispirò la lirica Il carnevale di Gerti e che il poeta incontrò una sola volta, a casa del critico Matteo Marangoni, ma preferì “ricordarla con la fantasia” piuttosto che legarsi a lei.
L’infatuazione è il mal d’amore tipico degli adolescenti, che “prendono la cotta“ per una star del cinema o della canzone, in ogni caso per una personalità che primeggia nel firmamento dello spettacolo o della musica. I fan sono capaci di fare qualsiasi cosa per andare a letto col proprio idolo. A volte alcuni divi hanno trovato nelle camere da letto, nascosti tra le lenzuola, fan decisi a tutto, pur di fare all’amore con il loro idolo. Le star più gettonate sono ossessionate dalle avance dei sostenitori più agguerriti, che in alcuni casi diventano una pericolosa insidia. Ma senza arrivare a questi eccessi, non è insolito che allievi adolescenti si infatuino di quei docenti che hanno più carisma e che sono particolarmente accattivanti. Agli inizi del Novecento era questo un caso classico; oggi, con la libertà sessuale raggiunta, i giovani dedicano invece le loro attenzioni più ai coetanei.
Secondo i biochimici, l’amore provoca un senso di benessere paragonabile all’effetto endorfina, e il potenziamento dell’amore, su base romantica, sarebbe dovuto a una sostanza la feniletilamina, che però crea l’effetto “dipendenza”, tipica di chi è innamorato. La crisi che segue alla separazione, dopo la fine di un amore, sempre secondo i biochimici, è molto simile a quella causata dalla sospensione delle anfetamine. L’amore, insomma, sarebbe legato a reazioni chimiche, e le varie esperienze che esso provoca, senso di dolcezza, ottundimento o esaltazione dei sensi, estasi, passione, sono molto simili a quelle provocate da droghe come l’oppio, la morfina, la cocaina, i barbiturici, la marijuana e l’alcool. Per alcuni ricercatori come Liebowitz e Kaplan, l’amore è regolato soprattutto dal testosterone, dalla dopamina, e dalla noradrenalina, che fanno da afrodisiaci e da stimolanti per la passione.
Insomma, non è solo la letteratura che esalta l’amore, ma anche le sostanze chimiche sarebbero “responsabili” di questo travolgente sentimento, che però per certi versi è pericoloso e problematico.
Come dire che chi è innamorato lo è perché sotto l’effetto di una serie di droghe, chimiche, psicologiche e sociali. Ma andate a farlo capire agli innamorati…
Caratterologia nella relazione di coppia
PARTNER GREGARI E PARTNER PREVALENTI
Nel ‘700, il narratore veneto Carlo Gozzi asseriva che le situazioni della commedia umana si possono raggruppare in alcuni schemi tipici. Affermazione che ha un fondo di ragione, se si considera che le vicende narrate dalla letteratura si riassumono in alcune figure psicologiche, così come è possibile sintetizzare in poche tipologie i rapporti di coppia.
Afferma lo psicoanalista Binswanger che, se c’è pur sempre un margine di libertà, tuttavia vi sono alcuni “schemi di lettura ” che servono a decifrare il significato dei comportamenti umani. Questo aiuta a individuare la caratterologia dei partner e il tipo di relazione.
Un carattere tipico è quello del partner gregario, persona incapace di vivere da sola, piscodipendente, e sicura solo quando ha accanto un compagno dominante. Per questo motivo, il partner gregario è disposto a qualsiasi sacrificio pur di mantenere il legame. A causa dell’educazione ricevuta, spesso, ma non sempre, sono le donne ad essere partner gregarie. Se il gregario è un maschio, vuole essere accudito e coccolato e, in qualche caso, per raggiungere lo scopo si mostra incapace e vittima.
I gregari, sia maschi che femmine, soffrono di insufficiente autostima; paradossalmente, però, utilizzano il loro istinto gregario per “strumentalizzare” gli altri ai propri bisogni.
Partner gregario fu Emilio Salgari. A causa di un’infanzia solitaria, Salgari considerava le donne “dee irraggiungibili, avvolte da una luce abbagliante, creature magnifiche e bellissime”, ma anche esseri superiori. Dopo avere sposato la Peruzzi, Salgari riuscì meglio a fronteggiare il bisogno d’essere accudito. Ma quando venne a mancargli la moglie, immaginando di restare senza sostegno, sconvolto dalla depressione, pose fine ai suoi giorni.
Il partner prevalente invece, è dotato di una personalità che tende a sottomettere, se non addirittura a rendere succube l’altro. Nella coppia, si potrebbe supporre che siano più gli uomini ad essere prevalenti, ma non è affatto così: molte donne assumono un ruolo materno e un atteggiamento dirigenziale.
Una unione tra maschio prevalente e una gregaria fu quella tra James Joyce e Nora Barnacle. Nora amò con passione lo scrittore, mentre egli si mostrava infastidito dalla sua compagna che, addirittura, definiva persona “incolta”. Joyce sperava di fare un buon matrimonio con una donna ricca, ma non avendo trovato la persona adatta, dopo ventisette anni, finì con lo sposare la devota Nora che gli era rimasta legata malgrado i profondi dissapori e il disprezzo che lo scrittore le aveva mostrato.
Quando è la donna a prevalere, a volte il suo atteggiamento dipende da una inconscio risentimento verso il mondo maschile, rancore che fa scattare il vittimismo del compagno gregario e che origina un ménage sadomaso.
Di questo tipo fu la coppia Abramo Lincoln e Mary Todd. Lincoln, fu per tutta la vita sottomesso alla moglie, donna autoritaria e violenta, tant’è che il poveretto preferiva non rincasare e dormire in ufficio. Ma l’assenza di Lincoln aumentava la rabbia della donna che se la prendeva con i figli, con la servitù e anche con i fornitori. Il presidente, di conseguenza, ebbe del matrimonio una pessima opinione tant’è che, quando, durante la Guerra di Secessione, un giovane soldato venne accusato di diserzione e il comandante del reggimento chiese a Lincoln di dargli una punizione esemplare, il futuro presidente, saputo che il giovane aveva tentato la fuga per andarsi a sposare, non lo fece fucilare: anzi, gli concesse la grazia a patto che si sposasse subito.
«Ecco – commentò Lincoln – costui presto si pentirà di non essere stato giustiziato».
Anche la pedagogista Maria Montessori fu sottomessa al collega Giuseppe Montesano, col quale aveva una relazione dalla quale era nato un figlio. Dopo il parto, il Montesano, che era il prevalente della coppia, impose a Maria d’abbandonare la creatura in un brefotrofio “per non incorrere in uno scandalo”.
Carattere prevalente fu quello di Bertold Brecht, soprannominato “bel tenebroso” perché il suo fascino e la sua accattivante filosofia immorale, facevano andare in tilt le donne. Brecht, fu un manipolatore di coscienze femminili. Tra le sue “vittime” vi fu Ruth Berlau, che finì alcolizzata. Partner prevalente fu Ernest Hemingway, che si mostrava macho per celare le proprie carenze affettive e le proprie insicurezze.
Carattere prevalente fu anche quello di Italo Svevo. Così egli scrisse alla fidanzata: «Ti sento più che mai mia preda…». E in un’altra lettera inviata a Livia Veneziani, sua promessa sposa, così si espresse: «Com’è cosa bella la violenza in amore. Sai perché mi piace che tu sfuggi? Perché tu non ne vuoi sapere e mi tocca farti violenza».
Prevalente fu la moglie di John Lennon, Yoko Ono, la quale teneva saldamente in pugno il marito e lo costringeva a fare quello che lei voleva. Lei imponeva a John prescrizioni scaramantiche cervellotiche e lunghe astinenze di cibo e sessuali perché, secondo Yoko, il sacrificio e l’astensione dai piaceri lo avrebbero condotto al nirvana e alla chiaroveggenza.
Lennon sopportava senza ribellarsi quelle restrizioni, per un certa passività psicologica. La moglie, per “purificargli la carne”, lo costringeva a guardare la televisione senza l’audio e lo obbligava a non profferire parola per settimane, e lo faceva rimanere a letto per non violare la consegna del silenzio.
La coppia paritetica, invece, è formata da partner che non si prevaricano e non mostrano troppe debolezze emotive. Nei partner paritetici prevale l’equilibrio. In questo genere di legame v’è reciproca amicizia e collaborazione e nessuno dei due sopporta l’invadenza dell’altro, sicché ragionevolezza e discrezione sono alla base di questo rapporto.
I paritetici si comportano senza tirannie; non sono né feticisticamente legati tra loro, né pretendono di avere ruoli protettivi, o atteggiamenti invadenti. Essi sono in grado di vivere la loro stagione amorosa senza sognare improbabili perfezioni, ed utilizzano invece il buon senso.
Paritetiche furono, per citare qualche esempio, le relazioni di Jean P. Sartre con Simone de Beauvoir, il matrimonio dei coniugi Pierre e Marie Curie, le unioni tra Albert Schweitzer e sua moglie Helene Bresslau; tra Cesare Beccaria e Teresa Blasco, tra Bertrand Roussell e Lady Ottoline, e quella della coppia omosessuale Jean Marais e Jean Cocteau.
Il personaggio di Mirandolina, protagonista de La Locandiera di Goldoni e della commedia del tedesco Carlo Blum, che si titola Mirandolina, definisce i lineamenti psicologici della partner paritetica: essa è una donna che, con garbo, determinazione e astuzia si fa valere.
Questa “maschera” rappresenta la libertà dell’irriverenza nei confronti dei luoghi comuni, la parità tra i sessi, e l’affermazione della donna di buon senso.
Mirandolina col suo amore semplice e sincero fronteggia sia le persone più dure che quelle conformiste. Il ménage ravvivato da questo genere di donna, allegra ma nello steso tempo ferma nelle proprie determinazioni, disinnesca l’alterigia, gli egotismi e la superbia del maschio.
Ci si può chiedere se la coppia paritetica è sempre a lungo termine oppure può anch’essa arrivare alla separazione. Se sopraggiungono avvenimenti che fanno cessare l’intesa, i due, dopo aver cercato di “ricucire” le conflittualità, proprio perché vivono di buon senso, non s’intestardiscono a restare assieme. Così, esaurito ogni tentativo di rappacificazione, finiscono col separarsi.
Paradossalmente, invece, è difficile che si disgreghi il ménage in cui uno dei partner è nevroticamente succube dell’altro; o quello in cui il partner prevalente è impegnato a demolire la personalità del gregario, il quale, utilizzando pinte masochistiche, non riesce a riscattare la propria libertà e a liberarsi della schiavitù di un rapporto di coppia che lo soffoca.
I PERICOLI DEI PARTNER COMPETITIVI
A volte non è solo la gelosia sessuale che rovina la coppia ma anche la competizione artistica è capace di spazzare via qualsiasi tenerezza.
Quando nella coppia vi è competizione, si produce una rivalità nevrotica e i successi del partner provocano dissapori e rendono sgradevole la relazione. Alcuni uomini, a causa dei successi delle loro partner, diventano aggressivi e intrattabili.
Un esempio lo fornisce il matrimonio tra Natalia Estrada e il presentatore televisivo Giorgio Mastroda. Il loro rapporto è andato in pezzi quando la notorietà dell’attrice ha superato quella del marito. Un altro caso emblematico è quello della pittrice inglese Eleonora Carrington e del pittore tedesco Max Ernst: i due, sebbene si amassero follemente, furono vittime di una grande tensione conflittuale causata dalla reciproca invidia per i successi conseguiti.
Per lo stesso motivo, farneticante fu l’unione tra i coniugi Fitzgerald i quali si accusavano a vicenda di plagio.
Francio Fitzgerald e Zelda Sayre si erano incontrati in Alabama, si erano amati a prima vista, ed erano convolati a giuste nozze; ma, eccentrici ed istrioneschi quali erano, furono sconvolti dalla reciproca gelosia artistica. Lo scrittore accusava la moglie di copiare le sue idee. Egli affermava che Zelda utilizzava, per la stesura di Save me the waltz, pagine dal suo romanzo Tenera è la notte. Zelda a sua volta, accusava il marito di avvalersi, nelle sue opere, del diario che ella andava scrivendo. Zelda, a causa di questi continui stress, finì in una casa di cura.
Anche il regista Renny Harlin fu geloso dei successi artistici della moglie, l’attrice Geena Rowlands. E difatti la loro unione s’incrinò proprio quando Geena conseguì l’Oscar e Renny, che era incappato in una serie di disastri “d’immagine” dovuti alla critica negativa e al disinteresse del pubblico per le sue opere, divenne furioso per il successo della moglie e volle il divorzio.
La conflittualità artistica si trova anche nella vicenda della scrittrice Francesca Duranti, il cui matrimonio si deteriorò quando ella, intenta alla stesura di un nuovo romanzo, fu accusata dal coniuge di «stare troppo tempo a redigere il testo». Eppure, era stato proprio il marito a spingerla a scrivere! Francesca in un primo tempo accondiscese alle esortazioni del coniuge e abbandonò la sua iniziativa letteraria, ma in seguito, incoraggiata dall’editore, pubblicò il libro e, visto il successo, decise di scriverne altri. A quel punto il marito chiese il divorzio.
Emblematica è pure la vicenda di Sidonie Gabrielle Colette e suo marito Henry Bauthier-Villars, conosciuto, da scrittore, con lo pseudonimo di Willy.
La fama di romanziere di Willy era immeritata, perché spesso egli aveva fatto scrivere ad altre persone i romanzi che poi pubblicava a suo nome. Henry spinse anche sua moglie Sidonie a scrivergli i testi. Sidonie s’impegnò nella stesura dei testi che Henry pubblicò a proprio nome, e che ebbero un grande successo. Alcuni tra i suoi racconti pubblicati a nome di Willy, ebbero rinomanza mondiale.
Il talento di Simonie non venne a galla se non quando lo scrittore Catulle Mendès, individuando nella nuova produzione di Willy una “mano nuova”, sospettò che fosse proprio la moglie a scrivergli i romanzi. Messa alle strette, Colette ammise d’essere stata lei a scrivere quei libri.
In seguito a quella confessione Bauthier-Villars divorziò dalla moglie. Dopo essersi separata da Bauthier-Villars, Colette finalmente firmò i romanzi che scriveva.
Vicenda matrimoniale carica di litigi fu anche quella di André Malraux.
L’autore de La condizione umana, quand’era poco più che ventenne, sposò Clara, una donna ricca e intelligente, ma la loro vita fu amareggiata dalla “concorrenza” artistica. Malraux aveva scritto tre romanzi e sei volumi di memorie quando sua moglie tentò d’emularlo. A quel punto lo scrittore indispettito dalla concorrenza coniugale e geloso dei successi della moglie, cercò di precluderle la carriera.
Anche Ernest Hemingway fu geloso dei successi artistici delle sue partner.
Ernest ebbe un tempestoso legame con Martha Gellhorn. La vicenda iniziò durante la guerra civile spagnola. La Gellhorn, inviata del settimanale Collier’s, era un’apprezzata corrispondente di guerra. Hemingway in quel periodo era sposato con Paoline, ma dopo l’incontro con Martha a Madrid, divorziò e sposò la sua nuova fiamma, con la quale andò all’Avana. La giornalista però non resistette a lungo alla vita sedentaria che le imponeva il marito e ricominciò a girare il mondo.
Hemingway rimase a Cuba, dedito alla stesura del romanzo Per chi suona la campana; quando però, nel 1943, apprese che la moglie era corrispondente sul fronte italiano, andò su tutte le furie, e, invidioso, brigò con la direzione di Collier’s per prendere lui il posto di Martha. A quel punto la moglie ebbe chiaro di quali bassezze fosse capace il suo Ernest e allora divorziò da lui e non volle più incontralo.
Anche nel mondo dello spettacolo la coppia formata da artisti spesso è colpita dalla gelosia professionale
Quando all’attrice Juliette Binoche fu assegnato l’Oscar per l’interpretazione de Il paziente inglese, il marito, l’attore Oliver Martinez, ebbe una profonda crisi di gelosia e il divorzio fu inevitabile.
Lo scultore Auguste Rodin, genio ambizioso, egocentrico e bilioso, accusò la scultrice Camille Claudel, sua allieva e amante, di copiare le sue opere.
Violenta diatriba causata dalla gelosia artistica fu quella che colpì un’altra copia celebre: Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Dopo il matrimonio Eduardo Scarfoglio cercò di offuscare la moglie professionalmente. Matilde, non accettando la condotta di Eduardo, fondò un altro quotidiano, “Il Giorno”, assieme all’avvocato Giuseppe Natale, col quale si legò anche sentimentalmente. Da quel momento, ebbe inizio una vivace diatriba giornalistica tra “Il Giorno” (del quale la Serao era direttrice) e “Il Mattino”, diretto da Scarfoglio e nel quale lavoravano anche i quattro figli nati dal matrimonio con la Serao.
Altro rapporto condito d’insulti e di scontri furibondi fu quello tra la Amalia Guglielminetti e Guido Gozzano. Amalia, scrittrice fascinosa, era nota agli inizi del Novecento per la sua prosa spregiudicata e per i suoi modi eccentrici e bislacchi. Guido si allontanò da lei perché ingelosito del successo letterario dell’amica. Amalia, atrocemente delusa, gli spedì una serie di lettere al vetriolo, provocatorie e dissacratrici.
In seguito un’altra unione tormentata afflisse la Guglieminetti: quella con lo scrittore Dino Segre, in arte Pitigrilli. Amalia presentò Dino nel mondo letterario, avviandolo al giornalismo. Tuttavia, Pitigrilli, così come Gozzano, mal sopportava il talento dell’amante ed era irritato dal successo di Amalia. Lei, umiliata e folle di rabbia, si ribellò con ferocia. La lite tra i due infuriò nelle riviste Le grandi firme e Seduzione, l’una diretta da Pitrigrilli, l’altra dalla Guglielminetti. In quelle pagine gli ex amanti si scambiarono invettive e volgarità, apostrofandosi con epiteti disgustosi.
Amalia, si spinse oltre ogni limite, inducendo un redattore della sua rivista, Anselmo Jona, a denunciare Pitigrilli come antifascista e sovversivo. Lo scrittore fu arrestato ma il console della milizia, Piero Brandimante, udita la difesa di Pitigrilli mandò a chiamare la scrittrice che, messa alle strette, confessò di aver alterato alcune lettere dell’amante per poterlo accusare.
La donna fu subito arrestata, ma il Tribunale, rendendosi conto che la vicenda era frutto del triste infortunio d’amore, ebbe pietà di lei e le inflisse una lieve condanna.
In Spagna, la toreadora Cristina Sanchez, dopo i lusinghieri successi nell’arena, stanca e «devastata» dalla gelosia del suo compagno, anch’egli toreador, si è ritirata a vita privata.
La fotografa Giovanna Del Magro, che era stata spinta dal marito a quell’attività, quando la sua carriera raggiunse l’apice, fu accusata dal coniuge di trascurarlo. Posta davanti all’aut aut: o abbandonare il lavoro o la separazione, Giovanna, scelse l’esperienza artistica.
Un matrimonio rovinato dalla competizione ideologica è quello tra Arafat e la moglie Suha. In un’intervista al giornale Ash-sharq al-Awsat, la scrittrice palestinese Raimonda Tawil, suocera di Yasser Arafat, ha spiegato che, a causa dei molteplici doveri pubblici del genero, il matrimonio tra sua figlia e il capo dei palestinesi non ha funzionato. Suha, greca ortodossa, per sposare Yasser, ha dovuto convertirsi all’Islam. L’impegno di Suha per la liberalizzazione della donna araba, ha messo in difficoltà il marito. Inoltre il fatto che Suha fomentasse la par condicio ha imbarazzato oltremodo la classe dirigente palestinese. E quando Suha, in una intervista a El Pais, ha criticato l’atteggiamento dei consiglieri del marito, tacciandoli di oscurantismo, il rapporto della coppia Arafat-Suha si è definitivamente incrinato e lei si è trasferita a Parigi, dove vive con la figlia Zahwa.
Oscar Wilde affermava che per far durare il matrimonio, i coniugi devono scegliere: o cercare la gloria e tendere all’affermazione di sé, o vivere nel limbo borghese.
Infatti la coppia formata da individui creativi, purtroppo, spesso va in crisi, perché in essi l’affermazione di sé, il più delle volte, è più forte dell’amore.
Il COMPROMESSO: A REPENTAGLIO LA COPPIA
Nell’antichità la coppia fondata sull’amore e sulla simpatia era quasi del tutto sconosciuta: l’unione tra l’uomo e la donna si basava su un compromesso che ottemperava ad esigenze tribali, economiche, o dinastiche, che nulla avevano a che fare con i sentimenti.
Nel Medio Evo la scelta della donna ricadeva su una femmina fisicamente in grado di fare molti figli, di accudire la casa e il campo. Importava ben poco che fosse bella, sensibile e intelligente. Sebbene col dolce stil novo la donna ideale fosse considerata “angelicata”, tale caratteristica era richiesta solo dai poeti.
In quanto all’uomo, egli doveva essere nerboruto, rotto a tutte le fatiche e doveva comportarsi da vero mastino. Tra uomo e donna, dunque, non esisteva alcun dialogo: era necessario portare avanti i mezzi di sopravvivenza.
Solo a partire dal Seicento, si delineò il bisogno di una intesa culturale tra uomo e donna. Ma spesso non fu tra marito e moglie, bensì tra il cavaliere servente (il cicisbeo) e la sua dama.
Nella società occidentale ottocentesca la donna ideale era fragile e sentimentale mentre per l’uomo si imponevano qualità complementari a quelle femminili: egli doveva essere forte e protettivo.
Nei tempi moderni, l’unione tra partner che s’interessano e danno ognuno importanza a contesti del tutto diversi (lei vuole molti figli e lui no, lei vuole lavorare e lui non glielo permette, lui ama parlare di politica e lei no, lei s’interessa d’arredamento e lui no, lui ama il pallone e lei lo odia, lei ha un approccio di fede fervente, lui è del tutto tiepido, e via dicendo…) sussiste sempre. Più aumenta il numero delle divergenze, più c’è il rischio di incomunicabilità. E così, se i due non tollerano affatto le esigenze del partner, ma vogliono “restare uniti”, adottano continui e gravosi compromessi, tant’è che questo genere di rapporto, a volte, è vissuto con vera sofferenza.
La coppia Arthur Miller e Marilyn Monroe fu un esempio di stridente diversità di personalità e di incompatibilità culturale fra coniugi. Miller era un intellettuale mentre la moglie non possedeva né gli interessi né le esigenze culturali dello scrittore. Nella sua autobiografia il commediografo scrisse che al momento dell’incontro con quella donna bellissima, egli non immaginò di certo che ella fosse così ignorante da non aver mai letto nulla in vita sua. All’inizio della relazione Miller vide in Marilyn una creatura piena di fascino, in seguito gli apparve come una creatura vuota, priva di cognizioni e piatta.
In un primo tempo, per la verità, Arthur si dedicò all’educazione intellettuale della moglie. Per lei scrisse un soggetto cinematografico, dal quale venne tratto un film, Gli spostati. Tuttavia, svanita l’iniziale attrazione, l’unione divenne un macigno per entrambi. Le differenti esperienze culturali tra il drammaturgo e l’attrice ebbero il sopravvento, malgrado, come i due assicuravano, entrambi fossero ancora soddisfatti a letto.
La scrittrice Doris Lessing autrice, tra l’altro, oltre a La noia di essere moglie, e L’abitudine di amare, de Il taccuino d’oro, una summa di femminismo, confessò che il suo matrimonio era frutto di compromessi soffocanti, e privo di trasporto sentimentale. La Lessing infatti aveva sposato “il primo uomo possibile che le era capitato sotto mano”, cercando rifugio nel matrimonio per sfuggire all’oppressione della madre, donna autoritaria, bigotta ed ignorante, che le aveva impedito persino di leggere autori come Thomas Mann, Stendhal, Proust, Lawrence. Ma dopo qualche tempo dalle nozze, Dora, non sopportando che tra lei e il marito s’era instaurata un’unione puramente convenzionale, fu colta da «una dirompente claustrofobia matrimoniale».
Tra i matrimoni fondati sul compromesso e dunque non riusciti, spicca il legame tra lo scrittore Arthur Conan Doyle e la moglie. Arthur sposò Louise, sebbene non la trovasse né bella né intelligente, sol perché gli portò una discreta dote. L’inventore di Shernock Holmes, a quel tempo era un medico spiantato, senza clientela, che non riusciva a sbarcare il lunario nemmeno scrivendo romanzi polizieschi. Tra Arthur e Louse non vi fu mai un’intesa intellettuale, né comunanza d’impegni. Lo scrittore lamentava di vivere con la moglie “come due estranei nella stessa casa”. Dopo otto anni di matrimonio, di litigi e di estraneità, Conan Doyle pose fine a quel legame: abbandonò in Svizzera moglie e figli al loro destino.
Un compromesso fu anche la relazione tra Boris Pasternak e la pittrice Eugenia Lurie. Il matrimonio iniziò con una vorace e straripante passione sensuale, ma ben presto Boris, che tra l’altro non amava troppo la pittura, si disinteressò dei problemi della consorte, impegnato com’era a cercare la propria affermazione come scrittore. Eugenia, che voleva affermarsi come artista, accusò il marito di non capire la sua vocazione. Dopo dieci anni di «rovinosi disaccordi», lei partì per la Germania e Pasternak non volle trattenerla, era già innamorato di Zinajda Nejgauz, la donna che, dopo il divorzio, sposò.
Tuttavia non sempre le differenze temperamentali e culturali creano compromessi invivibili.
Nei primi del Novecento scandalizzò i “benpensanti” la relazione tra il filosofo Benedetto Croce e Angelica, la bella popolana analfabeta che il filosofò amò e sposò, trasgredendo le regole del bon ton. Per quel “colpo di testa”, il filosofo fu considerato spregiudicato tanto che i suoi amici cercarono di nascondere la sua unione con quella provocante mogliettina, che qualche maligno accusò anche di civetteria. Croce invece affermava che grazie al temperamento allegro ed esuberante di Angelica egli era divenuto meno serioso.
Una unione alquanto bizzarra fu anche quella del pittore Anselm Feuerbach che si legò alla popolana Antonia Risi, detta Nanna, moglie di un ciabattino e di certo molto poco istruita. Di quella donna irruente, dal carattere schietto e spontaneo, l’artista si invaghì follemente e ne fece la sua modella e la sua musa ispiratrice, sebbene Antonia non s’interessasse affatto di pittura.
Anche lo scrittore Giovanni Papini, uomo di vasta cultura e ricco di esperienze intellettuali, sposò un’analfabeta, tant’è che egli chiese alla moglie di Prezzolini d’insegnare a leggere e a scrivere alla sua “Lina”.
Pur non essendo un’intellettuale, Lina, bellissima e sensibile, fu di grande compagnia per Papini.
Malgrado questi ultimi esempi, tuttavia, per una buona intesa di coppia, oggi, che tanto spazio si da’ alla psicologia, non basta più, come un tempo, restare sotto lo stesso tetto per portare avanti “la baracca”: si richiede oltre all’attrazione, anche un affiatamento, un’affinità di interessi; un’amicizia, insomma che vivacizzi il dialogo e la quotidianità.
Sperare che l’unione possa rimanere salda anche quando i partner non hanno alcuna affinità tra di loro è un’utopia.
Infatti, dalla disarmonia di coppia, a volte, nascono drammi che corrodono e fanno vivere nel grigiore. Nella maggior parte dei casi, una mancanza di sintonia produce una greve “sopportazione” che finisce col cancellare il sorriso e spegnere gli entusiasmi.
L’amore immaginato
Un sentimento poetico che a volte ha risvolti drammatici
Il bisogno d’amare è ineluttabile. Spesso però chi ama “perde le coordinate” e non si accorge d’avere smarrito il senso della realtà. Emblema dell’innamoramento utopico e nel contempo patetico è la passione di don Chisciotte per Dulcinea, passione che si alimenta esclusivamente di sogni. Infatti il cavaliere della Mancia in un momento di lucidità afferma che: «Dio sa se Dulcinea esiste o no al mondo, e se è fantastica o non è fantastica, ma queste non sono cose che vanno appurate fino in fondo». Questa storia d’amore mette in luce una grave, tragica verità: a volte l’innamorato vive l’incanto dell’illusione. Nel caso di don Chisciotte, il suo servo, Sancho Panza, cerca di riportarlo alla realtà, ma il cavaliere non vuol sapere com’è davvero la “sua” Dulcinea: la immagina che infila perle e ricama in oro. Il suo scudiero gli fa invece notare d’averla vista accudire gli animali nel cortile, riordinare il grano e compiere infime faccende domestiche, e mette inutilmente a parte il suo signore che il nome della dama non è Dulcinea, altolocato, ma uno più banale, Aldonza.
Un amore idealizzato si trova nella protagonista del romanzo di Honoré de Balzac, “Eugénie Grandet”. Figlia di un affarista e di una mite domestica, questa fanciulla ha molti corteggiatori che spasimano per sposarla. Ma lei s’innamora del cugino Charles che non è ben visto dal signor Grandet, il quale proibisce alla figlia di frequentarlo. Ma Eugénie, dopo avere scambiato con Charles l’unico, casto bacio della sua vita, gli giura fedeltà eterna e vivrà nella dolcezza di quel ricordo, mentre il cugino la dimenticherà.
Un altro esempio di amore fantasticato si trova nel romanzo Washington Square di Henry James, in cui sono narrate le vicende d’una donna corteggiata da un uomo che vuole impossessarsi della sua dote. Pur conquistata dal bellimbusto, avendo compreso le sue intenzioni, essa trova la forza di respingerlo. Tuttavia non riuscirà mai più ad innamorarsi .
Racconta Renato Dulbecco che una delle ragioni che lo spinsero a rivestire, pur essendo un premio Nobel, i panni di presentatore del Festival di San Remo 1999, fu la speranza di attirare l’attenzione d’una donna con la quale sessanta anni prima era stato fidanzato, e che aveva perso di vista, senza mai dimenticarla.
Lo scrittore Ernst T. A. Hoffmann, in Don Juan, descrive la sua passione infelice per Julia Marc, deliziosa giovanetta diciassettenne alla quale egli aveva dato lezione di canto a Bamberg e alla quale, malgrado il divampare dell’amore, non riuscì a manifestare i propri sentimenti.
Passione struggente fu quella del trentunenne poeta svizzero Blaise Cendrars per l’incantevole attrice Raymone Duchteau, la quale gli consentì d’amarla, ma non volle essere toccata, nemmeno quando, nel 1947, divenne sua moglie: ella non fu mai di nessun uomo.
L’attrice Maria Denis fu preda di un persistente amore illusorio per Luchino Visconti. Ella pur conoscendo le propensioni sessuali del regista sperò che le si legasse almeno sentimentalmente. Maria, per salvare Luchino, arrestato dalle SS, divenne l’amante del generale Koch, ma fu accusata dai partigiani di collaborare con i tedeschi! Infatti il suo generoso e disperato gesto fu frainteso non solo dagli uomini della Resistenza ma anche dalla sorella di Visconti e dallo stesso Luchino che fu dimesso dal carcere, proprio grazie “all’intervento” dell’amica. Malauguratamente il regista, indispettito dal tradimento della Denis, non volle più vederla.
Atroce avventura quella della Denis, per salvare un immaginario sogno d’amore!
Puramente sentimentale fu l’attrazione tra il poeta Vladimir Majakovskij e Lili Brick. Tra i due, al primo incontro, sbocciò una furiosa ed inebriante passione, ma lei, benché attratta da quell’uomo, non si gli si concesse mai. Lili era sposata al giurista Osip Brik, e pur avendo instaurato col poeta un profondissimo legame, cercò sempre di “sterilizzare” il loro rapporto.
Lili e Vladmir si scrivevano promesse d’amore, con frasi struggenti e allusioni sessuali, ma quando s’incontravano, benché Vladimir cercasse di convincerla che l’amore si completa a letto, lei non volle mai saperne di avere rapporti con l’uomo che “amava spiritualmente”.
Ad un legame puramente sentimentale fu inchiodato anche il poeta Ungaretti. Ormai settantenne, dopo la morte della moglie Jeanne, «immaginò» e cercò una relazione affettiva con la trentenne Jone Graziani, insegnate di francese che egli chiamava “bambinetta mia” e “amorino dolce”. Al rifiuto dell’amata, il poeta reagì scrivendo la Poesia per Jone e altre liriche che le dedicò definendola la sua ossessione. Jone affermava: «Ungaretti rappresenta per me il massimo della liricità, il culmine della sintonia intellettuale, ma nient’altro; egli riesce a suscitarmi solo una grande stima».
Non dissimile fu la vicenda tra la scrittrice Lou Salomè e Friedrich Nietzsche, il quale l’amò con furore ma, inibito com’era, non riuscì ad andare oltre «l’intesa culturale». Il colmo dell’insuccesso Friedrich lo colse durante una gita, quando si appartò con Lou per esternarle la propria passione; ma paralizzato dall’emozione, tergiversò e non riuscì ad abbracciarla e baciarla.
L’amica si rese conto dei gravi complessi che affliggevano Friedrich, che, colpito da profondo shock le scrisse in seguito: «Devo a Lei il sogno più bello della mia vita» e la chiese in sposa. Ma Lou, rifiutò la proposta con cortesia ma con fermezza. Nietzsche, da quel momento, sprofondò nella disperazione. In seguito Lou confidò all’amico psicoanalista Ernst Pfeiffer:«Friedrich era imbarazzato come uno scolaretto e non m’ero sentita di prendere in mano la situazione» .
Giacomo Leopardi, carattere schivo e solitario, corteggiò molte dame senza fortuna. Tra gli “insuccessi”: la «languida e senza mordente», Fanny Targioni Tozzetti che gli ispirò le liriche del ciclo di Aspasia. Altro “insuccesso” a Pisa, dove Giacomo s’innamorò inutilmente della nobile irlandese Margaret Mason, femminista che aveva abbandonato marito e figli per vivere liberamente.
L’incapacità a dichiararsi apparve in tutta la sua drammaticità quando Leopardi venne fatto oggetto delle attenzioni della contessa Elena Mastiani Brunacci, le cui relazioni amorose, a lui note, avrebbero dovuto spingerlo a osare di più. Ma il poeta, pur invaghito della donna, che per altro lo corteggiava, non ebbe il coraggio di lasciarsi andare.
Sconfitte brucianti anche le frequentazioni con la nobile Sofia Vaccà Berlinghieri e con la gentildonna Lauretta Parra. Giacomo, con nessuna delle due osò mai sbilanciarsi. E audace e intraprendente, ma solo dal punto di vista epistolare, fu con la principessa Carlotta Bonaparte.
Amanda Lear e Salvator Dalì ebbero una relazione esclusivamente intellettuale. L’attrice racconta che il maestro, afflitto da grave impotenza, aveva un modo tortuoso di affrontare l’eros. Il sesso per Dalì era una miscela di voyeurismo e masochismo. Amanda confessò che, tutto sommato le andava bene: «In fondo, di amanti ne potevo avere quanti ne volevo, ma di Dalì artista, pittore, letterato, orafo, ce n’era uno solo ed era ciò che più mi esaltava».
Il poeta Montale amò e desiderò senza poterla mai avvicinare, Dora Markus, un’ebrea viennese della quale s’era innamorato dopo averla vista in una fotografia inviatagli dal critico letterario Bobi Balzen. Montale s’infiammava facilmente: s’innamorò di una donna, appena conosciuta, l’austriaca Gerti Frankl Tolazzi, che gli ispirò la lirica Il carnevale di Gerti. Il poeta la incontrò una sola volta, a casa del critico Matteo Marangoni, l’amò a prima vista ma preferì ricordarla con la fantasia poetica piuttosto che “rischiare” di vederla nella «sua quotidiana realtà».
A cinquant’anni, il poeta ebbe una folle passione per la venticinquenne Maria Luisa Spaziani, alla quale scrisse : «Mia fucsia Volpe, fui “assassinato” da te, anche se in modo inconsapevole».
Egli s’infiammò perdutamente di quella donna “dagli occhi azzurri e dai riccioli neri”.
Di molte donne il poeta s’innamorò, ma con poche ebbe una relazione, anche se tutte gli ispirarono poesie bellissime. Anna Uberti, fu l’”Annetta” del Diario, Esterina Rossi, fu “Esterina di Falsetto” in Ossi di seppia, Irma Brandeis è la “Clizia” de La Bufera, e Laura Papi è la “ninfa Egeria”, ispiratrice del romanzo Dopo la fuga.
L’amore non corrisposto del romantico scrittore parigino Gérard de Nerval per la bellissima attrice Jenny Colon, sfociò in dramma.Scosso dall’indifferenza della donna, Gérad finì in una casa di cura, e alternò anni di lucida creatività a crisi di delirio amoroso. Nel 1855 dopo aversi stretto una corda al collo si fece penzolare dalle sbarre di una finestra della sua casa.
In tasca gli trovarono un biglietto: «Peccato, mia diletta, avremmo potuto vivere felici!».
Fortunatamente, ai nostri giorni, l’amore non ha tali svolgimenti immaginativi. Oggi le unioni sono basate più sulla concretezza. Se ciò va forse un po’ a discapito del romanticismo, tuttavia consente una maggiore comunicazione e un senso più realistico del rapporto.
LE COPPIE (QUASI) IMPOSSIBILI
C’è un genere di unione difficile da gestire, che provoca situazioni frustranti e paradossali: si tratta delle coppie formate da un eterosessuale e un omosessuale. In questi casi solo il buon senso e la capacità di sopportazione può far fronteggiare un rapporto equivoco, conturbante e denso di dissonanze.
Il compositore russo Piotr Iliic Ciaikovskij, che era omosessuale, intrattenne una “amicizia sentimentale” con la statunitense signora Nadezhda von Merck. Una relazione, questa, che il musicista condusse sul filo dell’equivoco. Infatti egli fece credere a Nadezhda di provare per lei un amore puro, occultandole le proprie propensioni sessuali per non perdere l’assistenza economica della generosa benefattrice.
Piotr non sopportava rapporti erotici con donne e così non volle incontrare la Nadezhda. Egli inventò una scusa romantica: disse all’amica che, se il loro amore si fosse nutrito solo di contatti epistolari, non si sarebbe sciupata la bellezza della relazione.
Una scusa platealmente sospetta, alla quale la donna, pazzamente innamorata del musicista, credette ciecamente. Per tredici anni la von Merck mandò lettere vibranti d’amore all’uomo che ammirava, accompagnandole con ingenti contributi in rubli.
Prima dell’amicizia con Nadezhda, Piotr Ilic, tentando di negare la propria omosessualità, aveva sposato un’allieva, Antonia Miljukova. Quel matrimonio spiegò poi alla Nadezhda, era stato da lui contratto per poter assistere finanziariamente la ragazza. Il gesto suscitò la pietà dell’amica, che gli mandò ancora altro denaro «per salvare Antonia».
Ciaikovskij, che soffriva di crisi paranoiche, confidò alla Merck di provare per sua moglie un grande disprezzo, fisico e “morale”. Egli descrisse Antonia come una strega: «Non solo non m’ispira il minimo sentimento ma mi è così odiosa che il mio disgusto per lei cresce di ora in ora», poi aggiunse: «Tutto in Miljukova è affettato. La sua testa e il suo cuore sono completamente vuoti».
Ambigue e paradossali anche le condizioni in cui si svolse il rapporto tra Oscar Wilde e sua moglie Constance Lloyd, ragazza bella, ricca e di buona famiglia, innamorata dello scrittore inglese perché lo riteneva un uomo di talento.
Wilde la sposò ritenendo che il matrimonio sarebbe stato un buon lancio pubblicitario per le sue opere. La coppia ebbe due bambini, Cyril e Vyvyan, ma l’unione non funzionò. Oscar abbandonò la moglie quando conobbe Alfred Douglas, giovane affascinante al quale lo scrittore si legò senza esitazione. Douglas si mise con Wilde per spillargli denaro. Constance, che fino ad allora aveva ignorato l’omosessualità del marito, ritenendo che egli fosse solo annoiato della vita coniugale, saputo della relazioni di Wilde sia con Douglas che con Arthur Humphreys, andò via da casa.
Un’altra relazione molto ambigua fu quella tra Wanda Toscanini e il pianista Vladimir Horowitz.
L’ambizioso musicista era omosessuale, ma corteggiò e chiese in sposa Wanda perché era la figlia del più grande direttore d’orchestra del tempo, cosa che lo avrebbe avvantaggiato nella carriera.
Wanda, pur conoscendo la omosessualità di Vladimir, volle dedicarsi al grande interprete. Nemmeno la nascita di una figlia, Sonia, allietò la coppia. Il pianista, infelice e nevrotico, si accompagnava con frequenza a uomini. Quando i suoi tradimenti divennero “socialmente” scandalosi, Wanda lo sbatté fuori di casa. Poco dopo però, impietosita lo riprese con sé, ma disperata, confessò: «Mio padre m’ha fatto diventare nevrotica, mio marito pazza».
Stravagante fu anche relazione tra la principessa nera, Iman, top model di Yves Sant-Laurent e David Bowie. I due si sposarono con sfarzo pubblicitario, ma qualche mese dopo la bellissima Iman scoprì che David andava a letto con Michael Jackson. Allibita e infuriata telefonò ad un amico, Kiris Helstin e quello, gelidamente, le fece presente che il quarantaseienne David Bowie, cantore dell’amore moderno, era conosciuto per le sue “particolari “ tendenze sessuali e che il loro, in partenza, era un ménage assurdo.
«Solo tu hai ignorato i suoi gusti» le spiattellò l’amico. Poco dopo Iman trovò David a letto con Mick Jagger. A quel punto chiese il divorzio e ottenne una somma favolosa per gli alimenti.
Negli anni Venti del XX secolo fu oggetto di pettegolezzi il matrimonio tra il newyorkese Robert McAlmon, critico d’arte, e l’aspirante attrice Annie Winifred Ellerman, omosessuale e figlia di un magnate dell’industria inglese. La ragazza, sebbene educata in un clima sessuofobico e repressivo, aveva “esperienze” con ragazze; per “coprire” le sue scappatelle, chiese a McAlmon di sposarla. A Robert non interessava ciò che lei faceva, egli aveva bisogno di soldi, e accettò. I due arrivarono subito alle nozze: Robert per il denaro della moglie, Annie per sfuggire all’ossessivo controllo del gelosissimo padre, sperando di vivere la propria omosessualità all’ombra del matrimonio che la proteggeva.
Per qualche tempo i due coniugi vissero in accordo. Annie scrisse e pubblicò poesie e romanzi sotto lo pseudonimo di Bryher; Robert girò, a spese della moglie, per l’Europa, incontrando i talenti più vivaci del tempo: Eliot, Yeats, Hemingway, Gertrude Stein, Pound, Dos Pasos.
McAlmon pubblicò anche lui un libro dal titolo Being Geniuses Together, che però non ebbe successo. Robert, allora, disperato per il fallimento dell’opera divenne sempre più acido e aggressivo con Annie che, non sopportandolo più, divorziò e andò a vivere con un’amica.
Alla fine dell’Ottocento, un altro legame ambiguo fu quello tra il poeta inglese Thomas Hardy e la scrittrice Emma Lavinia Gifford.
Emma aveva dichiarato la propria omosessualità, ma Hardy volle combattere «il tragico mistero del destino umano e l’ipocrisia della società», e si legò a lei. Tempo dopo però Hardy colto dall’ angoscia per il fallimento del proprio tentativo fu assalito da malesseri psicosomatici. Per distrarsi intrecciò varie relazioni, tra cui, le più importanti quelle con Florence Heniker e con Emily Dudgale. Quando Emma morì, Hardy pentito per le sue distrazioni, dedicò alla moglie una serie di bellissime poesie.
Un’altra coppia “impossibile” fu quella formata dallo scrittore Bruce Chatwin, magnetico, narcisista e bisessuale, e da Elizabeth Thores, un’impiegata di Sotheby’s, alla quale egli s’unì perché gli dava un poco d’allegria, senza però metterla a parte della propria condizione.
Poiché Bruce con la moglie non ebbe rapporti ( preferiva gli efebi e i ragazzi), quando Elizabeth si rese conto della tendenze del marito, tentò il suicidio. Salvata in extremis, abbandonò il coniuge. Bruce dopo quella esperienza visse da nomade e raccontò in libri di grande successo i suoi avventurosi viaggi in tutto il mondo.
Chatwin, viaggiò anche con lo scrittore islamico Salman Rushdie. A causa dei suoi vagabondaggi sessuali, Chatwin contrasse l’Aids e a quarantasette anni morì.
Gli esempi di coppie “impossibili” sono tanti, e non si può ignorare il ménage, frutto di compromessi, tra Marlene Dietrich e Rudolf Sieber, i quali dopo un impossibile matrimonio divorziarono con gran clamore. La loro figlia, Maria Riva, nel 1993 pubblicò su quella unione una biografia impietosa.
Solo in casi limitati questo genere di ménage non deflagra in risse memorabili e prosegue su un binario “accettabile”. Ma non si può negare che la maggior parte di queste unioni sono vissute con esperienze frustranti e con umiliazioni dal momento che, dal punto di vista erotico, in questo tipo di ménage, il partner non è oggetto del desiderio. Mancando infatti uno dei cardini dell’unione, l’attrazione fisica, (che invece è presente sia nelle coppie etero che in quelle gay), non è possibile far funzionare il rapporto sin dall’inizio.
E però, non bastano né le frustrazioni né le ambivalenze per impedire che questo genere di ménage a volte perduri a lungo e diventi un insolubile delirio a due.
LA GELOSIA NELLA COPPIA
Le grandi passioni non sono immuni dalla gelosia, anzi, a volte, sono le più colpite. La gelosia esplode quando manca l’autostima. Cesare Pavese affermava che la gelosia maschile sottolinea la paura del confronto con un altro uomo.
La gelosia, maschile o femminile, è in ogni caso un sentimento che stimola comportamenti violenti e intransigenti.
Secondo la psicologa Serena Foglia: «Nella gelosia vi è anche una componente di invidia, perché nasce dall’amor proprio più che dall’amore». Singolare è però il fatto che della gelosia nessuno si vergogna, mentre la invidia tutti cercano di celarla.
La forma più violenta, irragionevole e infantile di gelosia è quella sessuale, che sfocia spesso in comportamenti criminali. Nel saggio Piccola storia dell’amore Armando Torno accomuna la gelosia alla follia, in quanto, dice Torno, tra l’una e l’altra non ci sono confini.
Nella novella Tu ridi, Luigi Pirandello sintetizza la grottesca assurdità della gelosia, raccontando che il signor Anselmo, un signore di cinquantasei anni, con barba bianca e cranio pelato, veniva rimproverato dalla moglie per “quelle sue incredibili risate d’ogni notte, nel sonno, le quali facevano sospettare alla consorte che egli, dormendo, guazzasse chissà in quali beatitudini, mentre ella gli giaceva accanto, insonne e arrabbiata.
Diceva l’attrice Doris Day, a proposito della gelosia: «Siamo sempre riluttanti a dare via i nostri vestiti dismessi e quelli fuori moda. Figuriamoci se possiamo accettare di dividere il nostro partner con un’altra persona».
In una lettera Italo Svevo scrive alla fidanzata: «Non è una tua occhiata data ad altri che m’offende, è l’idea che quell’occhiata mi dà la prova che nel tuo animo c’è la vanità e il desiderio di piacere. Quello sì mi offende!».
E in un’altra: «Sospendiamo per un mese il nostro fidanzamento, lasciami vivere per un mese nell’idea che tu non sei destinata a me. Forse mi calmerei più facilmente, potrei dormire almeno le ore che mi sono permesse. Basta che in questo caso le paure di perderti definitivamente non mi facciano ancora peggio». Queste lettere sintetizzano i sentimenti della persona gelosa con i sospetti, i timori, l’angoscia di cui si nutre chi è affetto da una patologia dalla quale difficilmente si guarisce.
La cultura popolare ritiene che la gelosia sia un sentimento normale e positivo, perché essa rinsalderebbe il vincolo di coppia e terrebbe in piedi il desiderio tra i partner. Tuttavia, in realtà, non rafforza affatto quel vincolo, in quanto crea sospetti, diffidenze ed ostilità, tant’è che in nome della gelosia si commettono molti delitti.
In passato, per la legge italiana, al marito geloso che puniva la moglie infedele, uccidendola, veniva comminata una condanna lieve, e non adeguata al delitto commesso.
Il sentimento maschilista ha distinto la gelosia maschile, apprezzata, e quella della donna non è approvata. Il principio che la reazione del maschio geloso debba essere giustificata e scusata, ha radici antiche ed è attivo da millenni in molte culture antiche, religiose o pagane. Ne i Numeri, alla donna rea d’adulterio viene lanciato l’anatema che il Signore la maledica, «faccia marcire, gonfiare e crepare». Il Levitino afferma che l’adulterio potrà essere punito con la morte. Nell’antica età regia di Roma, la donna adultera era passibile di pena di morte. Per la Lex Iulia de adulteriis del 18 a.C., il padre può uccidere la figlia adultera. Lattanzio, scrittore apologeta, sosteneva che le adultere dovevano essere giustiziate. L’imperatore Costantino, che guidò il processo di cristianizzazione, stabilì che se una signora avesse avuto rapporti sessuali con un suo schiavo, questi doveva essere arso vivo, e lei decapitata. Valentiniano I, che si professava re cattolico, nel 370 d.C. emanò una legge che puniva l’adulterio della donna con la morte. Non meno drastico è il Corano che agli uomini consente di testimoniare l’adulterio della propria donna giurando quattro volte che sia vero. Dopo di che la donna verrà lapidata.
Il problema fondamentale nella gelosia, sostiene lo psichiatra Carl Rogers, è che chi ne è affetto si sente rifiutato. Il geloso non sopporta d’essere abbandonato. Perché si scateni la gelosia non è necessaria una reale infedeltà: la gelosia è uno stato di apprensione e, come tale, non è guidata dalla ragione ma dall’emotività.
Il regista Luis Buñuel, persona culturalmente autorevole ma fragile emotivamente, era egocentrico e geloso. La sua relazione con la moglie Juana Rucar fu un ininterrotto e turbolento litigio. E tutto questo, malgrado il regista dava di sé un’immagine di artista trasgressivo che sfidava gli ideali borghesi. La sua condotta come marito fu invece inqualificabile.
La gelosia è un sentimento infantile. In quel periodo si ha paura di essere esclusi dall’amore del padre, della madre, e si teme di essere preferiti ai fratelli. La gelosia è un’esperienza, dice la psicologa Gianna Schelotto, che solleva gravi problemi relazionali e sociali.
Non solo l’uomo, ma anche la donna in preda alla gelosia può essere violenta: Medea, innamorata e gelosa di Giasone, è un esempio. Storie di questo genere, purtroppo, non fanno parte solo della mitologia, si riscontrano con frequenza anche nella vita reale.
Gelosa fu Eleonora Duse sebbene in apparenza mostrasse un temperamento forte e una mentalità aperta. L’attrice, che non era fedele, pretendeva però che lo fossero i suoi partner, tant’è che quando nel 1885, a Buenos Ayres morì il suo amante, Arturo Diotti, ella pensò di riconciliarsi col marito. Ma avendo scoperto che questi la tradiva con la giovane attrice Irma Gramatica, provocò un vero finimondo.
La gelosia ha anche afflitto governanti e personaggi di cultura. Napoleone Bonaparte era molto geloso; egli soffrì le infedeltà di Giuseppina, della quale era innamorato. Dalle lettere che le mandava emergono insicurezze e timori. In verità Napoleone aveva di che temere, perché Giuseppina, in fatto d’evasioni, non andava per il sottile.
Vittima della gelosia della moglie Teresa Blondel, fu Massimo D’Azeglio. Lo scrittore rimasto vedovo di Giulia, figlia del Manzoni sposò Teresa in seconde nozze. Ma la convivenza si rivelò difficile: la moglie era sospettosa, assillante. Teresa immaginava che Massimo fosse ancora legato con il ricordo alla prima moglie. Alla fine D’Azeglio si liberò di quella donna oppressiva, separandosi.
La gelosia dipende dalla cultura di un popolo, di un’epoca e dai preconcetti sociali. I Greci, per esempio, si interessavano poco del comportamento sessuale delle loro donne: erano però gelosi dei loro discepoli. Nel Giappone del X secolo, la gelosia era addirittura considerata una trasgressione alle buone maniere. Gli uomini non erano gelosi delle loro donne, e le mogli giapponesi erano convinte che se il marito avesse avuto molte amanti, maggiori sarebbero state le possibilità che, essendo felice delle sue conquiste, egli fosse più affettuoso con la consorte.
Paradossalmente chi è trasgressivo è anche geloso. Difatti, spesso coloro che praticano lo “scambio delle coppie” permettono al loro partner solo contatti fisici con l’altra persona. Quando dal rapporto tra il loro partner e un’altra persona sfocia un sentimento, si scatena la gelosia. Emblematica è la storia degli “Swingers” che negli anni Sessanta, in California, praticavano l’amore di gruppo. Lo psichiatra Carl Rogers, studiando la promiscuità di quelle coppie aperte, notò che la gelosia era presente anche in quei contesti.
Secondo la sociologa Serena Foglia la gelosia non può essere soffocata, perché è legata alla paura di perdere il possesso. In questo senso, c’è chi ha visto che la gelosia è utile per motivi biologicI. In chiave antropologica, essa rappresenta la difesa della prole legittima. Il maschio di molte specie animali vuole allevare solo i propri figli, e vieta alla sua femmina di accoppiarsi con altri; a sua volta la femmina, pretende che il partner non faccia figli fuori dal ménage, perché ciò gli impedirebbe di difendere efficacemente la prole.
Nel mondo animale la gelosia serve anche per il controllo del territorio. Emblematici sono i combattimenti tra i maschi delle renne, per difendere il territorio dagli intrusi ed evitare che qualche adulto che non è del gruppo s’accoppi con le femmine del branco. Caratteristica è la gelosia del re della foresta, il quale, cacciato il rivale da un territorio, uccide i cuccioli del leone detronizzato e s’accoppia subito con le femmine per avere una propria discendenza. Alcune femmine di animali sono gelose e se una estranea proveniente da un altro branco invade il loro territorio ingaggiano con l’intrusa una battaglia furiosa per scacciarla.
Sebbene, come s’è visto, nel mondo animale la gelosia abbia una certa utilità, nel mondo civilizzato, invece, afferma la psicologa Nancy Friday nel saggio Gelosia, chi è affetto da morbosa gelosia, soffre di narcisismo frustrato, di stizza infantile, di orgoglio ferito. Nella maggior parte dei casi la persona gelosa, assillando e opprimendo il partner, si dimostra incapace d’amare.
Solo chi si allontana da queste componenti distruttive, dice in sostanza la Friday, agisce in maniera razionale ed è anche meno geloso.
AMORI E DISAMORI NELLA COPPIA
I Pigmalione in amore
Si narra che Pigmalione, mitico re di Cipro innamoratosi di una statua d’avorio di Afrodite, volle sposarla e la portò nel letto nuziale. La dea dell’amore, commossa da tanta devozione, fece vivere la statua e rese così possibili le nozze.
Metaforicamente parlando rifacendosi a questo mito,viene indicato come pigmalione in amore colui che simbolicamente trasforma la persona amata da una “persona senz’anima” ad un essere intellettualmente e affettivamente vivace.
Famoso è Pigmalione di G.B. Shaw, in cui un uomo burbero s’innamora di una popolana e la trasforma in una brillante dama inglese.
Il pigmalione, con i suoi atteggiamenti protettivi e pedagogici, incarna la figura del mecenate e del maestro; ma in pratica, è un’allegoria genitoriale: infatti egli dal punto di vista psicoanalitico, rappresenta il genitore che aiuta il bambino a crescere.
Bisogna anche sottolineare che chi insiste troppo nel comportamento della persona che aiuta troppo gli altri, manifesta tendenze compensatorie, e si tratta di un “complesso” che può dipendere dal fatto che il pigmalione ha “bisogno” di sentirsi importante.
Sono molti gli artisti che hanno ricevuto aiuto da un qualcuno che li ha scoperti, li ha amati e nel contempo li ha portati avanti nella vita e nel lavoro.
Il pedagogista J. J. Rousseau a sedici anni, dopo un breve apprendistato di incisore, abbandonò la casa dello zio Gabriel Bernard, al quale era stato affidato dal padre, e intraprese una vita vagabonda.
Fortunatamente per lui, ad Annecy s’imbatté in una donna che lo aiutò moltissimo, la ventinovenne baronessa Madame de Warens. Costei, intuendo le doti del ragazzo, lo accolse a casa, lo aiutò economicamente e lo sostenne psicologicamente. I due si legarono di profonda amicizia e ben presto divennero amanti.
Jean‑Jacques subì sempre nei confronti di quella donna una sudditanza “filiale” ed “edipica”, tant’è che chiamava la Warens “mammina”, e le restò legato per tutta la vita, proprio come si resta legati all’immagine materna, tant’è che nemmeno il lungo e ambiguo rapporto con la moglie distrasse Rousseau da quel legame.
Sarà curioso sapere che Rousseau scrisse nel 1770 la trama di un Pigmalione che venne rappresentato nel 1775 a Parigi, sotto forma teatrale mimata e parlata con accompagnamento musicale scritto dallo stesso autore.
Che spesso il mecenate nasconda carenze affettive lo dimostra il fatto che la signora Fanny Vandegrif, che aiutò lo scrittore Louis Stevenson, da ragazza aveva sofferto di solitudine, situazione che riscattò, in età adulta, frequentando tante persone e mostrandosi sempre disponibile ad portare avanti i talenti più emergenti.
Fanny da ragazza non ebbe grandi affetti, né fu molto curata dai genitori, sicché, da adulta, compensò le proprie carenze, prendendosi cura degli altri. Poiché ella si crucciava di non essere capace di scrivere, la sua relazione con lo scrittore mise a tacere anche le sue esigenze letterarie irrisolte, visto che Fanny, aiutando Stevenson, si identificava con lui e partecipava così anche lei ai successi letterari dell’amico.
Al tempo in cui incontrò Stevenson, la Vandegrif era sposata ed aveva tre figli. Suo marito aveva dieci anni più di lei ed era un ex-cercatore d’oro che aveva fatto fortuna; quando Fanny incontrò lo scrittore, rimase subito affascinata dall’intelligenza e dalla genialità di Louis, e comprese che sarebbe stato l’uomo della sua vita.
La biografa di Stevenson, Alessandra Lapierre, racconta che la Vandegrif aiutò molto lo scrittore, fu la sua musa ispiratrice, la sua critica letteraria più obbiettiva, ma, essendo una personalità molto forte, in qualche caso finì per soggiogarlo.
Una presenza, quella di Fanny, che allarmò non poco Katherine Stevenson, madre dello scrittore, gelosa del potere che quella donna “estranea” aveva sul figlio. La vecchia però si rassegnò ad accettare il ruolo della Vandegrif essendosi resa conto che la “sua rivale” riusciva ad infondere tanta fiducia a Louis da aiutarlo persino a reagire alla grave forma di tubercolosi di cui era affetto. Non solo, ma la Stevenson comprese che quella donna aiutava il figlio anche dal punto di vista letterario: infatti, dopo aver letto il romanzo Il dottor Jekyll e Mister Hide, Fanny aveva imposto allo scrittore di ridefinire il personaggio di Jekyll dicendogli: «Hai il dovere di far sognare il pubblico e contemporaneamente di interessarlo».
Stevenson seguì il consiglio dell’amica e raggiunse il successo.
Anche George Sand aveva la tempra di scopritore di talenti ed amava assistere ed aiutare qualche ingegno creatore, tanto da far scrivere alla psicoanalista Helene Deutsch che l’evoluzione femminile della Sand fu turbata da una mascolinità nobilitata dalla speranza di raggiungere un forte ideale di donna.
Scrive la Deutsch: «La scelta amorosa della Sand cadeva su uomini così detti “effeminati” (…) In questo tipo di amanti è facile identificare una naturale scelta complementare in cui il maschile e il femminile si completavano. La “maschile” Sand, (gli amici la chiamavano Monsieur), amava gli uomini effeminati».
Ed è verosimile l’intuizione della psicoanalista tedesca, dal momento che la Sand protesse ed aiutò molti artisti, consolandoli e aiutandoli psicologicamente ed economicamente.
Intenso fu il rapporto tra la scrittrice e molti geni del tempo, dei quali ella fu consigliera e fervida sostenitrice: da De Musset a Sainte‑Beuve a Victor Hugo, dallo storico Jules Michelet a Dumas figlio, al pittore Eugène Fromentin e altri.
Ma la predilezione la Sand l’ebbe per Fryderyc Chopin, del quale fu amica e amante. Epperò, avendo una tempra di dominatrice e una personalità fortemente autoritaria, con la sua possessività e la sua ossessiva passione, mise in crisi il compositore, il quale, dopo un po’, non sopportando più l’appassionato e invadente “amore materno” della scrittrice, fuggì lontano dalla sua benefattrice, né più né meno come aveva fatto, quando, ragazzino, s’era allontanato dalla sua opprimente e “borghese” mamma.
A proposito della tendenza della Sand a fare da pigmalione, la psicoanalista Helene Deutsch fa notare ancora che: «i numerosi amori di George Sand si concludevano immancabilmente in una medesima catastrofe. L’uomo appariva distrutto, mentre George Sand progrediva nella sua tempra “maschile”. Regola, questa, alla quale non sfuggì la relazione con Chopin il quale, nei confronti di George, da un lato fu attratto da una simpatia transferenziale, mentre dall’altro fu sconvolto dal dominio materno di quella donna.
Sulla falsariga della Sand, anche Sibilla Aleramo, personalità sicura di sé e piena di iniziative, aveva bisogno di esternare una protettività “mascolina”. Ella aiutò, facendoli conoscere al pubblico e alla critica, il poeta Cardarelli, Dino Campana, e Salvatore Quasimodo. Quest’ultimo, quando incontrò Sibilla, era ancora alla prime armi.
Oltre agli scrittori menzionati, la Aleramo ebbe al suo attivo una lunga serie d’amori. Le relazioni più note quelle con Papini, Boine, Emmanuelli, Franco Matacotta, il pittore Cascella e Clemente Rebora, il quale, anche a causa dell’incontro con la sfrenata Sibilla, entrò in convento.
Anche ad Italo Calvino piaceva comportarsi da pigmalione, tant’è che si prese cura di Elsa de Giorgi, piazzandola al Premio Viareggio, anche se va detto che il rapporto tra Calvino e la De Giorgi fu un’assistenza vicendevole.
In verità, Elsa, quando incontrò Calvino, era già un’attrice popolare e una promettente scrittrice. Sposata con l’industriale Contini Bonacossi, era bionda, bellissima, spigliata, colta; insomma era tale da far girare la testa a chiunque. Per Calvino, che a quel tempo viveva “sotto la tutela” della rigidissima e oppressiva genitrice, l’incontro con Elsa fu l’inizio della sua emancipazione: quella donna lo spronò a liberarsi dalle convenzioni borghesi di piccolo burocrate, che egli, sebbene comunista, non aveva mai abbandonato.
I due si scambiarono quattrocento lettere d’amore, l’«epistolario amoroso – secondo la filologa Maria Conti – più importante del nostro Novecento».
E come non ricordare che Alberto Moravia, la cui prima parte della vita fu dolorosa a causa di una grave infermità che gli comportò una certa depressione, si dedico a scoprire e a portare avanti dei talenti. Lo scrittore protesse ed aiutò Elsa Morante, Dacia Maraini, e la seconda moglie, Carmen Llera. Quest’ultima, in una intervista a Cesare Lanza, concessa al settimanale Sette, ha affermato che il suo approccio sessuale con l’uomo è alla pari, e che non gli permette di “essere dominante”. E ciò anche perché ha detto, finito l’amplesso vuole la sua libertà, e non intende “avere ingombri dopo il piacere” .
Tuttavia, anch’essa, malgrado questo che ha affermato, subì il fascino pigmalionico di Moravia.
Con tutte queste donne Alberto Moravia talvolta instaurò un rapporto di padre e figlia, e rappresentò per loro un porto “genitoriale”. Egli, mostrandosi pigmalione, cancellava le proprie carenze giovanili, fisiche e psicologiche.
In questo contesto va pure ricordato che Thomas Mann venne aiutato economicamente e socialmente dalla signora Mayer, sua grande ammiratrice e moglie di un industriale americano. Di questa donna lo scrittore, approfittò a volte anche sfacciatamente.
Grazie al fascino che esercitava su quella donna, Mann le fece intendere che il loro legame si sarebbe trasformato in un’intesa sessuale, ma in realtà, essendo egli omosessuale, non aveva alcun interesse erotico per la sua protettrice.
Per anni, dunque, le mentì sul tenore dei propri sentimenti, riuscendo a mala pena a nascondere che era interessato a lei solo per l’aiuto finanziario che l’amica non gli negava mai.
Una pigmalione fu anche Édith Piaf, la famosa canzonettista francese, la cui prima parte della vita fu molto travagliata. Partorita per strada, adottata da una maîtresse che si prese cura di lei, Edith visse in un bordello fino al raggiungimento dei quindici anni, e una volta andata via dal casino, cantò per guadagnarsi la vita.
Divenuta famosa, scoprì e aiutò molti talenti, tra cui, tanto per fare qualche nome, Ives Montand, Gilbert Becaud e il pianista Charles Dumont. A tutti la Piaf diede un avvenire e “offrì” anche il proprio letto, perché, oltre che essere altruista, era sensuale e trasgressiva. Infatti ella affermava che il suo “giaciglio” non era mai vuoto. Édith ebbe più relazioni contemporaneamente, ma la sua grande passione fu il pugile Marcel Cerdan, che, purtroppo, perì in un incidente aereo, lasciandola in una costernazione che la indusse ad ubriacarsi.
Dopo la relazione con Cerdan, Edith si legò all’impresario Lou Barrier; e, oramai avanti negli anni, incontrò un giovane sensibile, che chiamò l’Angelo, e che accolse in casa come segretario, che lanciò come cantante e che infine sposò.
Un pigmalione fu, ma a modo suo, anche Dino Buzzati, che a sessanta anni sposò una speranzosa scrittrice, la venticinquenne Almerina Antonazzi, che però, nemmeno dopo l’unione con lo scrittore riuscì a sfondare, forse perché la giovane poetessa era solo innamorata di Buzzati, e una volta raggiunto lo scopo di sposarlo, non ebbe altre velleità.
Del resto, Buzzati non era una tempra d’uomo che sapeva imporsi e probabilmente non si seppe imporre in campo editoriale per raccomandare la moglie; egli era un timido con una propensione per gli amori impossibili.
Uno di questi lo legò, quando aveva cinquant’anni a una prostituta, come lo stesso scrittore ha narrato nel suo libro “ Un amore”.
Per il resto, a parte quella con Almerina, Dino ebbe sempre relazioni travagliate, o appena accennate e mai portate a termine, come quella con la tedesca Elsa Della Sega, che Buzzati ritrasse nel quadro Il lampione e alla quale diede il suo primo bacio, quando aveva diciannove anni e lei ventisei, e che ricordò per tutta la vita senza più averla potuta incontrare.
Ma torniamo alla figura del pigmalione. L’esser umano ha una serie di bisogni dei quali non sempre ha piena consapevolezza. E così, fare il pigmalione giova a volte a non solo a chi è aiutato, ma anche a chi aiuta, in quanto conferisce autostima e prestigio.
AMORI TRAVOLGENTI, MA INSTABILI.
L’amore appartiene alla sfera dell’irrazionale e dell’imponderabile e sebbene quando è impetuoso cambia la qualità della vita, può accadere che chi è travolto da veementi passioni a volte perda il buon senso e la facoltà di giudizio.
Infatti gli amori follemente passionali sono spesso fonte di gravi inconvenienti proprio perché vissuti in situazioni “troppo emotivamente compromesse”.
Un grande amore legò Paul Éluard, poeta dadaista, a Gala. Per Paul, quella donna rappresentava l’esperienza misteriosa e sovvertitrice che attendeva da anni. Lei fu subito travolta dalla frenesia per quell’uomo che definì «genio meraviglioso». Gala fu l’ispiratrice dei versi d’amore di Éluard. Ma se agli inizi fu affascinata dal poeta, dopo il matrimonio, lo vide sotto una luce più pacata, meno travolgente e poiché non poteva stare con un uomo senza provare una impetuosa frenesia per lui, lo abbandonò sconvolta da un’altra bramosia, quella per Salvator Dalì. Dalì venerò Gala e lei divenne la musa, la madre e la compagna del grande pittore, finché arse la passione. Poi, improvvisamente, tutto finì.
Altro grande amore fu quello tra Salvatore Quasimodo e Maria Cumani, dalla quale il poeta ebbe un figlio. Quando Salvatore s’innamorò “violentemente” della Cumani, era sposato con Bice Donetti, ma non lasciò la consorte. Sempre propenso alle esaltazioni, poco dopo lo scrittore s’innamorò “perdutamente” di un’altra donna, Amelia Spezialetti, dalla quale ebbe una figlia. Fu a quel punto che la Cumani stanca d’essere emarginata, andò via portandosi il figlio Alessandro. Quasimodo disse di essere addolorato da quella “fuga”, ma continuò la sua vita di impenitente donnaiolo. Egli si vantava [GP1] di possedere le chiavi di molti appartamenti ove aveva «libertà d’accesso al cuore di molte padrone di casa». Come abbia potuto avere tanta fortuna in amore è strano: non aveva un carattere facile, era sdegnoso, polemico e suscettibile. Malgrado ciò e pur non avendo di certo un aspetto da dongiovanni (era piuttosto grassottello e i suoi lineamenti scialbi), Quasimodo si rendeva attraente vestendo in maniera elegante, impomatandosi i capelli (com’era uso fare a quel tempo) e, soprattutto, usando la vena poetica per incantare le donne.
La sua verve gli conferiva un grande ascendente e gli consentì di spezzare molti cuori. Furono tante le relazioni “travolgenti” che Quasimodo ebbe con amiche, infermiere, accompagnatrici, segretarie, etc etc. Si vociferò persino una malignità: che la figlia del pittore Mario Sironi si fosse uccisa per lui. Fatto sta che la carriera di appassionato dongiovanni di Quasimodo fu lunga e circostanziata e iniziò quando, diciottenne, suo padre lo mandò via da casa perché aveva messo incinta una ragazzina. Il figlio Alessandro, ha spiegato che suo padre era sempre predisposto a «furiosi innamoramenti» ma era altrettanto solito intiepidirsi ben presto.
Facile ad infiammarsi di passione ma, al contrario di Quasimodo, sbrigativo nel porre fine ai legami “scomodi” fu Pablo Picasso. Il pittore a Roma s’innamorò di Olga Kovolova, danzatrice dei Balletti Russi, e compagna di Sergej Diaghilev. I due s’incontrarono all’albergo Minerva, e divennero subito amanti. Nella Capitale vissero momenti meravigliosi, tanto che il pittore cominciò a disegnare con grande estro.
La passione, affermava Picasso, rende fertili artisticamente. Egli seguì l’amata a Napoli, a Madrid, a Barcellona e a Parigi, dove finalmente si sposarono; ma da quel momento il legame non funzionò più. La convivenza tolse ogni patina d’illusione ad entrambi. L’affascinante Olga, figlia di un alto ufficiale russo, prediligeva il lusso, i bei vestiti, la gente bene; un genere di vita che Picasso, figlio di una popolana, [GP2]abituato a vivere in modo spartano non condivideva. Olga gli diede un figlio e sperò di fare del marito un gentiluomo dell’alta società. Ma Pablo non s’immedesimò nei panni del dandy; anzi, appena la passione cominciò ad affievolirsi, piantò Olga per tornare alla condizione di bohémien.
Le relazioni improvvise e furiosamente passionali fanno emergere in seguito grovigli emotivi e talvolta, quando terminano, provocano nell’animo una impietosa devastazione. Nel caso di Olga lo choc [GP3] fu desolante: l’abbandono le ricordò vecchie frustrazioni ed essa entrò in una grave depressione.
I pittori Diego Rivera e Frida Kahlo, sempre avidi di forti esperienze, ebbero una vita turbinosa e frenetica, densa di avvenimenti passionali.
Frida, figlia di un fotografo europeo, immigrato a Città del Messico, studiò pittura. A diciotto anni ebbe un tragico incidente d’auto che la costrinse a lungo nella sedia a rotelle. Grande ammiratrice di Rivera, ne divenne l’allieva, l’amante e poi la moglie. Il loro salotto era aperto agli intellettuali così come i loro cuori erano sempre disponibili a sconvolgenti avventure. Frida e Diego si concessero una grande libertà: Diego fu persino amante della sorella della moglie, e Frida amò non solo molti uomini ma anche molte donne. Frida fu selvaggiamente e sensualmente innamorata di Trotzsky, ma dopo l’iniziale infatuazione lo abbandonò perché, conosciutolo meglio, disse di ritenerlo abbastanza noioso. «E tuttavia- confessò – dopo aver troncato la relazione – senza Trotzky non avrei mai capito la politica».
Diego e Frida, pur con le continue esperienze trasgressive, ebbero un intenso e prolifico dialogo umano e culturale. «Il mio modo di pensare, il mio modo di capire l’arte – sosteneva Frida – lo devo a Diego, e, per la verità, in qualche caso anche agli uomini che, amandomi, e standomi vicini, si sono dedicati alla mia istruzione».
Ugo Foscolo, poeta tra i più rappresentativi e “seriosi” della nostra letteratura, pur non essendo bello era però dotato di grande fascino grazie al quale attraeva le donne.
Malgrado i suoi biografi abbiamo cercato di nascondere questa sua “pecca”, al Foscolo piacevano la bella vita e le donne seducenti. Ancora adolescente, venne travolto dalla passione e “iniziato” al sesso da una signora alquanto matura, Isabella Albrizzi, e poco dopo fu amante focoso della moglie di Vincenzo Monti, Teresa Pickler, con la quale il giovane Foscolo ebbe una turbinosa relazione.
La carriera di grande seduttore del poeta fu intensa, ma se la passione sul momento esplodeva in maniera travolgente, in seguito, passato il primo impeto, Ugo dimenticava con impudenza la donna che aveva qualche tempo prima dichiarato d’amare follemente.
Anche Gabriele D’annunzio, pur non essendo né bello, né un fusto, riusciva a conquistare molte donne. Il padre del poeta impose al giovanissimo Gabriele di sposare Maria Hardouin, nella speranza di dare una calmata alle avventure erotiche del figlio, che procuravano cattiva reputazione a tutta la famiglia. Ma dopo il matrimonio, il Vate, non volendo “ imborghesirsi”, e convinto che amare è un’attività da non essere inquadrata negli stereotipi della routine, tornò ad innamorarsi follemente di attrici, scrittrici, donne dalla personalità regale ma anche di sartine, guardarobiere e cameriere. Verso tutte si sentiva attratto, di volta in volta, da “passione folle e insensata”. Gabriele era adorabile con le donne che incontrava, ma non appena avvertiva che stava per subentrare la monotonia della routine, fuggiva via verso nuovi lidi.
Il mito letterario dell’amore passionale fa sì che quello vissuto nella “normalità” sia ritenuto un pallido modello di quello “ideale”. Infatti, secondo alcuni, l’amore “vero” è quello che si manifesta come un turbine, una tempesta, come una sferzata. Ma certe passioni travolgenti si rivelano una forma di follia che scuote e distrugge tutto al pari di un uragano.
La sociologa Hannah Arendt, sostiene che è difficile mantenere intatto il ritmo passionale iniziale. Tuttavia, quando ciò accade, l’amore troppo “folle” cancella ogni equilibrio e arreca più dolore che felicità, perché instaura un vincolo fagocitante ed ossessivo. Dopo certi esordi folli e travolgenti, il problema è evitare che la passione provochi sentimenti di gelosia, d’invidia, e che scateni un narcisismo egocentrico: miscellanea davvero negativa per ogni relazione di coppia.
Solo quando il rapporto che ha avuto un inizio esplosivo, si trasforma in un legame intelligente, la coppia ha buone probabilità di riuscita. In caso contrario, dopo una partenza violentemente passionale, potrebbe sopraggiungere una conclusione tempestosa.
Diceva Oscar Wilde che stare in coppia è come stare al sole: se non si prendono alcune precauzioni, si finisce con lo scottarsi.
Il TRIANGOLO NELLA COPPIA
C’è chi ha bisogno di un rapporto immutabile per sentirsi sicuro e chi, invece, mai appagato dalla routine, sperimenta nuovi amori, imbastendo rapporti triangolari. I ménage à trois, a volte sono “accettati”, in altri casi invece sono motivo di tragedie. Quando lo scultore Gianlorenzo Bernini, scoprì che suo fratello Luigi andava a letto con Costanza Bonarelli, la sua amante e moglie d’un assistente del suo studio, sfregiò la donna e cercò di strozzare il fratello.
L’effervescenza amatoria, consueta in casa Savoia, ha creato una serie di “triangoli”. Vittorio Amedeo II, re di Sicilia e di Sardegna[GP1], impose come dama di compagnia, a sua moglie, regina Anna d’Orléans, la diciottenne contessa Jeanne Baptistine di Verruca che era la sua amante. Da lei sua Maestà si aspettava molto, perché la regina non gli aveva dato l’erede maschio, mentre la contessa aveva già fatto due maschi col proprio marito. Ma le aspettative regali non furono esaudite: Jeanne Baptistine diede al re una femmina, e Vittorio Amedeo finì col trascurarla.
Per ironia della sorte, di lì a poco la regina Anna diede al marito l’erede maschio legittimo. Vittorio Amedeo II, che non era un “cavaliere”, si disinteressò della sfortunata contessa.
Anche Carlo Alberto, mise su un triangolo. La ragion di stato lo costrinse a sposare Maria Teresa d’Austria e Toscana, ma egli amava la contessa Maria Antonietta Truchsess di Robilant, moglie di uno dei più prestigiosi ufficiali della corte.
Quando Carlo Alberto salì sul trono, chiamò accanto a sé il colonnello di Robilant ed elevò Maria a prima dama d’onore della regina. La contessa visse con discrezione accanto a Maria Teresa e la regina apprezzò la sua compagnia. Il re piemontese, benché avesse sempre evitato i pettegolezzi, non poté evitare che la sua storia d’amore venisse a galla. Forse per colpa della sua vicenda sentimentale, invecchiò e s’incupì anzi tempo.
Il suo successore, Vittorio Emanuele II[GP2], instaurò anch’egli un triangolo tra la bella Rosina, e la moglie, la regina Maria Adelaide. Il legame con Rosina, figlia quindicenne del tamburo maggiore dell’esercito, fece tornare al re l’entusiasmo e la voglia di vivere. Vittorio Emanuele II aveva altre amanti, ma per quella ragazza perse la testa, e da lei ebbe molti figli. La regina, rassegnata, permise che Rosa Vercellana abitasse nel parco di Stupinigi, per dar modo al marito di stare vicino ai figli che Rosa gli aveva dato.
A conferma che a casa Savoia, come in tutte le altre case regnanti, le cose andavano per quel verso, Umberto I dopo il matrimonio con Margherita,continuò a dispensare i suoi favori alle più belle donne del regno. Nella lunga lista ci furono l’attrice Emma Ivon, la nobile Vincenza di Santa Fiora, la moglie del marchese La Valle e la “dolcissima” Eugenia Litta Modigliani.
In un triangolo paradossale incappò Francesco Crispi. Egli era s[GP3]posato con Rosalia Montmasson, stiratrice torinese, gelosa, nevrotica e complessata, ma nel 1877 il sessantenne ministro degli interni, da tempo legato alla trentaseienne Filomena Barbagallo volle regolarizzare la sua posizione, sposandola! A quel punto Rosalia denunziò il marito per bigamia e Crispi fu costretto a dimettersi. Solo grazie a una serie di brogli, il noto uomo politico si salvò dalla galera.
Un curioso e inconsueto triangolo fu quello tra Victor Hugo, sua moglie Adele e il critico Charles A. Sainte Beuve. La devota passione di Charles fece dimenticare ad Adele i diverbi col marito. Victor Hugo, a sua volta, era innamorato di Juliette Drouet della quale diceva che [GP4]stimolava la sua produzione letteraria. «S[GP5]enza di lei, non potrei più produrre nulla[GP6]».
Un altro triangolo di dominio pubblico, fu quello tra l’ammiraglio Horatio Nelson ed Emma Hamilton, moglie dell’archeologo sir William Hamilton. Il vecchio e malandato Lord Hamilton, non volendo perdere la moglie, accettò la passione di Emma per l’ammiraglio, adattandosi a seguire i due amanti per l’Europa.
Pettegolezzi scoppiarono quando Emma diede alla luce una bambina che ipocritamente venne presentata come figlia adottiva. Quando Nelson perse la vita a Trafalgar, Emma Harte Hamilton, disperata, si dette al bere.
Un ménage simile a quello di lady Hamilton e Nelson, legò Ludwig I° Baviera a Mariannina Florenzi, figlia del conte Bacinetti. Quando Ludwig re intellettuale e grande amatore, conobbe Mariannina, «la più attraente delle donne», se ne innamorò perdutamente. Divenuto re, non dimenticò la dama romana, moglie del marchese Ettore Florenzi. Egli cercò conforto in quell’ amore, perché il ménage regale non era dei migliori.
Ezra Pound, poeta schivo e raffinato, marito di Dorothy Shakesperar, quando andò a Parigi s’innamorò della giovane violinista irlandese Olga Rudge, che gli diede il sospirato figlio; ma poco dopo la nascita di quel bambino, per ironia della sorte, anche Dorothy restò incinta, e da quel momento Pound visse contemporaneamente con la moglie, il figlio Omar, Olga e l’altro figlio.
Un triangolo vissuto schiettamente legò il critico d’arte Lionello Giorno a Linuccia Saba e al pittore Carlo Levi. Levi coabitava con Liuccia e col di lei marito, il quale non si ribellò mai al trentennale legame della moglie col pittore.
Stravagante triangolo anche quello tra il poeta Vladimir Majakovskij, la scrittrice e regista Lilia Jurevna Kagan e il marito di lei, il critico letterario Osip Brik.
I Brick continuavano a vivere assieme, malgrado il legame di Lilia con Majakovskij, ma questi era molto geloso del marito. Così, quando per caso i coniugi Lilia e Osip volevano fare all’amore, per non esser disturbati da Vladimir, chiudevano a chiave la porta della stanza del poeta per restare in intimità. Se Vladimir se n’accorgeva, scoppiava in eccessi d’ira furiosa.
Quando David Lloyd Gorge cancelliere dello scacchiere inglese, a quarantanove anni, s’innamorò di Frances, giovane insegnante della figlia, la volle sua segretaria particolare. Frances entrò nella vita di David, col quale condivise per anni ore ed ore di lavoro, tempo libero, viaggi e quant’altro capitava al “suo uomo”.
Del presidente francese Mitterrand si ricorda l’avventura dalla quale gli nacque una figlia. Mitterrand, che era sposato, di quella relazione e della figlia tacque sempre, e solo quando una giornalista rese pubblica la notizia, lo statista ammise i fatti.
Una vicenda molto riservata, in verità, quella tra l’ex cancelliere tedesco Helmout Kohl e la sua segretaria personale, Juliane Weber. Con essa Kohl discusse sempre tutte le sue azioni politiche. La moglie, signora Hannelore, che aveva “digerito” quel modus vivendi del marito, trascorse buona parte della sua esistenza studiando e interessandosi d’arte.
Insomma, i triangoli sono situazioni pericolose, ma in qualche caso nessuno se ne cura più di tanto.
IL MONDO SOMMERSO DI ALCUNE COPPIE
Fra tutte le componenti della dinamica di coppia la meno evidente è quella erotica, perché, essendo tabù, un ancestrale velo la ricopre, rendendola indecifrabile a volte anche agli stessi partner. Emblematica a tal riguardo la commedia di Vitaliano Brancati, Don Giovanni involontario in cui il protagonista, giunto nell’al di là, convinto d’aver fatto felici come nessun altro le donne che ha “amato”, apprende invece che è stato incapace di amare e di farsi amare.
Alla carenza di dati ricavabili dalla gente comune, suppliscono le biografie di alcune personalità illustri, che sono un palcoscenico nel quale è possibile comprendere come la componente intima di alcune coppie sia a volte alquanto bislacca.
Leonard Woolf e la scrittrice Virginia Stephen (nota col nome di Virginia Wolf) apparivano una coppia unita, ma le cose tra loro non andavano bene: Virginia, il cui ideale erano le donne, non volle fare sesso col marito, e Leonard, pur di starle vicino si rassegnò ai gusti della moglie
Della pudica regina Vittoria d’Inghilterra si sanno alcune indiscrezioni, che una dama di corte avrebbe ricevuto dalla regale maestà e che poi rese note nel proprio diario. Si sa che la regina si sottoponeva al “dovere coniugale”, solo per dare una discendenza alla dinastia, ma “non partecipava”, anche perché a quei tempi era sconveniente che una donna si lasciasse andare. Una pudicizia che era l’emblema stesso dell’Era Vittoriana. Vittoria riusciva a svicolare dal sesso con un escamotage: in quei momenti pensava all’Inghilterra e ai sudditi ai quali donare l’erede al trono.
Gli psicologi affermano che non è solo dell’Era Vittoriana che impera questo tipo di sessuofobia (Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa insegna).
Ben diverso fu il problema di Emma Hamilton, moglie dell’archeologo e vulcanologo sir William Hamilton, la quale confessò nel suo diario che il marito non onorava il debito coniugale. Emma alla fine spazientita si legò all’ammiraglio Nelson dal quale ebbe una figlia.
Nella metà del Novecento, in un’epoca in cui il sesso era ancora tabù e il perbenismo imponeva che almeno nell’apparenza matrimoniale tutto fosse normale, una curiosa vicenda creò un gran trambusto nella società bene. Protagonista fu una delle coppie più raffinate della Capitale, quella formata dal marchese Camillo Casorati Stampa di Soncino e dalla bellissima consorte, Anna Fallarino. La signora, senza che nell’ambiente nessuno avesse mai sospettato nulla, su richiesta del coniuge, faceva l’amore con i gigolò che il marchese le procurava e che pagava profumatamente. Durante gli incontri, Camillo scattava fotografie e filmava i giochi erotici della consorte, ricavando immagini che i coniugi rivedevano poi nel privato. La coppia andò avanti per anni senza dare scandalo. Nel suo diario, Camillo, descrisse quegli incontri come “molti intriganti”. Però quando a poco a poco l’ardente signora s’appassionò ad un affascinante studente Massimo Minorenti, il marchese sospettò che gli appassionati incontri fisici si fossero mutati in una storia d’amore. Il marito, “disperato” annotò nel diario: «È la più grande tragedia della mia vita: che delusione, non ho parole! Che schifo, che voltastomaco! Anna s’è innamorata dello studentello! Il suo è un volgare tradimento d’amore!». A quel punto il Casorati, “offeso”, imbracciò il fucile e fece fuoco sui due amanti. Poi rivolse l’arma contro di sé.
Un caso simile, meno cruento, era accaduto più o meno in quel tempo: protagonisti un famoso avvocato del foro romano, Giuseppe Sotgiu e la moglie Liliana Grimaldi.
Il Sotgiu, docente di procedura penale, presidente della giunta provinciale ed alto esponente del Pci era considerato fustigatore dei costumi ed esempio di moralità, tanto da essere scelto da Togliatti per presiedere la commissione di riabilitazione dei minorenni. Sebbene il Sotgiu in vari processi si fosse scagliato contro l’immoralità “occulta” degli ambienti altolocati della capitale, egli era invece solito frequentare con la moglie una casa d’appuntamento gestita da Rita Fantini, ove avvenivano scambi di coppia. Una volta mentre la signora Sotgiu, in presenza del marito, era in intimità col ventenne Sergio Rossi, vi fu un’irruzione della polizia. La notizia riportata da tutti i giornali creò uno scandalo enorme e mise in luce gli “strani” incontri del penalista.
Un sottobosco “particolare” di coppia fu evidenziato dalla tragica vicenda accaduta al poeta russo Aleksandr Sergeevic Puskin. Sua moglie Natalia Goncarova, donna bellissima, si era legata al cognato, il barone francese George d’Anthès, marito di sua sorella, perché Aleksandr era, a detta della moglie, “molto carente nell’intimità”. Puskin non fu turbato della cosa più di tanto, anzi, in cuor suo era contento di non essere costretto più ad assolvere a un dovere, quello coniugale, che non gli andava. Ma quando dopo qualche tempo l’intrigo venne a galla, lo scrittore, per non perdere la faccia, sfidò il rivale a duello, e lo scontro si concluse, purtroppo, con la morte del grande autore russo.
La straziante incomunicabilità con l’altro sesso e l’incapacità a mantenere un rapporto di coppia, portarono il poeta Vladimir Majakovskij al suicidio. Vladimir non si era rassegnato all’idea di essere stato abbandonato dalla sua Lili Brik, che aveva troncato la loro convivenza rinfacciandogli di non saper fare all’amore.
Malgrado la struggente passione del trentunenne poeta svizzero Blaise Cendrars per la dolce e incantevole attrice Raymone Duchteau, tra i due non vi fu mai intimità, tant’è che ella gli consentì d’amarla, ma non volle essere toccata nemmeno quando, nel 1947, accondiscese a farsi sposare. I due vissero come una coppia “normale” e solo pochi intimi conoscevano il loro patto di assoluta castità. Diceva Raymone, che il nutrimento del suo eros erano le poesie di Cendrars. Infatti ella, sia prima che dopo aver conosciuto Blaise, non ebbe mai rapporti con uomini e non li ebbe nemmeno con suo marito.
Un caso di unione fatta di pura interiorità intellettuale, quasi senza unione fisica, troviamo nella coppia Franz Kafka e Milena Jensenska. I due diedero vita ad un rapporto affettivo intenso, ma la loro intimità solo a sprazzi ebbe qualche risveglio. Franz era spesso avvilito da crisi depressive che gli facevano ritenere tutto inutile, compresi l’amore e il sesso. Milena, che in apparenza sembrava una donna eterea e intellettuale, tanto che nessuno suppose che quella donna avesse una gagliarda vitalità erotica, alla fine piantò lo scrittore per un prestante orchestrale, ma rimase spiritualmente vicina a Kafka fino alla morte.
A volte nemmeno tutte le scienze sociali e neanche la fenomenologia sono in grado di dare informazioni corrette sull’intimità di una coppia. Spesso i partner cercano d’apparire in società come se non avessero problemi di quel tipo, sicché è difficile, se non impossibile, interpretare ciò che accade nella loro intimità.
L’eccentrica nobildonna Luisa Amman Casati, che portò avanti alcuni dei più importanti movimenti culturali del ‘900, appariva un’intellettuale eterea e del tutto lontana dai grandi appetiti erotici. Invece ebbe una vita intima intensa, sia col marito, il marchese Casati Stampa, che con altri partner quando, come ella stessa scrisse nel proprio diario, il calo del desiderio nell’ambito matrimoniale si fece sentire. Luisa rivisse nuovamente le gioie dell’alcova con lo scrittore Compton Mackenzie e con il futurista Filippo Marinetti.
Un esempio all’inverso di quello della Casati fu Jayne Mansfield. La bionda e prosperosa diva degli anni Cinquanta, sexy symbol hollywoodiano, fece sognare generazioni di maschi, ma non era, come appariva, una mangiatrice di uomini, anzi, era del tutto frigida. Stare con lei, confidò Arnold Scwarzenegger, col quale la diva girò The Jayne Mansfiedl Show, era come abbracciare una colonna di ghiaccio.
Tendenze particolari, acrobazie e defaillance nell’ambito della coppia restano nascoste perché condannate dal “tabù sociale”. La disillusione di uno o di entrambi i partner, a causa di un malinteso perbenismo, non sempre viene alla luce, e così consolida una deleteria routine che incrina prima o poi il rapporto. Accade così che alcune donne ritengono di non poter “migliorare” la loro intimità, ma il più delle volte sono solo disinformate; in quanto agli uomini che soffrono “carenze”, essi non solo difficilmente le confessano alla partner, ma le nascondono persino in sede terapeutica.
Insomma, problemi, difficoltà e funambolismi erotici all’interno della coppia, sono rischiosi per l’equilibrio psichico e prima o poi finiscono con l’esplodere in tutta la loro drammaticità.
MENAGE FIACCHI MA INDISSOLUBILI
Il messaggio sociale “impone” alla coppia di ignorare le sabbie mobili nelle quali incappa, spingendola a mantenere saldo il legame, a volte anche al di là di ogni ragionevole buon senso. Seguendo queste “direttive culturali”, di ménage rimasti indissolubili pur non esistendo più l’unione di coppia se ne ricordano moltissimi, alcuni davvero emblematici.
Uno di essi fu quello del massimo filosofo tedesco del ‘900, Martin Heidegger il quale per oltre trent’anni non si decise a lasciare la moglie, sebbene fosse legato ad Hannah Arendt, la sociologa con la quale condivideva argomenti culturali e progetti intellettuali oltre che buona parte della sua giornata. Quando, dopo qualche tempo, la Arendt gli comunicò che avrebbe sposato un altro uomo dal momento che lui non lasciava la moglie, Martin, disperato pensò al suicidio, ma non al divorzio, sebbene il suo matrimonio fosse oltremodo fiacco e senza entusiasmi.
Qualche anno dopo Hannah lasciò il marito e tornò all’uomo che tanto ammirava.
Altro caso abbastanza emblematico è quello di Federico Fellini, il quale condivise i suoi successi lavorativi con la moglie Giulietta Masina ma nel contempo tenne una relazione seria con Anna Giovannini, donna intelligente che seppe capirlo, ma che il regista di “8 ½” , per oltre trent’anni, tenne lontana dalla ribalta. Fellini non seppe separarsi dalla Masina nemmeno dopo essersi sottoposto a varie sedute psicoanalitiche, e non solo non prese mai una decisione in tal senso, ma non riuscì nemmeno a lasciare l’altra donna.
In quanto a Marcello Mastroianni, l’attore ebbe, in costanza di matrimonio, appassionate e coinvolgenti relazioni sentimentali, ma non volle mai divorziare dalla moglie, Flora Carabella. Anche quando il bel Marcello s’innamorò pazzamente prima di Catherine Denève e poi di Faye Dunaway, non abbandonò Flora.
Dopo un lungo tira e molla, la Faye, che avrebbe voluto che l’attore divorziasse per sposarla, visti inutili tutti i tentativi, lo piantò affermando: «L’incapacità di Marcello a lasciare la moglie è tipica dei meridionali, che danno amore e affetto più degli anglosassoni, ma non sanno dare una svolta definitiva alla loro vita».
Quando Faye andò via, Marcello cadde nella costernazione, ma pur soffrendo, com’egli stesso confessò, “maledettamente”, non sciolse il matrimonio con Flora. Egli non si decise a divorziare nemmeno quando la moglie lo invitò a prendere una decisione in tal senso. L’attore sosteneva di provare per Flora amicizia e affetto, tant’è che volle festeggiare in pompa magna i vent’anni di matrimonio con la Carabella. Parlando del suo caso con l’amico Fellini, Marcello si rammaricava di “certe convinzioni sociali”: «Perché – si domandava – è normale, lecito e doveroso amare più figli, più fratelli, e non è ritenuto altrettanto “normale” essere interessati affettivamente più partner?».
Ma a volte il “doppio binario” in amore comporta grossi disagi. Un esempio tipico è la stressante vita privata che condusse Vittorio De Sica. Il regista di “Miracolo a Milano” e di tanti altri capolavori, volendo mantenere in vita due relazioni ebbe una frastornata esistenza per tenere sempre vivaci contatti con le sue due famiglie e con i figli avuti da entrambe le sue due compagne.
Per non fare discriminazioni, Vittorio, a Natale e a Capodanno oltre che nelle altre ricorrenze, chiedeva a una delle due donne di spostare gli orologi di casa in avanti e all’altra, viceversa, di mettere le lancette indietro. Così i bambini dell’una e dell’altra famiglia non s’accorgevano dei ritardi o degli anticipi con i quali babbo Vittorio celebrava le varie ricorrenze.
De Sica poteva così festeggiare in una delle sue due famiglie “a mezzanotte” l’arrivo dell’anno nuovo, quando in realtà erano le ventitré, e subito dopo recandosi nell’altra, ove brindava, sempre “a mezzanotte”, assieme all’altra compagna e agli altri bambini il nuovo anno. Una faticata alla quale De Sica sottostava piuttosto che por fine a una delle due relazioni.
Quei giochi d’equilibrio consentivano al regista, innamorato delle due donne, di non “perdere” né l’una né l’altra. Anche se, di fatto, come confessarono entrambe, finiva con lo scontentare ambedue.
Questo genere di politica familiare potrebbe sembrare esclusiva prerogativa maschile. Ma a volte anche in campo femminile ci sono esempi al riguardo persino in tempi passati.
La colta e raffinata contessa Teresa Gamba-Ghiselli, per volontà del padre andò sposa al conte Alessandro Guiccioli, uomo attempato e all’antica, cioè bigotto e poco galante. Teresa era invece piena di vitalità e desiderosa di conoscere gente che la facesse sentire donna. Il Guiccioli invece era alieno dalle frequentazioni che piacevano alla moglie.
Teresa, restando con una facciata rispettosa delle tradizioni, non lasciò il marito, ma non seppe rinunziare nemmeno ad essere l’amante di Byron, col quale aveva in comune la giovinezza, la passione per la poesia, per la pittura, per la musica, per il teatro e la grande voglia di sesso.
I due s’amarono a prima vista. Byron le chiese di lasciare il marito e seguirlo nei vagabondaggi in tutta Europa. Ma Teresa non si decise a compiere un passo che, soprattutto in tempi di grande perbenismo borghese, sarebbe stato avventato e denso di ripercussioni spiacevoli. E tuttavia la Guiccioli non era disposta nemmeno a rinunziare all’amore in nome del perbenismo: e quando la passione con Byron venne meno, Teresa non si perse d’animo e si legò al poeta Tribaldi, filosofo e studioso d’antropologia.
Il Tribaldi che era uno scrittore intelligente e sensibile, comprese i risvolti più reconditi dell’anima di Teresa e la fece felice. Ma la contesa nemmeno questa volta lasciò il marito, al quale rimase legata fino alla fine: «Stimo Alessandro, – diceva la Guiccioli – anche se non nutro alcuna passione per lui».
La scrittrice Elsa Morante, moglie di Moravia, era anticonformista, combattiva e vulcanica. Quando cominciò a rendersi conto che la fiamma cominciava a spegnersi, chiese al marito di non impedirle d’avere altre relazioni. Moravia, anch’egli d’idee originali in fatto di coppia, fu d’accordo che tra loro si instaurasse una vita matrimoniale libera. Elsa durante un viaggio negli Stati Uniti, poté intraprendere una tenera e intensa amicizia col giovane pittore newyorkese Bill Morrow, senza con ciò troncare il rapporto con Moravia. La scrittrice ebbe una altro intimo amico, il gallese Peter Hartmann, e anche questa volta non recise il legame con Alberto, che ella stimava moltissimo, e che affermava di “non potere abbandonare senza sentirsi impoverita psicologicamente”, anche se – confessava – verso di lui non nutriva più “alcuna passione carnale”. Quando un giornalista chiese a Moravia come mai avesse instaurato un menage così libero, egli affermò: «Le tensioni che si sviluppano all’interno della coppia possono avere picchi molto elevati. La convivenza crea lo scontro tra i caratteri, e l’incapacità di sopportare le esigenze dell’altro sono motivi dirompenti che, soprattutto in individui ipersensibili, producono tensioni fastidiose. In questi casi la rottura è inevitabile. Ma se non si vuol perdere i benefici dell’amicizia con l’altro, in qualche caso è possibile adottare alcuni “accorgimenti” che fanno continuare a vivere “assieme”, senza essere troppo “disturbati”»
Una filosofia che può sembrare paradossale, ma che è meno inconsueta di quel che appare, anche se l’esteriorità sociale fa di tutto per nasconderla.
IL DISLIVELLO D’ETA’ NELLA COPPIA
Esiste davvero un’età per l’amore? Secondo un luogo comune l’amore è retaggio della giovinezza e tuttavia passioni e tenerezze non si esauriscono nel primo periodo della vita.
Infatti spesso non è l’età che decide se un cuore non sia più in condizione di amare: è la mancanza di interessi, di entusiasmi, di idee che mette in pensione l’amore. Di “vecchi” se ne trovano anche sotto i trent’anni. Il discorso diventa assolutamente settario nei confronti delle donne mature: per esse il maschilismo non ammette che abbiano gradevoli incontri. La società ritiene che far figli sia il principale dovere delle donne, e che esse, una volta in menopausa, non dovrebbero avere velleità amatorie. E invece, e giustamente, sono molte le donne che rifiutano il pensionamento dell’amore. Paola Borboni a settantadue anni, sposò Bruno Vilar, di quarant’anni più giovane di lei. Era settantenne la marchesa Anne Marie du Deffand quando s’innamorò del quarantottenne politico inglese Horace Walpole, col quale instaurò una relazione amorosa. Ornella Muti (45 anni) è legata a Stefano Piccolo (37), Irene Pivetti (37) ad Alberto Brambilla (27), Alessandra La Capria(33) a Francesco Venditti (23 anni). L’attrice Barbara de Rossi, quarantenne, sta con il ballerino Branko Tasanovic, di 29 anni.
L’arcigno Machiavelli, in età matura, confessò: «Ho lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi perché non mi diletta più tanto leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci su Venere».
Una passione travolse il cinquantaseienne Voltaire per l’adolescente nipotina Denise che lo adorava, essendo affascinata dalla sua vivacità intellettuale. Richard Wagner continuò ad amare fino a tarda età. Bertrand Russell fu tenero amante fino a tarda età. L’ottantenne Alberto Sordi afferma: «Vivere a lungo non deve essere una condanna, bensì un vantaggio».
In Giappone agli inizi del Novecento molte donne, arrivate alla maturità, stanche del gravoso carico familiare, divorziarono. Bertold Brecht, ne La vecchia signora indegna, racconta di una settantenne che si ribella alla vita piatta condotta fino a quel momento e che da quel momento comincia a divertirsi.
Jean-Paul Belmondo a sessantasei anni confessa ancora il bisogno di amare. A ottanta anni l’umorista Bob Hope, spiegò: «Arrivare a questa età significa ricordare più date e più cose, non smettere d’amare». Secondo l’attore Renato Cucciolla, quando si è anziani l’amore è una ricetta per non deprimersi. A sessantaquattro anni l’attore ha avuto un figlio dalla trentatreenne Alida Sessa.
Marlon Brando a settantuno anni ha avuto il suo dodicesimo figlio e Anthony Quinn ebbe a settant’anni un figlio dalla segretaria Kathy Benvin. Ernesto Calindri, ultranovantenne, affermò che ancora l’attività che più esaltante era fare l’amore.
Stefano Zecchi si è sposato a 54 anni con la ventiseienne Sara Fioretta. Leo Ferrè ebbe un figlio a 62 anni. John Wayne a 60 anni.
A settanta anni Bette Davis s’innamorò perdutamente del suo giovane segretario e la soprano Lina Cavalieri ebbe diverse focose relazioni fino a tarda età.
Produttività lavorativa, arguzia mentale e ars amandi sono aspetti di un’unica forza vitale. Chi è longevo nel campo dell’arte, della politica, del lavoro e delle scienze e degli interessi mentali e culturali è anche efficiente in amore.
Victor Hugo a sessanta anni scrisse Lavoratori del mare e I Miserabili e si legò alla giovanissima Juliette Douret. Wolfhang Goethe a cinquantotto s’innamorò della diciannovenne Minna Herzlieb. Passione ricordata nella figura di Ottilia, protagonista de Le affinità elettive. A settantatré anni lo scrittore chiese la mano della diciannovenne Ulrike Levetzow. Nove anni dopo completò il Faust.
Giuseppe Verdi fu un longevo spirito creativo: compose il Falstaff quando aveva 80 anni, e fu un infaticabile amante fino agli ultimi anni della sua vita.
Il Premio Nobel Guglielmo Marconi a 70 anni s’innamorò di una ventenne che egli chiamava affettuosamente Nene. Il pittore Marc Chagall a novantasette anni, era in piena attività lavorativa ed erotica come testimoniò Juliette Douviner. Il generale austriaco Radetzky a settanta anni si legò ad Hannah, la fida governante quarantenne, che gli stava vicino anche in camera da letto.
Lo statista Otto Bismarck‑Schonhausen abbandonò la politica alla ragguardevole età di 75 anni, e si ritirò a Friedrichsruh, in compagnia di una lontana parente, che aveva trent’anni meno di lui, e che fu la sua tenera amante.
Galileo Galilei a sessantasei anni s’innamorò della trentenne Alessandra Bocchineri Buonamici. Gaspare Gozzi si unì alla poetessa dell’Arcadia, Luigia Bergalli (in arte Irminda Partenide), di dieci anni più anziana di lui. A metà del ‘700, Benjamin Franklin nel suo saggio Advice to a Young Man enunciava “buone ragioni” per scegliere una donna matura. Il sessantacinquenne Francisco Goya y Lucientes s’innamorò della ventenne Leocadilla Zorilla e con lei visse gli ultimi anni della sua vita
Edgard Allan Poe sposò la tredicenne Virginia Clemm, figlia di una sorella della madre dello scrittore. Il matrimonio fu celebrato perché i testimoni che mentirono la età della sposa. Bela Bartok sposò l’allieva Marta Ziegler che aveva sedici anni meno di lui. Lo scultore Auguste Rodin a sessantatrè anni iniziò una relazione con la ventisettenne pittrice Gwen John.
Charles Chaplin a trent’anni sposò la sedicenne Mildred Harris. A quarantatré conobbe la ventenne Paulette Goddard e se ne innamorò pazzamente. A 54 ebbe la straordinaria vicenda con Oona, di trentacinque anni più giovane di lui. Charlie a 73 anni ebbe l’ultimo figlio.
Il sessantanovenne Carlo Cassola sposò Paola Natali, che aveva trentacinque anni meno di lui. E un amore senile legò anche il sessantenne Pasternak alla trentenne Olga Ivinskaja, dalla quale ebbe una figlia, Irina Emilianova.
Anche Totò ebbe relazioni “sbilanciate”. In quanto a Renato Rascel il comico sposò la soubrette Giuditta Saltarini, che aveva trent’anni meno di lui. Placido Domingo a cinquantasei anni convive con la ventenne Alessandra Duller. Il cinquantenne José Carreras si è innamorato della ventottenne Petra Schlapp. Luciano Pavarotti a sessanta anni s’è unito a Nicoletta Mantovani. L’attore Carlo Croccolo a settantacinque anni, in terze nozze, sposò una trentasettenne. Alberto Moravia si legò alla trentenne scrittrice spagnola Carmen Llera. L’attore Gary Grant sposò Barbara Harris di quaranta anni più giovane di lui affermando: « A ottantadue anni faccio ancora all’amore».
Lo scrittore Norman Mailer sposò in seste nozze Norris, che aveva trentacinque meno di lui. II novantacinquenne architetto, scrittore e regista Luis Tranker ha avuto un figlio dalla sua governante, la trentaduenne Martina Holler.
L’ultrasettantenne narratore Erskine Caldwell sposò una donna che aveva trent’anni meno di lui e che gli diede un figlio. A ottantatré anni, Giovanni Malagodi, leader dei liberali sposò la trentacinquenne Elena Iannotta. Arturo Toscanini ebbe una travolgente esuberanza erotica: a 66 anni si legò alla pianista Ada Colleoni Mainardi. Seicento lettere e trecento telegrammi testimoniano l’attività, i pensieri, le passioni e la vita del grande maestro. L’esuberante Pablo Picasso, a sessantacinque anni si legò ad una liceale, Geneviève Laporte.
Anche molte donne amano avere rapporti con uomini più giovani: Il mensile Le Temps Retrouvé ha condotto un’inchiesta dalla quale risulta che fare all’amore dopo una certa età non è problematico se si è efficienti e motivati e se in gioventù non si sono avuti problemi psicologici, sociali e sessuali.
«La pressione sociale rende invivibile l’eros degli anziani e condanna il ménage sbilanciato; anche se in tanti altri casi nemmeno il discredito sociale ha cancellato il buon esito di unioni tra persone anziane o tra anziani e giovani» afferma lo psicologo G. H. Hartmann. E tuttavia, non sempre è possibile prescindere dal pregiudizio sociale.
Non solo, ma un tempo s’era abusato nell’accettare il dislivello dalla coppia. Infatti, nell’antichità maschi ricchi e anziani impalmavano giovanissime, concesse loro da avide famiglie. Dal Quattrocento al Settecento le donne siciliane si sposavano tra i dodici anni e i diciotto anni con uomini più grandi di loro. Lo stesso accadeva in Puglia, nel secoli XVI e XVII, ove l’età del matrimonio delle donne era tra i quindici e i venti anni. Nei primi del Novecento, in Basilicata, le donne andavano all’altare a sedici anni. Ma quando le giovani non trovavano efficiente l’anziano marito, si consolavano con qualche coetaneo.
LE COPPIE APERTE
Il filosofo medievale Abelardo, nella sua Historia calamitarum, riporta una lettera della sua amata Eloisa, nella quale essa rileva che bisogna lasciare spazi aperti nella coppia “per non soffocare”. I due ricordati nella storia per il loro tenero e affettuoso amore, contraddicono così la convinzione che la coppia aperta sia poco solida.
Uno dei più grandi filosofi del XX secolo, Bertrand Russell, ebbe una buona intesa con l’universo femminile, tant’è che nelle proprie vicende sentimentali, raggiunse un ottimo livello d’intimità con le donne con le quali si legò, in particolare con Lady Costance Mallenson, e con Lady Ottoline Morrell. Con esse Russell riuscì a creare una profonda sintonia umana e culturale, anche se tenne in ogni circostanza a mantenere la coppia aperta.
J. P. Sartre e Simone de Beauvoir ritennero che la coabitazione porti contrasti e conflitti, e così il loro rapporto andò avanti senza «gli sgradevoli sviluppi della convivenza». Nell’ambito domestico, dicevano i due scrittori, si sviluppano contese, liti e dissapori. Dare spazio alla libertà del singolo, affermavano, attenua le tensioni di coppia. Simone fece vari viaggi da sola o accompagnata da qualche amico; il salotto di J. P. Sartre era frequentato anche dalle sue amiche intime; e tuttavia Sartre e la Beauvoir rimasero legati finché vissero.
Anche il comico Totò amava la coppia aperta. Dopo aver sposato nel 1935 Diana Bandoni-Rogliani, divorziò da lei nel 1940, perché non sopportava le strettoie del matrimonio, ma i due vissero assieme altri dieci anni da coppia aperta.
Legame affettuoso e intellettuale molto intenso fu quello che unì Albert Schweitzer a Helene Bresslau, studiosa di storia dell’arte. Schweitzer a quel tempo era docente universitario e vicario di una parrocchia protestante, oltre ché organista e concertista di fama mondiale. Convinto sostenitore che la felicità sta nel dedicare la propria vita a chi soffre, egli riteneva suo dovere restare scapolo e in ogni caso, formare solo una coppia aperta con Helene, per non condizionarla nelle sue scelte. Albert, dava concerti in Europa, accudiva i suoi parrocchiani, insegnava Teologia all’Università, scriveva libri, Helene insegnava e viaggiava per studiare le opere d’arte. Quando Albert divenne medico, aveva quaranta anni, e annunciò alla sua compagna che sarebbe andato in Africa per aiutare i bambini abbandonati e la Bresslau approvò la scelta senza batter ciglio. Ma Albert, prima di partire, assalito dai sensi di colpa per essere sul punto di abbandonare l’amica, chiese ad Helene, di sposarlo e con lei andò in Africa. Il loro fu un esempio di coppia aperta che non si corrose nel tempo, e che alla fine, anzi, si consolidò.
Peggy Guggenheim, mecenate e ricca ereditiera, proprietaria di importanti musei d’arte nel mondo, sposò giovanissima Eugenio Vail, dal quale si separò perché si sentiva soffocare dalla invadenza “affettiva” del marito. Eugenio voleva invadere la sua privacy, programmarle la giornata, indicare chi doveva e chi non doveva frequentare. Peggy non sopportava che suo marito intendeva stabilire in quali ore lei doveva rincasare, prendere sonno e quando doveva svegliarsi al mattino. Abbandonato l’assillante Vail, Peggy si legò a Marcel Duchamp, dal quale si separò a causa della gelosia di quest’ultimo. In seguito Peggy instaurò una “felice” coppia aperta con John Holms e dopo che rimase vedova s’unì a Samuel Beckett. Con lui e via via con gli altri compagni della sua vita (il pittore Leonard Léger e lo scrittore André Breton), Peggy visse in assoluta libertà. «Non riesco a sopportare un uomo che mi controlli, che mi osservi e che mi indichi il sapone che devo usare o come devo nutrirmi o vestirmi» «Il rapporto tra un uomo e una donna – disse Peggy in una intervista a News Week – deve essere improntato a uno schema adulto, non a melensi rapporti infantili»
Un esempio di coppia aperta quella di Edda Mussolini con Galeazzo Ciano. Papà Benito aveva educata la figlia (che per anni fu sua consigliera politica) a vivere da “maschietta”: forte, autonoma, trasgressiva. Ma, incongruenze della vita, Mussolini, geloso, la faceva pedinare dalla polizia segreta, quando temeva che la figlia si facesse sconsideratamente consolare da qualcuno!
Dopo aver imparato a vivere liberamente, Edda sposò Galeazzo Ciano e il matrimonio non bloccò la libertà di quella donna evoluta e di idee progressiste.
Poiché non riusciva a vivere in quell’ambiente borghese, Edda pressò perché il marito fosse inviato in India. Arrivati in quelle terre lontane, lei e Galeazzo fecero un tacito accordo: ognuno dei due non avrebbe intralciato la libertà dell’altro. Questa libertà non impedì che Edda, nel momento del maggior pericolo per il marito, si battesse (purtroppo senza risultato) con determinazione e coraggio per salvarlo.
L’attrice Mariangela Melato nella trasmissione Novecento del 7 maggio 2001, ha dichiarato di sentirsi realizzata perché non è mai entrata in un ménage “chiuso”. Pur essendo stata affettuosamente legata “a meravigliosi compagni”, ha detto di essere vissuta sempre in coppia aperta, per non togliere spazio alla libertà di espressione e per non chiudersi «nell’angusto ambito della coppia stereotipa». La Melato ha affermato che la sua “politica di coppia” le ha consentito di poter crescere psicologicamente, affrancandosi da una eccessiva dipendenza dall’uomo.
La scrittrice Luciana Peverelli confessò alla giornalista Dina Luce che il suo matrimonio con un lord inglese fallì perché il marito non le permetteva nessuna libertà, né la faceva svagare perché era un pantofolaio: «Per anni rimasi così intrappolata accanto a lui»
In seguito la novellista italiana divorziò e instaurò una convivenza “elastica” con i compagni con i quali si legò, “per evitare di restare soffocata da una convivenza schiacciante”.
Vittoria Griffin, poetessa inglese, scrisse: «Personalmente ritengo che alla pienezza del sé nell’ambito della coppia si possa pervenire quando si ammette una certa libertà tra i due»,
Convinti dell’utilità della coppia aperta furono Luciana Lojodice ed Aroldo Tieri, i quali, sebbene legati da un grande amore, vissero sempre in case separate. L’attrice spiegò così la loro scelta: «La nostra unione si è salvata proprio perché abbiamo evitato l’invadenza sgradevole della convivenza». E la Lojodice affermò altresì: «Alcuni criticano il nostro modo d’agire, ma come poter rimproverare l’inclinazione alla coppia aperta, considerando che molte coppie tradizionali che vivono in maniera “socialmente consueta” nella stessa casa, si lacerano, si odiano e non si capiscono?»
Tuttavia per instaurare questo genere di mènage bisogna che i partner siano preparati al riguardo, sappiano dominare sentimenti come la gelosia, il senso d’insicurezza e il bisogno di protezione.
Questo non sempre accade, e un esempio è il caso dello scrittore D. H. Lawrence il quale, quando conobbe la signora Frieda von Richtofen, moglie di Ernest Weekley, suo professore d’inglese, le propose di divorziare e di sposarlo. Frieda l’avvertì: non intendeva rinunziare alla propria libertà; Lawrence le promise che non avrebbe intralciato la sua emancipazione. Ma il ménage aperto non funzionò proprio a causa della gelosia del grande scrittore.
Un fallimento fu anche il ménage “aperto” del romanziere Ernest Hemingway con la giornalista Martha Gellhorn. Hemingway dava di sé un’immagine d’intellettuale vigoroso, ma in realtà era una persona fragile. Quando sposò Martha accettò il principio della coppia aperta. Martha avrebbe potuto fare l’inviata speciale e girare per il mondo e lui restare all’Avana a scrivere libri. Ma quando la Gellhorn cominciò a viaggiare, Ernest dapprima la seguì ovunque lei andava, poi stanco e travolto dalle proprie insicurezze, se ne tornò all’Avana e chiese il divorzio.
Nella coppia “tradizionale” in molti casi, prima o poi, uno dei due partner finisce col fare il leader, e l’altro il gregario. I partner delle coppie aperte vogliono proprio evitare questo, nella convinzione che la gioia di stare insieme sia positiva quando vi è un margine reciproco di libertà e di eguaglianza. Perché ciò avvenga è necessario che abbiano instaurato tra loro un buon rapporto d’amicizia, solido, collaudato e senza falsi pudori.
Ma tutto questo, forse, si riesce raramente a raggiungere.
Giuseppe Paradiso
AMORI E DISAMORI NELLE COPPIE
Appunti per uno studio del rapporto a due
Edizioni Del Serpente
Edizioni del Serpente, Catania, 2003
Proprietà letteraria riservata dell’Autore.
Una parte della presente opera l’Autore l’ha ripartita in vari articoli, dal 1990 al 2003 sul settimanale “Il Gazzettino”, edito a Giarre dalla Soc.Coop.Lav.e Serv.Sant’Isidoro a. r. l
INDICE
Amore, sentimento complesso (19) (2)
L’amore nella dinamica della coppia (10) ( 1)
I due volti dell’amore (20) (4)
Il partner ideale
Amore e nevrosi
Innamorameto o depressione?
I pigmalione in amore (1) (13)
I pericoli dei partner competitivi (2) (12)
L’amore immaginario (3
Partner: gregari e prevalenti (4) (5)
I partner adulti e quelli infantili
Il compromesso: a repentaglio la coppia (5) 9)
Il triangolo nella coppia (6) 16
La gelosia nella coppia (7) (6)
Amori travolgenti ma instabili (8 (7)
Le coppie ( quasi) impossibili (9) (18)
Il dislivello d’età nella coppia (11) (14)
Il mondo sommerso di alcune coppie (12) (15)
Senza amicizia, solitudine nella coppia (13) (3)
La monotonia nel rapporto di coppia
La crisi della famiglia
Le coppie “aperte” (14) (17)
Coppie fiacche ma indissolubili (15) (10)
Amore ed eros dei potenti (16) (19)
Le coppie edipiche (17) (8)
Partner insoddisfatti dei genitori (18)
Le coincidenze dell’amore (21)
I forzati dell’eros (22) (20)
Coppie bizzarre eccentriche e insensate (23)
Unioni cruente e scellerate
I partner imposti e quelli scelti male (25)
Le crisi festive della coppia (26)
L’innamoramento dei letterati (27)
Non più maliarde né incantatrici (28 (21)
I litigi nella coppia (29)
Ménage strani e inconsueti
Il “genere” maschile e quello femminile (30)
L’Italia al maschile (31)
L’Italia al femminile (32)
Passioni sentimenti e ormoni (33)
Cicisbei e concubine (34)
Il partner ideale (35)
L’amore nei personaggi della letteratura. (36)
Coppie famose ritratte dai pittori
Comportamenti e amori della gioventù d’oggi (37)
C’è un’età per amare? (38)
Sindrome di Cleropatra e complesso del dongiovanni (39)
Ipocrisie sociali (40)
Menzogne e tradimenti
Le unioni “di facciata” (41)
Il senso del pudore (42)
Single e divorzi sprint (43)
Le coppie “anomale”
Le donne e il matrimonio (44)
I preti e il celibato
E se fosse una terapia antidepressiva?
Conclusioni
Amore, sentimento complesso (19)
Dal tempo in cui Catullo e Saffo esternavano le proprie passioni, al periodo della filosofia Patristica che lo riteneva poco coerente con la vita virtuosa, a Sant’Agostino che condannava l’amore persino nel matrimonio, ai dottori della Chiesa che disapprovavano l’amore per una creatura umana, ritenendo che quel sentimento dovesse essere riservato solo a Dio, al Medio Evo, quando tra marito e moglie non s’usava l’amore, al tempo in cui era vivo solo sotto forma d’adulterio tra il Trovatore e la castellana, al Romanticismo, che lo considerò presupposto del matrimonio, il concetto d’amore ha subito molte evoluzioni
Secondo alcuni è il più nobile dei sentimenti. I delusi e i pessimisti invece lo ritengono semplicemente una malattia che acceca la ragione. Accecato dall’amore fu Catullo che amò Clodia, moglie di Metello Celere e sorella-amante di Pubblio Clodio. Clodia (o Lesbia) come la chiamò il poeta, possedeva il cuore e la mente di Catullo e lo faceva soffrire e disperare quando lo abbandonava e lo tradiva a destra e a manca con chicchessia. E tuttavia, Catullo, pur geloso e disperato, non riusciva a staccarsi da quella donna, e quando lei lo richiamava a sé, egli accorreva felice, malgrado, in precedenza l’avesse maledetta per le di lei infedeltà. L’amore troppo geloso produce prima o poi odio e relazioni turbinose. Otello diventa assassino immaginando il tradimento di Desdemona.
Gli psicologi trovano che l’amore geloso sia un rigurgito dell’infanzia, quando il minore amando la madre o la minore il padre, provano gelosia verso l’altro genitore che, ritengono, sia la persona che si frappone tra loro e il loro oggetto d’amore.
Chi è “svezzato” da questa dipendenza, ritiene chi ama “follemente” un soggetto da psicanalizzare.
I neuropsichiatri, sostengono che l’impeto amoroso se non è controllato può diventare oppressivo. Invece l’amore sereno e senza struggimenti può essere un “fattore protettivo” del miocardio. Infatti, amare ed essere amati “serenamente” procura benessere all’organo cardiaco, fa diminuire l’ansia, lo stress e la depressione.
Ci sono grandi amori e passioni limitate, amori eterni e brevi incontri, amori fisici e amori spirituali; amori che creano gioia e amori che tormentano. Amori intellettuali e amori materiali. Alcuni sognano l’amore come i naufraghi sognano una spiaggia.
L’amore-sensuale in qualche caso è piuttosto effimero: quando nasce solo da un incontro fisico, dopo l’esaltazione iniziale, inevitabilmente finisce perché esalta l’attimo fuggente ma è senza programmi.
L’amore-passione, invece è basato sull’attrazione psicologica, sull’idealizzazione del partner. È il più romantico degli amori. La frenesia dell’infatuazione è una carica emotiva intensa, colma di pathos ma non dura a lungo. Infatti, l’infatuazione, è “cieca” e per questo è causa di forti disillusioni.
L’amore-amicizia è il più ricco e vario. Si basa sull’affinità delle idee, sulla comunanza dei gusti; è costante, senza spiacevoli sorprese. L’amore-amicizia proprio perché si basa su sentimenti e sintonie, prepara a un lungo percorso. Intesa, affiatamento, inclinazioni comuni e sintonia psicologica garantiscono la stabilità al rapporto.
Molte persone lamentano di non avere mai incontrato l’amore. Ma il più delle volte si tratta di individui che vivono un letargo affettivo, egoisti incapaci di saper dare sincera affettuosità, di miopi al punto da non saper riconoscere l’anima gemella. Essi tuttavia pretendono d’avere( magari “gratis”, cioè senza dare contropartita) l’amore che li consoli. Chi sa riconoscere la persona che meglio può stargli vicino, sceglie la persona giusta. Ma guai a non vivificare la fiamma: in amore è pericoloso vivere di ”rendita”.
A volte si crede d’amare invece si soffoca il partner e lo si rende schiavo del nostro egoismo. In questi casi l’amore agisce come un veleno.
Dalle biografie di grandi personalità, in vari campi dell’arte, della scienza e della politica si capisce che senza amore non vi può essere ispirazione e quando manca vengono meno le motivazioni per le grandi realizzazioni.
Senza le vibrazioni dell’amore non si ha carica vitale e pur nondimeno l’amore può essere causa di morte: la letteratura e la vita ci porta tanti esempi. Il giovane Werther distrutto da un amore impossibile si suicida. Si toglie la vita Didone, abbandonata da Enea. Medea compie una strage per l’amore perduto. Si tratta di esempi letterari che purtroppo hanno quotidianamente riscontro nella realtà.
Afferma il sociologo Armando Torno che senza i sussulti dell’amore l’animo è freddo.«Solo chi ama, o spera d’amare, ha una particolare vitalità».
Lo scrittore Giovanni Papini, intellettuale ribelle, sarcastico, ma anche depresso, descrisse così la sua necessità di trovare l’anima gemella: «Conobbi, fanciullo appena, le ansie degli amori casti; perdetti da grande, regolarmente, come tutti, la mia verginità; passai attraverso gli amori illeciti e le passioni proibite e i fidanzamenti approvati, ho finito (anch’io) nel seno delle gioie legittime del santo matrimonio. E allora si potrebbe dire : «Che cosa ti manca?» Mi è mancato soltanto questo: la donna ideale, la donna che prende davvero l’anima e la muta».
Non sempre però l’amore lenisce le carenze affettive. Il languore romantico, la malinconia sentimentale, arrovellano l’animo con tortuose introspezioni. Lo psicoanalista Theodor Reik è del parere che se l’amore è corrisposto tacita l’insicurezza, ma se manca o viene meno provoca un senso di fallimento, una sconfitta insopportabile che fa patire le pene dell’inferno. Se il partner ritiene che l’altro o l’altra abbiano perso interesse per lui, viene sconvolto dall’insicurezza o travolto dall’ira.
Un uomo ha ucciso i figlioletti e si è dato la morte per “punire” la moglie che non voleva più vivere sotto lo stesso tetto; un ragazzo, che in precedenza aveva abbandonato la fidanzata, quando ci ripensa, vuole ritornare con lei; ma lei è ormai legata ad un altro uomo e gli si rifiuta. Allora lo spasimante la trascina sotto i binari di un convoglio della metropolitana trovando la morte assieme all’«amata»; un uomo abbandonato dalla moglie, non rassegnandosi alla decisioni della sposa, uccide i suoceri, un cognato e una parente.
Molte persone psicologicamente deboli finiscono in depressione a causa dei loro “insuccessi di coppia”. Da un rapporto dell’Eurispes i fatti di sangue familiari sono i più numerosi tra i delitti: secondo l’inchiesta il 70% delle vittime sono donne(nel 41% dei casi si tratta della moglie o di una convivente).
Insomma, sebbene l’amore sia un sentimento esaltate, appagante, vitalizzante, in tanti casi, è sconvolgente.
Non sempre la fine di un rapporto coincide con la fine dei sentimenti. Se l’angoscia della separazione permane molto dopo la conclusione del rapporto, essendo un sentimento frustrante produce reazioni emotive inconsulte. Il sistema “arcaico” di risposta alla “perdita di qualcosa o di qualcuno ” è veemente e incontenibile, e provoca disperazione e violenza.
L’amore nella dinamica di coppia (10)
L’amore è tra le situazioni più complesse della vita. Gli innamorati mostrano un assorbimento completo dell’attenzione l’un l’altro, tanto che, quando flirtano, è evidente la mancanza del loro coinvolgimento e del loro interesse nei confronti delle altre persone e dei fatti che accadono attorno a loro. Questa intensa attrazione che lega l’un l’altro gli innamorati alimenta in loro la convinzione che l’amore possa isolarli dal resto della vita. Tuttavia, se si guarda la storia dell’umanità la convinzione che un’altra persona mediante l’amore possa soddisfare la maggior parte dei nostri bisogni ha una base culturale abbastanza recente. Questo sentimento così articolato era sconosciuto a Greci e Latini, ed è stato ignorato per tanto tempo dai popoli dell’estremo Oriente, dagli antichi Cinesi e dai Giapponesi. La tipologia affettiva, che esalta il sentimento d’amore come la sublimità più auspicabile, è stata introdotta dalla cultura occidentale, che ha educato le masse a ritenere l’innamoramento l’elemento fondamentale della vita di un individuo. Basta leggere qualche romanzo per rendersi conto di come la letteratura abbia alimentato questo sentimento nei suoi vari aspetti tra i partner.
L’amore, lungi dall’essere un comportamento che si realizza nella stessa misura per tutti, ha invece una variegata serie di forme e di sfumature. Vi sono amori che cominciano con una prepotente attrazione fisica, e altri che cominciano con una amicizia o per ammirazione. Amori ossessivi complicati dalla gelosia, dall’egocentrismo e dal narcisismo, e amori composti e tranquilli grazie a un forte self control.
L’amore che si sviluppa a prima vista è una circostanza che rischia di far scegliere compagni sbagliati. Speso finisce quando i partner pronunziano frasi come “non avevo capito che lui/lei fosse così” e in queste circostanze non resta alcun tipo di legame.
In quanto all’amore pragmatico o razionale, questo è un rapporto basato sull’amicizia, ma manca di una forti spinte passionali. Vi sono partner che si comportano come se amarsi fosse un dovere e considerano l’amore una specie di obbligo per venire incontro ai bisogni dell’altro. Un caso emblematico al riguardo è rappresentato dall’amore che legò Clara Wieck a Robert Schumann. La signora Schumann, concertista di primo piano, fu una consorte affettuosa che aiutò tutta la vita il marito, egocentrico e bisognoso di attenzioni e puntelli psicologici, rinunziando spesso, “per senso del dovere”, alle proprie necessità e alla propria carriera.
L’amore solamente erotico, invece, è fatto di puro edonismo ludico, ed è profondamente incentrato sulla bellezza e sull’avvenenza. Ma quando l’attrazione fisica viene meno i due partner smettono di stare assieme senza troppo drammi. Un esempio è dato dalla passione violenta che colse D’Annunzio per la Duse, e dall’altrettanta indifferenza dimostrata dal Vate per quella donna, quando la sua passione scemò.
Ci sono coppie che attribuiscono la massima importanza alla attività svolte assieme vedi il caso di Simone de Beauvor e Jean P. Sartre, di Bertrand Russell e sua moglie Dora, e altre che ritengono che l’amore sia soprattutto desiderarsi carnalmente, come evidenzia la passione che travolse la scrittrice Anaïs Nin ed Herry Miller. Vi sono invece amori puramente sentimentali al pari di quello che legò Luigi Pirandello a Marta Abba in cui mancava o quasi il requisito della passione sensuale e dell’eros.
L’amore-attaccamento è la forma più esasperata di ritorno all’infanzia. Si tratta di una variazione delle esperienze particolarmente ansiose della perdita dell’oggetto d’amore, frequente nei primi anni della vita e che viene proiettato, in seguito, da alcuni adulti, nel rapporto di coppia. Chi vive di amore-attaccamento sollecita continuamente nel partner sicurezza e dedizione; vuole essere tranquillizzato, vuole essere accudito, e presenta una grande fragilità in caso d’abbandono. È questo il caso in cui si osservano le più potenti reazioni emotive quando il rapporto finisce, perché si ricreano le situazioni della angoscia di separazione tipiche dell’infanzia. Un esempio di questo legame lo da il rapporto affettivo che unì il pittore Marc Chagall alla bella Susy Rosenfeld, compagna e ispiratrice di ogni azione della sua vita, tanto che, quando ella morì, Chagall cadde nella più cupa disperazione e tentò anche il suicidio. Chagall affermava che i drammi della sua vita erano stati, quando era bambino, la separazione dalla madre, e da adulto la perdita della donna amata.
In quanto all’infatuazione, essa si manifesta come passione incontenibile per una persona idealizzata e mai vista com’è nella realtà. Al pari dell’amore a prima vista, l’infatuazione, proprio perché inebria e fa perdere il senso della realtà, è piena di pericoli perché è un rapporto nevrotizzante, che finisce per inghiottire tempo, energie, sogni, e che prima o poi fa cadere nella disillusione e nella frustrazione. Per guarire da questa forma di coinvolgimento tanto pericolosa, bisogna conoscere realisticamente la persona oggetto dell’infatuazione cosa che nove volte su dieci pone termine alla idealizzazione. L’infatuazione è un sentimento “superficiale”, perché non si basa su una conoscenza vera della persona amata, ma su una esaltazione della fantasia. Il poeta William Butler Yeats sognò sempre una notte d’amore con la scrittrice Maud Gonne che aveva immaginato essere la sua donna ideale. Quando, alla fine, la Gonne, dopo la lunga e assillante corte di Yeats gli si concesse, il poeta, “trovando che la Maud reale non era come egli aveva immaginato” ebbe una disastrosa defaillance.
Il poeta Montale amò e desiderò senza riuscire mai ad avvicinare, Dora Markus, un’ebrea viennese della quale s’era infatuato avendola vista in una fotografia assieme al critico letterario Bobi Balzen. Secondo alcuni, però, Eugenio Montale si sarebbe inventata l’esistenza di Dora, per poterla cantare come musa ispiratrice. Montale s’infatuava facilmente e s’innamorò di una donna, appena conosciuta, l’austriaca Gerti Frankl Tolazzi, che gli ispirò la lirica Il carnevale di Gerti e che il poeta incontrò una sola volta, a casa del critico Matteo Marangoni, ma preferì “ricordarla con la fantasia” piuttosto che legarsi a lei.
L’infatuazione è il mal d’amore tipico degli adolescenti, che “prendono la cotta“ per una star del cinema o della canzone, in ogni caso per una personalità che primeggia nel firmamento dello spettacolo o della musica. I fan sono capaci di fare qualsiasi cosa per andare a letto col proprio idolo. A volte alcuni divi hanno trovato nelle camere da letto, nascosti tra le lenzuola, fan decisi a tutto, pur di fare all’amore con il loro idolo. Le star più gettonate sono ossessionate dalle avance dei sostenitori più agguerriti, che in alcuni casi diventano una pericolosa insidia. Ma senza arrivare a questi eccessi, non è insolito che allievi adolescenti si infatuino di quei docenti che hanno più carisma e che sono particolarmente accattivanti. Agli inizi del Novecento era questo un caso classico; oggi, con la libertà sessuale raggiunta, i giovani dedicano invece le loro attenzioni più ai coetanei.
Secondo i biochimici, l’amore provoca un senso di benessere paragonabile all’effetto endorfina, e il potenziamento dell’amore, su base romantica, sarebbe dovuto a una sostanza la feniletilamina, che però crea l’effetto “dipendenza”, tipica di chi è innamorato. La crisi che segue alla separazione, dopo la fine di un amore, sempre secondo i biochimici, è molto simile a quella causata dalla sospensione delle anfetamine. L’amore, insomma, sarebbe legato a reazioni chimiche, e le varie esperienze che esso provoca, senso di dolcezza, ottundimento o esaltazione dei sensi, estasi, passione, sono molto simili a quelle provocate da droghe come l’oppio, la morfina, la cocaina, i barbiturici, la marijuana e l’alcool. Per alcuni ricercatori come Liebowitz e Kaplan, l’amore è regolato soprattutto dal testosterone, dalla dopamina, e dalla noradrenalina, che fanno da afrodisiaci e da stimolanti per la passione.
Insomma, non è solo la letteratura che esalta l’amore, ma anche le sostanze chimiche sarebbero “responsabili” di questo travolgente sentimento, che però per certi versi è pericoloso e problematico.
Come dire che chi è innamorato lo è perché sotto l’effetto di una serie di droghe, chimiche, psicologiche e sociali.
Ma andate a farlo capire agli innamorati.
I due volti dell’amore (20) (4)
La passione amorosa è un legame appagante; ma quando diventa una ossessione egocentrica può trasformarsi persino in odio, e provocare tragedie. Malgrado ciò, è l’amore virulento il più romanticamente celebrato dalla letteratura: Tristano e Isotta, Aida e Radamés e tantissimi altri personaggi uniscono indissolubilmente Eros e Tanathos.
Amore tenero e felice è quello che legò lo scrittore Rafael Alberti alla poetessa Maria Teresa Léon. Quella sintonia permise loro di scrivere un libro a due mani: La tartaruga. «Di lei so tutto in anticipo e lei di me intuisce ogni mio desiderio» scrisse l’Alberti, sottolineando la grande intesa che li univa.
Un amore profondo e un’armonia unica coinvolse Riccardo Gualino, finanziere del primo Novecento e la moglie Cesarina Gurgo, sebbene avessero personalità forti. «Col trascorrere degli anni – scrisse Gualino – i nostri vincoli si rinsaldarono a tal punto che negli ultimi tempi mi pareva di formare con lei un essere solo»
Altra love story legò per cinquanta anni Winston Churchill alla moglie Clementine Hozier. Il loro rapporto non fu immune da incomprensioni ed amarezze, ma Clementine sosteneva che suo marito Winnie le aveva fatto dimenticare le sofferenze dell’infanzia e aveva contribuito a cancellare in lei l’odio che, a causa di un orribile padre, aveva nutrito per il genere maschile. Churchill amava la fedele ed affettuosa Clementine perché lo ricompensava di una madre affettivamente assente e distratta. Una madre che, quando egli era piccolo, gli aveva lesinato affetto e comprensione. Clementine sostenne il marito nelle occasioni più gravi, anche in campo politico e strategico.
Alfred Hitchcock e Alma Reville, si sposarono, si disse, perché lei era la migliore tecnica del montaggio degli Studios e lui il regista più in voga. Ma non fu la carriera che fece innamorare Alfred e Alma. La verità è che se è vero che il regista non poteva fare a meno della professionalità di Alma, in realtà i due si amarono teneramente e si erano incontrati intellettualmente. E così per molti anni lavorarono assieme ma fu il grande affetto, più che il cinema, a tenerli uniti.
Però non bisogna illudersi che il grande amore sia immune da defaillance. Anche gli affetti più teneri possono andare in frantumi, ma in questi casi la separazione non cancella la stima tra partner che hanno instaurato legami schietti.
Pablo Neruda, amò, riamato, per diciotto anni Delia Del Carril. Quando la loro storia cessò il poeta disse: «È stato bello, ma nessuna passione può essere considerata eterna». In seguito lo scrittore si legò alla giovane cilena Matilde Urrutia, che divenne sua consorte, ma non rinnegò mai “la sua” Delia, che definiva sempre dolcissima creatura.
Un amore grandissimo legò il compositore ungherese Zoltàn Kodàly ad Emma Gruber, compositrice ed esperta linguista, che lo aiutò nelle ricerche musicali. Emma, tedesca, tradusse le opere di pedagogia musicale di Zoltàn, contribuendo alla loro diffusione fuori dall’Ungheria. La Gruber morì vittima di un incidente. Kodàly affranto, ma ragionevole, affermò: «Non avremmo mai potuto avere più di ciò che abbiamo avuto».
Una bellissima storia d’amore si svolse in Danimarca, nel Settecento, tra Johann Friedrich Struensee, medico privato del folle re Cristiano VII, e Caterina Matilde, moglie di quel sovrano. I due si amarono teneramente ed essendo il re incapace d’intendere e volere, la regina, nominata reggente, passò allo Struensee il potere assoluto. Egli promosse numerose riforme, tra cui l’abolizione della tortura, la libertà di stampa, una legislazione matrimoniale progressista e costituì una burocrazia efficiente. Ma un gruppo di cortigiani invidiosi, urtati dalla liaison tra ministro e regina, ordì una congiura. Lo Struensee venne giustiziato “per tradimento” e la regina, cacciata dal regno “per infedeltà” tornò nell’Hannover dove morì di crepacuore.
Purtroppo esiste l’altro volto dell’amore, quello egocentrico e dispotico. Il criminologo Franz von Schmidt in proposito ha scritto: «le statistiche indicano che la maggior parte dei delitti ha origine da tragici e ammorbati fenomeni d’amore». Spesso infatti, dopo tormenti e affanni sopportati “per amore”, il rapporto può deflagrare con un raptus improvviso che porta persino al delitto. Cruenti crimini passionali sono dovuti alla ruggine della convivenza e alla gelosia.
Il giovane Girolamo, divenuto poi uno dei dottori della Chiesa, rientrato in casa a tarda sera, trovò due persone nel proprio letto e immaginando che la moglie giaceva con l’amante, uccise i due nascosti sotto le coltri. Con sgomento, dopo, si rese conto di avere soppresso i propri genitori, tornati a sua insaputa, dal paese natio. Colto da una crisi mistica di pentimento, Girolamo prese i voti, ma quel delitto “causato dalla gelosia” lo angosciò per sempre.
Secondo il sociologo Joyce McDougall l’amore accaparrante e persecutorio è tipico di chi è afflitto da problemi psicologici e può arrecare danni imprevedibili.
Lo scrittore Louis Althusser che da piccolo fu oppresso dalla madre e dai traumi bellici, ebbe una gioventù travagliata con vari ricoveri psichiatrici. S’innamorò pazzamente di Hélène, donna d’intelligenza spumeggiante e vivace, che lo avviò all’ateismo, alla politica e alla libertà di pensiero; ma era anche lei affetta da turbe emotive, sicché Althusser provò per quella donna trasporto ma anche insofferenza. Tuttavia i due rimasero assieme per trent’anni, con momenti di eros furioso, di tradimenti e di rappacificazioni Un giorno, mentre Louis praticava ad Hélene una delle “sedute di fisioterapia” con massaggio al collo, s’accorse che la donna aveva gli occhi fissi e la lingua tra le labbra. Inorridito Louis balbettò tra sé: «L’ho strangolata ?!».
Il filosofo venne ricoverato in un ospedale psichiatrico: fu disgrazia o omicidio? Althusser onestamente non escluse nessuna ipotesi, affermando di avere avuto un vuoto, uno smarrimento o una distrazione. In tribunale prevalse la tesi della follia, e l’uxoricida evitò il carcere, ma non il manicomio. Ci fu chi affermò che Althusser avrebbe ucciso la moglie dalla quale non riusciva “psicologicamente” a liberarsi.
A metà del ‘900, Ruth Ellis, bellissima indossatrice, sparò all’amante, il corridore automobilistico David Blakey, di cui era follemente invaghita, perché l’uomo voleva por fine alla loro relazione. A Londra, la contessa polacca Ludivina Skarbek venne pugnalata al cuore dal maggiordomo John Muldowney perché voleva troncare la relazione.
Lo scrittore William S. Burroughs uccise la moglie Joan Vollmer in una circostanza quanto meno insolita. Egli sostenne che stavano giocando al Guglielmo Tell, e puntata la pistola contro la donna “per gioco” gli era scappato accidentalmente un colpo. Il tribunale di Città del Messico ordinò il ricovero in manicomio per lo scrittore, poi lo espulse dal Paese.
In un caso simile incorse l’ingegnere svedese, Charles William Cutlip che strangolò durante un rapporto erotico la moglie Eva Ingrid, della quale, si diceva fosse pazzamente innamorato. Per rendere più attraente la loro intimità, i due pensarono di praticare un gioco che doveva culminare con un finto strangolamento. Secondo lo psicologo che visitò Cutlip, però non si trattò di pura «fatalità»: la sciagurata forse era stata causata dall’inconscio desiderio di Charles di liberarsi di una donna che lo aveva stregato e lo dominava!
Per l’omicidio di Maurizio Gucci è stata condannata la moglie Patrizia Reggiani che, qualche tempo prima del delitto, aveva lamentato d’essere oppressa e umiliata dal coniuge sbandierando l’intenzione di volersi liberarsi di lui ad ogni costo «anche in maniera cruenta». Eppure agli inizi della loro relazione i due avevamo dimostrato di amarsi tanto follemente da essere definiti la coppia dell’anno.
Alla fine del ‘900 una distinta signora ottantenne, con cinquanta anni di normale matrimonio alle spalle, uccise il marito, ex primario del Policlinico Umberto I di Roma. Con l’età il medico era diventato sempre più cupo e scontroso e la donna, stanca degli alterchi aveva chiesto il divorzio, ma il marito, avvezzo alla devozione della moglie, non accettò la ribellione e la perdita della consorte. Seguirono altre cruenti liti e la signora, una notte, colta da un rigurgito di folle rabbia, uccise il marito mentre questi dormiva.
L’amore straripante e insensato così come anche il deterioramento dell’affetto possono sfociare in tragedia. Diceva Oscar Wilde «l’amore furioso e prepotente finisce a volte per evolvere in odio. L’amore privo di egoismi evita un finale sciagurato».
Il partner ideale (35)
Poiché gli esseri umani sono straordinariamente differenziati e le loro personalità sono eterogenee, non esiste il partner ideale per tutti. Ogni individuo ne sceglie uno ritenendo che sia l’ideale. Sono vari i motivi per i quali viene preferita una persona piuttosto che un’altra; nella scelta, i punti di vista sono assolutamente personali, tant’è che l’attrazione fatale dipende da parametri soggettivi.
C’è chi s’invaghisce per una attrazione fisica, chi è affascinato da un particolare tipo; a volte può intrigare, come “modello ideale”, un aspetto insolito di una persona. Si può essere infervorati da un incontro esaltante, ma non sempre sono valutati gli aspetti “sconsigliabili” della persona che ci intriga.
Le persone “a rischio”, da “attenzionare”, hanno varie caratteristiche.Alcune hanno manie di grandezza, altre sono particolarmente volubili, altre ancora sommergono gli interlocutori raccontando i loro problemi, ma non ascoltano quelli degli altri. Da evitare sono sia le persone che pretendono di regolare minuziosamente la vita altrui imponendo abitudini e gusti; che quelle cronicamente incapaci di ammettere le proprie colpe. Anche le persone testarde e quelle esageratamente gelose sono da scartare, così come quelle che sono rimaste con una personalità infantile anche da adulte. Ed anche quelle che hanno sempre idee, programmi, interessi, diversi dai loro partner e che inoltre non transigono.
Vedere dunque quali caratteristiche a rischio sono presenti in chi ci affascina, è essenziale per evitare sgradite sorprese. Chi fa coppia con un soggetto “a rischio” deve essere in grado di fronteggiare incoerenze e sventatezze del partner “difficile”. E sono anche partner a rischio persone che, pur suscitando un’irresistibile attrazione, per alcuni aspetti costituiscono un pericolo.
Molti ménage, iniziati senza riflettere e gestiti con inesperienza, invece di essere il luogo della felicità, diventano una insopportabile oppressione.
Se l’amore è requisito essenziale per un buon inizio, esso è anche il versante più fragile e meno stabile del ménage: se viene meno, crolla l’edificio che su esso era costruito.
Nei tempi passati l’amore era considerato un optional. Privilegiate erano le condizioni che assicuravano stabilità al rapporto: la capacità della donna di fare molti figli e l’adattabilità a fronteggiare le avverse circostanze della vita.
Il partner veniva scelto per convenienza. Il legame s’instaurava tra persone della stessa categoria e nell’ambito della prossimità sociale (contadini con contadini, camerieri con camerieri, nobili con nobili, etc. etc.).
Quando si attribuì all’amore l’essenza più importante dell’unione, s’intromise un fattore di vulnerabilità. Privilegiando romanticamente il sentimento e il colpo di fulmine, che per sua natura è irragionevole e travolgente, si rischiò che le unioni dipendessero dai capricci del “cuore”. La preminenza dell’amore nella scelta del partner, lungi dal cementare il rapporto, può infatti essere causa di precarietà dello stesso.
Nei secoli passati le unioni erano meno aleatorie, più stabili, perché l’amore aveva un peso trascurabile. Se veniva meno non produceva una destabilizzazione del rapporto. Nei tempi moderni il legame romantico, estroso e imprevedibile, ha paradossalmente reso più insicuro il ménage. Se il sentimento muta, l’unione è finita.
Nel ‘500, il filosofo Montaigne esortava a frenare la passione amorosa, e ad evitare il sentimento smodato perché diceva: “complica il rapporto”. S. Tommaso sconsigliava il matrimonio scaturito da passione violenta. San Gerolamo addirittura vietava l’amore tra coniugi, temendo che la passione terrena distogliesse quella per Dio. Secondo Chateaubriand l’amore tra coniugi è pericoloso perché se viene meno, il rapporto si sfalda.
Cesare Ottaviano Augusto, persuaso assertore della pericolosità dell’amore, si era fatta questa convinzione seguendo le vicissitudini di Giulio Cesare, travolto dalla passione per Cleopatra. Ottaviano meditò a lungo anche sulla sorte del proprio rivale, Marc’Antonio, costretto a stravolgere la propria politica per accontentare l’amata regina d’Egitto. E così Ottaviano si guardò bene dall’innamorarsi di chicchessia e si dichiarò sempre “vaccinato” dall’amore.
L’imperatore Elio Vero, salito al trono nel 136 d.C., non disdegnava altre donne oltre la moglie. A chi lo rimproverava rispondeva con sussiego: «Lo faccio per salvaguardare il mio matrimonio: amare oltremisura una persona è pericoloso».
Scusa maliziosa, che segnala però come la maggior parte della gente la pensava a quel tempo.
Elisabetta I° d’Inghilterra affermava che l’amore, «sentimento che fa perdere la testa», era un lusso che una regina non può permettersi, perché «assieme alla testa, potrebbe perdere anche il trono». Elisabetta sceglieva i suoi preferiti tra i più meritevoli di stima, ma cercò di non innamorarsi mai di nessuno di essi.
A partire dall’Ottocento si sostenne che l’amore rende il rapporto indistruttibile. Da allora difficilmente due persone si mettono assieme se non si amano davvero (o quanto meno se non “credono” di amarsi). E tuttavia, quelli che non riescono a gestire l’amore nelle sue molteplici sfaccettature restano intrappolati in un legame che può diventare un assillo dirompente.
Anna Magnani fu vittima dell’amore: le sue passioni finirono puntualmente nelle secche del fallimento. Anna non sapeva scegliere i partner e di conseguenza non riusciva ad evitare quelli “a rischio”. Dopo un periodo d’intensa passione, finiva l’incanto e l’attrice cadeva nella disperazione. Accadde con Osvaldo Ruggeri, con Goffredo Alessandrini, con Massimo Serrato, con Roberto Rossellini.
Alla fine la Magnani si convinse che «i grandi amori bisognava accettarli senza farsi illusioni e soprattutto senza immaginarli eterni».
Per far durare un ménage, bisogna allora sconsigliare l’amore?
No di certo: e del resto non si concepisce più una coppia che non ostenti amore.
Ma per scegliere il partner giusto serve l’uso dell’intuito e della ragione e soprattutto è necessario avere la fermezza necessaria per evitare quello sbagliato.
Innamoramento o depressione? (24)
Non sempre gli stati depressivi e i conflitti psichici vengono affrontati cercando di risolvere i problemi che sono alla base. Oltre che nella nevrosi, a volte, come afferma lo psicoanalista Otto Rank, essi si “materializzano” addirittura nell’opera d’arte. In qualche caso, a ben guardare, una “circostanza” alternativa alla depressione è persino l’innamoramento, che diviene così una risposta deviata all’insoddisfazione e alla malinconia. Ma il sentimento amoroso non cura la depressione, la“occulta” temporaneamente. Infatti l’angoscia depressiva, “spostata” dalla sua forma originale, diventa angoscia d’amore.
Diceva Eleonora Duse che sentiva il “bisogno” impellente d’amare soprattutto nei momenti di maggiore fragilità. La “divina” affermava di “cercare d’innamorarsi” proprio quando si sentiva più depressa. Una riflessione che sottolinea come i processi psicologici della malinconia stanno alla base delle angosce degli innamorati. L’amore è invocato durante i periodi di maggiore scoramento: nell’adolescenza, costellata da smarrimenti, insicurezze e tristezze; nell’età adulta quando l’insuccesso lavorativo, il fallimento di coppia, l’esito sfavorevole di un progetto politico, artistico, sociale, appaiono come sconfitte cocenti che mettono a repentaglio l’autostima, e creano un’inquietudine depressiva con relativo bisogno d’amore “riparatore”.
L’innamoramento può mettere sicuramente a soqquadro anche una mente tranquilla, per cui è facile immaginare quanto sia dirompente se si sviluppa su una situazione psicologica già resa instabile da afflizioni e sconforti. Poiché la persona depressa è psicologicamente fragile e poco resistente a sentimenti forti, difficilmente essa riesce a gestire una situazione così densa di implicazioni dirompenti come l’amore. Per il depresso, imbarcarsi in una prova amorosa può essere un rischio con risultati più negativi che positivi. Infatti il soggetto afflitto da depressione non riesce a recuperare il buon umore attraverso l’amore, anzi in lui si innescano gelosie, conflittualità e tormenti, che finiscono col creare una situazione ingovernabile. Chi è già afflitto da paure infantili, sarà un partner gelosissimo, stizzoso, permaloso, molto più di quanto non lo sia qualsiasi partner che non soffra di turbe di abbandono.
«Se sono felice, non ho una grande esigenza d’amare…» affermava Eleonora Duse. I suoi innamoramenti erano così rabbiosi, così straripanti di stizze, così colmi di gelosie che non sgorgavano dalla gioia, ma dalla tristezza ed erano quasi sempre pervasi da insoddisfazione. L’attrice in piena crisi depressiva, si legò a Martino Cafiero, sperando che quell’uomo, con la sua superficialità la salvasse dall’angoscia. Ma l’esperienza fu deludente, così come lo fu quella con Tebaldo Checchi, il modesto attore che l’attrice sposò durante un periodo di travagliate insoddisfazioni. Dopo avere avuta una bambina da Checchi, la Duse si separò dal marito e si legò a Flavio Andò, fidando, ma invano, che almeno lui la tirasse fuori dalla spirale aggrovigliata dei tortuosi e dolorosi marasmi della sua anima.
Ancora più irriflessiva fu la passione ardente dell’attrice per D’Annunzio, funambolico e spregiudicato in amore così come nella vita. Quella passione da un lato diede corda al narcisismo di Eleonora ma finì per travolgerla e paralizzarla. Tutte quelle scelte sentimentali furono dettate all’attrice dal proprio bisogno di mettere a tacere le ferite narcisistiche che tormentavano la sua mente.
La valutazione che la Duse faceva dei suoi partner era dettata dai grovigli interni che l’assillavano sin da quando era adolescente. L’attrice, “narcisista bambina”, giocando all’innamorata, sperava di dominare l’uomo con cui stava e nel contempo sognava di essere al centro dei suoi pensieri e delle sue azioni. Le cose però spesso andavano diversamente, ed Eleonora si ritrovava tragicamente sola, con ferite narcisistiche che bruciavano più delle piaghe.
Sono molti gli esempi in cui l’amore è stato un bisogno “alternativo”. Giosuè Carducci quando si sentiva “imbolognire” cioè quando era avvilito della vita piatta e scialba che conduceva a Bologna, cercava nell’avventura sentimentale una compensazione alla propria depressione. Pablo Picasso non riusciva a superare l’empasse della carenza di creatività se non s’innamorava. Franz Kafka, eternamente depresso, era sempre in cerca di una passione amorosa che lo salvasse dall’angoscia; ma non riuscì mai a concretizzare la sua aspettativa.
Pure Giacomo Leopardi, per guarire il suo complesso d’inferiorità, cercò sempre ma in vano di avviare un dialogo amoroso con una donna, ma proprio perché sempre insicuro di sé non seppe mai portare a termine nessun consistente progetto al riguardo.
Se l’amore è utilizzato come alternativa all’angoscia, come espediente per compensare la malinconia, può accadere che diventi “un masso” capace di schiacciare più che di fortificare
Per questa ragione molte persone affermano di non trovare nell’amore il conforto desiderato e finiscono col ritenerlo una esperienza poco fruttuosa. Esso può diventare un problema se viene sperimentato nel periodo e nella maniera meno adatta. Immaginiamo una persona affetta da tachicardia, che imprudentemente per superare quel malessere inforchi la bicicletta cercando, come terapia contro l’affanno cardiaco, di percorrere molti chilometri in salita!
Più una personalità è forte, più è in grado di affrontare gli ordinari travagli d’amore, se invece è zoppa, scivola nel terreno minato dei sentimenti. Non è infrequente infatti, che il bisogno di una relazione amorosa, paradossalmente, non dipenda da una esigenza solare, ma sia il campanello d’allarme di uno stato malinconico.
Amare è un buon esercizio psichico, così come la ginnastica è positiva per il fisico. Ma non sempre la ginnastica porta benessere: con problemi cardiaci non possono fare esercizi atletici, così come non si avrà una sana relazione amorosa se la situazione psicologica di base è compromessa.
Alcune persone affermano di non avere mai sperimentato un amore cristallino, gioioso e sano, e dubitano persino che possa esistere. Ciò accade quando si è psicodipendenti, rancorosi, ostili, ombrosi; oppure quando si vuole essere sempre padroni del partner e non si sa mai offrirgli nulla di ciò che può renderlo veramente felice. Chi non è in grado di viaggiare in sintonia con un’altra persona, incorre in malintesi, ostilità, e recriminazioni, cioè mette in moto le condizioni peggiori per non avere mai un rapporto tenero e profondo.
La gente crede che “Federico” sia innamoratissimo della sua “Melina”, perché è gelosissimo di lei, ignorando che chi è tormentato dal quel sentimento non ha tempo d’amare, tutto preso com’è dalla propria infantile angoscia di abbandono. “Litigano sempre, ma si amano” dicono amici e parenti di un’altra coppia, non rendendosi conto che i contrasti, a volte violenti e maneschi, sono un sintomo della nevrosi di base, piuttosto che un aspetto dell’amore.
Così, quando ci sono conflitti interni irrisolti, difficilmente è possibile fruire dei vantaggi dell’innamoramento, e in questi casi ci si chiede: si tratta di amore o di depressione?
I ménage nevrotici
L’innamoramento è un’emozione intensa che in qualche caso può creare conflittualità. Considerazione, questa, ignorata dagli occidentali, convinti che si raggiunge uno stato di incantamento allorquando si ama o si è riamati.
Ottimistica premessa, che non però considera che il rapporto di coppia, essendo l’amore un sentimento ambivalente, è un legame “a rischio”, spesso portatore di cocenti disinganni.
Per il romanziere Patrick McGrath, autore di Follia e Il morbo di Haggard, la passione coincide con la follia. Dice McGrath: «Tutti ritengono l’amore il bene assoluto, ma c’è un stadio apicale in cui la persona innamorata, se non raggiunge l’appagamento dei propri desideri, può perdere il controllo. È questa la parte distorta dell’amore»
Chi affronta il ménage con alle spalle una situazione emotiva vacillante, sperando di risolvere le proprie ansie e frustrazioni, trasforma il rapporto di coppia in un groviglio emotivo. Infatti spesso i partner “nevrotici” continuano nel ménage il tipo di rapporto morboso che avevano sviluppato nella loro infanzia. Un “sesto senso” indica ai tipi emotivamente vacillanti di scegliere tra tanti il partner più adatto per instaurare lo stesso tipo di legame che hanno appreso nell’infanzia.
L’amore si affievolisce per la litigiosità, il protagonismo, la prevaricazione di “lei” o di “lui” tutte intemperanze che rendono impossibile un’unione serena.
L’egoismo a volte è più forte dell’amore, e persino l’invidia artistica incrina i sentimenti. Spesso è impossibile la convivenza tra persone creative perché il successo sviluppa, all’interno della coppia, picchi di rivalità.
Ovviamente, i disturbi mentali dei partner sconvolgono la coppia.
Il matrimonio di Luigi Pirandello andò in malora per la sopraggiunta psicosi della moglie. Lo stesso capitò a T. S. Eliot, quando la moglie precipitò nella nevrosi ossessiva. Il dramma della follia sconvolse la coppia formata dal poeta inglese Ted Hughes e dalla scrittrice Sylvia Plath. Ma senza andare lontano, anche quando non c’è una malattia mentale “ufficializzata”, molte persone hanno comportamenti ossessivi o compulsavi che danneggiano l’armonia della coppia. L’uomo ossessivamente geloso, la donna ossessionata dalla pulizia, il bisogno esagerato di sentirsi “necessari”, il sentimento di possesso dell’altro dannano l’esistenza della coppia.
Le persone psicologicamente instabili, frastornate dai problemi della vita, creano tensioni che scavano abissi profondi nella vita in comune.
C’è poi chi mostra un temperamento forte, ma solo in apparenza, perché nell’intimità si mostra fragile e insicuro. L’ambiente controlla e condiziona gli intrecci sentimentali e le schermaglie amorose. La letteratura ha facilmente associato amore a dolore, e così molta gente non immagina che si possa amare ed essere amati senza sofferenza e disperazione. L’amore romantico, fatto di sogni, di ricordi, di casti baci, ma anche di dolore è quello di Eugenia Grandet, personaggio del racconto di Balzac.
Eugenia resterà “fedele” al ricordo incancellabile della sua passione (non condivisa) per il cugino Carlo e non vorrà disfarsi di quel sogno, rinunziando a qualsiasi altro legame.
La persona sana distingue i pregiudizi “romantici” dall’amore vero, e difficilmente s’imbarca in una relazione struggente e devastante.
Una buona unione dipende dalla comprensione e dalle affinità dei partner, dalla loro disposizione alla benevolenza e all’indulgenza. Essere capaci di un contatto sincero, vero e autentico, significa anche libertà psicologica.
Chi non può fare a meno del proprio partner, anche se questi obbiettivamente si dimostra “ cattivo soggetto”, non è in grado di gestire la propria vita in maniera autonoma.
Le personalità che sin dall’infanzia sono state guidare e puntellare dai genitori, e non si sono mai affrancate da quella “sudditanza” e si appoggiano al partner chiedendo un continuo “assistenzialismo”, e si affidano ad esso fino a che, a poco poco si identificano con lui.
Nel romanzo di W. Somersit Maugham, La pelle degli altri, la protagonista si cerca sostegno passivamente nel proprio partner, essendo senza iniziative e non avendo certezze autonome. Lo scrittore Henry Miller notò quest’atteggiamento nella propria moglie Jane. Miller scrisse ad un amico. “Jane non ha bisogno di un marito ma di una persona che le faccia da stampella nella vita.”. E questa dipendenza di Jane era così forte che, malgrado conoscesse i tradimenti del marito, non si allontanò mai da lui.
Partner-deboli non sono però solo donne. Molti maschi si appoggiano alle compagne, ne seguono le scelte, i gusti, le abitudini e i modi di fare.
Una relazione di questo genere quella tra Wanda Toscanini e il pianista Vladimir Horowitz. L’ambizioso Horowitz, pur essendo omosessuale, corteggiò e chiese in sposa Wanda perché era la figlia del grande direttore d’orchestra, sperando di avvantaggiarsi nella carriera grazie al suocero.
La figlia del grande direttore d’orchestra, pur sapendo la condizione di Horowitz, si dedicò all’astro nascente nel firmamento dei grandi interpreti. Anche dopo che nacque Sonia la presenza della bambina non allietò il pianista, che infelice e nevrotico, continuò ad accompagnarsi apertamente con uomini.
Quando i tradimenti diventarono scandalosi, Wanda lo sbattè fuori di casa. In seguito, impietosita dal «povero nevrotico», lo riprese con sé. Qualche tempo dopo disperata confessò: «Mio padre mi ha fatto diventare nevrotica, mio marito mi farà diventare pazza».
Un altro elemento molto importante quando si è instaurato un rapporto “nevrotico” è come evince dal caso della figlia di Toscanini, il desiderio di “salvare” il partner, perché in questo modo, il partner salvagente si sente edificato, mostrandosi “necessario” e “magnanimo”. Ma in questo caso è evidente “il guadagno” secondario nella nevrosi di chi, per sentirsi “importante ed edificato” sacrifica la propria libertà in nome di un assistenzialismo che serve al proprio narcisismo, piuttosto che ad un sano amore per l’altro..
Molta gente nega i propri bisogni e si fa schiavizzare dal partner, preferendo magari navigare in un ménage insicuro “piuttosto che niente”. Ciò accade quando un uomo e una donna stanno aggrappati come naufraghi nella zattera del loro ménage.
La sociologa Armanda Guiducci rammenta che un tempo (e forse ancora oggi) alcune donne, immerse in una barriera di pregiudizi e di riserve mentali vivacchiavano con partner lontani da esse abissi profondi, ma ritenendosi tuttavia fortunate ad avere almeno quel compagno.
Di converso, molti uomini si sottopongono ai capricci e alle vessazioni della partner, perché temono di non essere concretamente e materialmente in grado di vivere per qualche tempo, da soli.
In tutte e due i casi, si tratti di donne che temono l’isolamento, o di uomini che ritengono di non essere in grado di cavarsela da soli nelle faccende di casa, vi è un substrato di insicurezza emotiva che fa preferire il mantenere in vita un ménage fatto di litigi, incomprensioni, egoismi, ad un distacco insopportabile da gestire per una persona immatura.
I pigmalione in amore (1)
Si narra che Pigmalione, mitico re di Cipro innamoratosi di una statua d’avorio di Afrodite, volle sposarla e la portò nel letto nuziale. La dea dell’amore, commossa da tanta devozione, fece vivere la statua e rese così possibili le nozze.
Metaforicamente parlando rifacendosi a questo mito,viene indicato come pigmalione in amore colui che simbolicamente trasforma la persona amata da una “persona senz’anima” ad un essere intellettualmente e affettivamente vivace.
Famoso è Pigmalione di G.B. Shaw, in cui un uomo burbero s’innamora di una popolana e la trasforma in una brillante dama inglese.
Il pigmalione, con i suoi atteggiamenti protettivi e pedagogici, incarna la figura del mecenate e del maestro; ma in pratica, è un’allegoria genitoriale: infatti egli dal punto di vista psicoanalitico, rappresenta il genitore che aiuta il bambino a crescere.
Bisogna anche sottolineare che chi insiste troppo nel comportamento della persona che aiuta troppo gli altri, manifesta tendenze compensatorie, e si tratta di un “complesso” che può dipendere dal fatto che il pigmalione ha “bisogno” di sentirsi importante.
Sono molti gli artisti che hanno ricevuto aiuto da un qualcuno che li ha scoperti, li ha amati e nel contempo li ha portati avanti nella vita e nel lavoro.
Il pedagogista J. J. Rousseau a sedici anni, dopo un breve apprendistato di incisore, abbandonò la casa dello zio Gabriel Bernard, al quale era stato affidato dal padre, e intraprese una vita vagabonda.
Fortunatamente per lui, ad Annecy s’imbatté in una donna che lo aiutò moltissimo, la ventinovenne baronessa Madame de Warens. Costei, intuendo le doti del ragazzo, lo accolse a casa, lo aiutò economicamente e lo sostenne psicologicamente. I due si legarono di profonda amicizia e ben presto divennero amanti.
Jean‑Jacques subì sempre nei confronti di quella donna una sudditanza “filiale” ed “edipica”, tant’è che chiamava la Warens “mammina”, e le restò legato per tutta la vita, proprio come si resta legati all’immagine materna, tant’è che nemmeno il lungo e ambiguo rapporto con la moglie distrasse Rousseau da quel legame.
Sarà curioso sapere che Rousseau scrisse nel 1770 la trama di un Pigmalione che venne rappresentato nel 1775 a Parigi, sotto forma teatrale mimata e parlata con accompagnamento musicale scritto dallo stesso autore.
Che spesso il mecenate nasconda carenze affettive lo dimostra il fatto che la signora Fanny Vandegrif, che aiutò lo scrittore Louis Stevenson, da ragazza aveva sofferto di solitudine, situazione che riscattò, in età adulta, frequentando tante persone e mostrandosi sempre disponibile ad portare avanti i talenti più emergenti.
Fanny da ragazza non ebbe grandi affetti, né fu molto curata dai genitori, sicché, da adulta, compensò le proprie carenze, prendendosi cura degli altri. Poiché ella si crucciava di non essere capace di scrivere, la sua relazione con lo scrittore mise a tacere anche le sue esigenze letterarie irrisolte, visto che Fanny, aiutando Stevenson, si identificava con lui e partecipava così anche lei ai successi letterari dell’amico.
Al tempo in cui incontrò Stevenson, la Vandegrif era sposata ed aveva tre figli. Suo marito aveva dieci anni più di lei ed era un ex-cercatore d’oro che aveva fatto fortuna; quando Fanny incontrò lo scrittore, rimase subito affascinata dall’intelligenza e dalla genialità di Louis, e comprese che sarebbe stato l’uomo della sua vita.
Uno dei biografi di Stevenson, Alessandra Lapierre, racconta che la Vandegrif aiutò molto lo scrittore, fu la sua musa ispiratrice, la sua critica letteraria più obbiettiva, ma, essendo una personalità molto forte, in qualche caso finì per soggiogarlo.
Una presenza, quella di Fanny, che allarmò non poco Katherine Stevenson, madre dello scrittore, gelosa del potere che quella donna “estranea” aveva sul figlio. La vecchia però si rassegnò ad accettare il ruolo della Vandegrif essendosi resa conto che la “sua rivale” riusciva ad infondere tanta fiducia a Louis da aiutarlo persino a reagire alla grave forma di tubercolosi di cui era affetto. Non solo, ma la Stevenson comprese che quella donna aiutava il figlio anche dal punto di vista letterario: infatti, dopo aver letto il romanzo Il dottor Jekyll e Mister Hide, Fanny aveva imposto allo scrittore di ridefinire il personaggio di Jekyll dicendogli: «Hai il dovere di far sognare il pubblico e contemporaneamente di interessarlo». Stevenson seguì il consiglio dell’amica e raggiunse il successo.
Anche George Sand aveva la tempra di scopritore di talenti ed amava assistere ed aiutare qualche ingegno creatore, tanto da far scrivere alla psicoanalista Helene Deutsch che l’evoluzione femminile della Sand fu turbata da una mascolinità nobilitata dalla speranza di raggiungere un forte ideale di donna.
Scrive la Deutsch: «La scelta amorosa della Sand cadeva su uomini così detti “effeminati” (…) In questo tipo di amanti è facile identificare una naturale scelta complementare in cui il maschile e il femminile si completavano. La “maschile” Sand, (gli amici la chiamavano Monsieur), amava gli uomini effeminati».
Ed è verosimile l’intuizione della psicoanalista tedesca, dal momento che la Sand protesse ed aiutò molti artisti, consolandoli e aiutandoli psicologicamente ed economicamente.
Intenso fu il rapporto tra la scrittrice e molti geni del tempo, dei quali ella fu consigliera e fervida sostenitrice: da De Musset a Sainte‑Beuve a Victor Hugo, dallo storico Jules Michelet a Dumas figlio, al pittore Eugène Fromentin e altri.
Ma la predilezione la Sand l’ebbe per Fryderyc Chopin, del quale fu amica e amante. Epperò, avendo una tempra di dominatrice e una personalità fortemente autoritaria, con la sua possessività e la sua ossessiva passione, mise in crisi il compositore, il quale, dopo un po’, non sopportando più l’appassionato e invadente “amore materno” della scrittrice, fuggì lontano dalla sua benefattrice, né più né meno come aveva fatto, quando, ragazzino, s’era allontanato dalla sua opprimente e “borghese” mamma.
A proposito della tendenza della Sand a fare da pigmalione, la psicoanalista Helene Deutsch fa notare ancora che: «i numerosi amori di George Sand si concludevano immancabilmente in una medesima catastrofe. L’uomo appariva distrutto, mentre George Sand progrediva nella sua tempra “maschile”. Regola, questa, alla quale non sfuggì la relazione con Chopin il quale, nei confronti di George, da un lato fu attratto da una simpatia transferenziale, mentre dall’altro fu sconvolto dal dominio materno di quella donna.
Sulla falsariga della Sand, anche Sibilla Aleramo, personalità sicura di sé e piena di iniziative, aveva bisogno di esternare una protettività “mascolina”. Ella aiutò, facendoli conoscere al pubblico e alla critica, il poeta Cardarelli, Dino Campana, e Salvatore Quasimodo. Quest’ultimo, quando incontrò Sibilla, era ancora alla prime armi.
Oltre agli scrittori menzionati, la Aleramo ebbe al suo attivo una lunga serie d’amori. Le relazioni più note quelle con Papini, Boine, Emmanuelli, Franco Matacotta, il pittore Cascella e Clemente Rebora, il quale, anche a causa dell’incontro con la sfrenata Sibilla, entrò in convento.
Anche ad Italo Calvino piaceva comportarsi da pigmalione, tant’è che si prese cura di Elsa de Giorgi, piazzandola al Premio Viareggio, anche se va detto che il rapporto tra Calvino e la De Giorgi fu un’assistenza vicendevole.
In verità, Elsa, quando incontrò Calvino, era già un’attrice popolare e una promettente scrittrice. Sposata con l’industriale Contini Bonacossi, era bionda, bellissima, spigliata, colta; insomma era tale da far girare la testa a chiunque. Per Calvino, che a quel tempo viveva “sotto la tutela” della rigidissima e oppressiva genitrice, l’incontro con Elsa fu l’inizio della sua emancipazione: quella donna lo spronò a liberarsi dalle convenzioni borghesi di piccolo burocrate, che egli, sebbene comunista, non aveva mai abbandonato.
I due si scambiarono quattrocento lettere d’amore, l’«epistolario amoroso – secondo la filologa Maria Conti – più importante del nostro Novecento».
E come non ricordare che Alberto Moravia, la cui prima parte della vita fu dolorosa a causa di una grave infermità che gli comportò una certa depressione, si dedico a scoprire e a portare avanti dei talenti. Lo scrittore protesse ed aiutò Elsa Morante, Dacia Maraini, e la seconda moglie, Carmen Llera. Quest’ultima, in una intervista a Cesare Lanza, concessa al settimanale Sette, ha affermato che il suo approccio sessuale con l’uomo è alla pari, e che non gli permette di “essere dominante”. E ciò anche perché ha detto, finito l’amplesso vuole la sua libertà, e non intende “avere ingombri dopo il piacere” Tuttavia, anch’essa, malgrado questo che ha affermato, subì il fascino pigmalionico di Moravia.
Con tutte queste donne Alberto Moravia talvolta instaurò un rapporto di padre e figlia, e rappresentò per loro un porto “genitoriale”. Egli, mostrandosi pigmalione, cancellava le proprie carenze giovanili, fisiche e psicologiche.
In questo contesto va pure ricordato che Thomas Mann venne aiutato economicamente e socialmente dalla signora Mayer, sua grande ammiratrice e moglie di un industriale americano. Di questa donna lo scrittore, approfittò a volte anche sfacciatamente.
Grazie al fascino che esercitava su quella donna, Mann le fece intendere che il loro legame si sarebbe trasformato in un’intesa sessuale, ma in realtà, essendo egli omosessuale, non aveva alcun interesse erotico per la sua protettrice.
Per anni, dunque, le mentì sul tenore dei propri sentimenti, riuscendo a mala pena a nascondere che era interessato a lei solo per l’aiuto finanziario che l’amica non gli negava mai.
Una pigmalione fu anche Édith Piaf, la famosa canzonettista francese, la cui prima parte della vita fu molto travagliata. Partorita per strada, adottata da una maîtresse che si prese cura di lei, Edith visse in un bordello fino al raggiungimento dei quindici anni, e una volta andata via dal casino, cantò per guadagnarsi la vita.
Divenuta famosa, scoprì e aiutò molti talenti, tra cui, tanto per fare qualche nome, Ives Montand, Gilbert Becaud e il pianista Charles Dumont. A tutti la Piaf diede un avvenire e “offrì” anche il proprio letto, perché, oltre che essere altruista, era sensuale e trasgressiva. Infatti ella affermava che il suo “giaciglio” non era mai vuoto. Édith ebbe più relazioni contemporaneamente, ma la sua grande passione fu il pugile Marcel Cerdan, che, purtroppo, perì in un incidente aereo, lasciandola in una costernazione che la indusse ad ubriacarsi.
Dopo la relazione con Cerdan, Edith si legò all’impresario Lou Barrier; e, oramai avanti negli anni, incontrò un giovane sensibile, che chiamò l’Angelo, e che accolse in casa come segretario, che lanciò come cantante e che infine sposò.
Un pigmalione fu, ma a modo suo, anche Dino Buzzati, che a sessanta anni sposò una speranzosa scrittrice, la venticinquenne Almerina Antonazzi, che però, nemmeno dopo l’unione con lo scrittore riuscì a sfondare, forse perché la giovane poetessa era solo innamorata di Buzzati, e una volta raggiunto lo scopo di sposarlo, non ebbe altre velleità.
Del resto, Buzzati non era una tempra d’uomo che sapeva imporsi e probabilmente non si seppe imporre in campo editoriale per raccomandare la moglie; egli era un timido con una propensione per gli amori impossibili.
Uno di questi lo legò, quando aveva cinquant’anni a una prostituta, come lo stesso scrittore ha narrato nel suo libro “ Un amore”.
Per il resto, a parte quella con Almerina, Dino ebbe sempre relazioni travagliate, o appena accennate e mai portate a termine, come quella con la tedesca Elsa Della Sega, che Buzzati ritrasse nel quadro Il lampione e alla quale diede il suo primo bacio, quando aveva diciannove anni e lei ventisei, e che ricordò per tutta la vita senza più averla potuta incontrare.
Ma torniamo alla figura del pigmalione. L’esser umano ha una serie di bisogni dei quali non sempre ha piena consapevolezza. E così, fare il pigmalione giova a volte a non solo a chi è aiutato, ma anche a chi aiuta, in quanto conferisce autostima e prestigio.
I pericoli dei partner competitivi (2)
A volte non è solo la gelosia sessuale che rovina la coppia ma anche la competizione artistica è capace di spazzare via qualsiasi tenerezza.
Quando nella coppia vi è competizione, si produce una rivalità nevrotica e i successi del partner provocano dissapori e rendono sgradevole la relazione. Alcuni uomini, a causa dei successi delle loro partner, diventano aggressivi e intrattabili.
Un esempio lo fornisce il matrimonio tra Natalia Estrada e il presentatore televisivo Giorgio Mastroda. Il loro rapporto è andato in pezzi quando la notorietà dell’attrice ha superato quella del marito. Un altro caso emblematico è quello della pittrice inglese Eleonora Carrington e del pittore tedesco Max Ernst: i due, sebbene si amassero follemente, furono vittime di una grande tensione conflittuale causata dalla reciproca invidia per i successi conseguiti. Per lo stesso motivo, farneticante fu l’unione tra i coniugi Fitzgerald i quali si accusavano a vicenda di plagio.
Francio Fitzgerald e Zelda Sayre si erano incontrati in Alabama, si erano amati a prima vista, ed erano convolati a giuste nozze; ma, eccentrici ed istrioneschi quali erano, furono sconvolti dalla reciproca gelosia artistica. Lo scrittore accusava la moglie di copiare le sue idee. Egli affermava che Zelda utilizzava, per la stesura di Save me the waltz, pagine dal suo romanzo Tenera è la notte. Zelda a sua volta, accusava il marito di avvalersi, nelle sue opere, del diario che ella andava scrivendo. Zelda, a causa di questi continui stress, finì in una casa di cura.
Anche il regista Renny Harlin fu geloso dei successi artistici della moglie, l’attrice Geena Rowlands. E difatti la loro unione s’incrinò proprio quando Geena conseguì l’Oscar e Renny, che era incappato in una serie di disastri “d’immagine” dovuti alla critica negativa e al disinteresse del pubblico per le sue opere, divenne furioso per il successo della moglie e volle il divorzio.
La conflittualità artistica si trova anche nella vicenda della scrittrice Francesca Duranti, il cui matrimonio si deteriorò quando ella, intenta alla stesura di un nuovo romanzo, fu accusata dal coniuge di «stare troppo tempo a redigere il testo». Eppure, era stato proprio il marito a spingerla a scrivere! Francesca in un primo tempo accondiscese alle esortazioni del coniuge e abbandonò la sua iniziativa letteraria, ma in seguito, incoraggiata dall’editore, pubblicò il libro e, visto il successo, decise di scriverne altri. A quel punto il marito chiese il divorzio.
Emblematica è pure la vicenda di Sidonie Gabrielle Colette e suo marito Henry Bauthier-Villars, conosciuto, da scrittore, con lo pseudonimo di Willy.
La fama di romanziere di Willy era immeritata, perché spesso egli aveva fatto scrivere ad altre persone i romanzi che poi pubblicava a suo nome. Henry spinse anche sua moglie Sidonie a scrivergli i testi. Sidonie s’impegnò nella stesura dei testi che Henry pubblicò a proprio nome, e che ebbero un grande successo. Alcuni tra i suoi racconti pubblicati a nome di Willy, ebbero rinomanza mondiale.
Il talento di Simonie non venne a galla se non quando lo scrittore Catulle Mendès, individuando nella nuova produzione di Willy una “mano nuova”, sospettò che fosse proprio la moglie a scrivergli i romanzi. Messa alle strette, Colette ammise d’essere stata lei a scrivere quei libri.
In seguito a quella confessione Bauthier-Villars divorziò dalla moglie. Dopo essersi separata da Bauthier-Villars, Colette finalmente firmò i romanzi che scriveva.
Vicenda matrimoniale carica di litigi fu anche quella di André Malraux. L’autore de La condizione umana, quand’era poco più che ventenne, sposò Clara, una donna ricca e intelligente, ma la loro vita fu amareggiata dalla “concorrenza” artistica. Malraux aveva scritto tre romanzi e sei volumi di memorie quando sua moglie tentò d’emularlo. A quel punto lo scrittore indispettito dalla concorrenza coniugale e geloso dei successi della moglie, cercò di precluderle la carriera.
Anche Ernest Hemingway fu geloso dei successi artistici delle sue partner. Ernest ebbe un tempestoso legame con Martha Gellhorn. La vicenda iniziò durante la guerra civile spagnola. La Gellhorn, inviata del settimanale Collier’s, era un’apprezzata corrispondente di guerra. Hemingway in quel periodo era sposato con Paoline, ma dopo l’incontro con Martha a Madrid, divorziò e sposò la sua nuova fiamma, con la quale andò all’Avana. La giornalista però non resistette a lungo alla vita sedentaria che le imponeva il marito e ricominciò a girare il mondo.
Hemingway rimase a Cuba, dedito alla stesura del romanzo Per chi suona la campana; quando però, nel 1943, apprese che la moglie era corrispondente sul fronte italiano, andò su tutte le furie, e, invidioso, brigò con la direzione di Collier’s per prendere lui il posto di Martha. A quel punto la moglie ebbe chiaro di quali bassezze fosse capace il suo Ernest e allora divorziò da lui e non volle più incontralo. Anche nel mondo dello spettacolo la coppia formata da artisti spesso è colpita dalla gelosia professionale.
Quando all’attrice Juliette Binoche fu assegnato l’Oscar per l’interpretazione de Il paziente inglese, il marito, l’attore Oliver Martinez, ebbe una profonda crisi di gelosia e il divorzio fu inevitabile.
Lo scultore Auguste Rodin, genio ambizioso, egocentrico e bilioso, accusò la scultrice Camille Claudel, sua allieva e amante, di copiare le sue opere.
Violenta diatriba causata dalla gelosia artistica fu quella che colpì un’altra copia celebre: Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Dopo il matrimonio Eduardo Scarfoglio cercò di offuscare la moglie professionalmente. Matilde, non accettando la condotta di Eduardo, fondò un altro quotidiano, “Il Giorno”, assieme all’avvocato Giuseppe Natale, col quale si legò anche sentimentalmente. Da quel momento, ebbe inizio una vivace diatriba giornalistica tra “Il Giorno” (del quale la Serao era direttrice) e “Il Mattino”, diretto da Scarfoglio e nel quale lavoravano anche i quattro figli nati dal matrimonio con la Serao.
Altro rapporto condito d’insulti e di scontri furibondi fu quello tra la Amalia Guglielminetti e Guido Gozzano. Amalia, scrittrice fascinosa, era nota agli inizi del Novecento per la sua prosa spregiudicata e per i suoi modi eccentrici e bislacchi. Guido si allontanò da lei perché ingelosito del successo letterario dell’amica. Amalia, atrocemente delusa, gli spedì una seri di lettere al vetriolo, provocatorie e dissacratrici.
In seguito un’altra unione tormentata afflisse la Guglieminetti: quella con lo scrittore Dino Segre, in arte Pitigrilli. Amalia presentò Dino nel mondo letterario, avviandolo al giornalismo. Tuttavia, Pitigrilli, così come Gozzano, mal sopportava il talento dell’amante ed era irritato dal successo di Amalia. Lei, umiliata e folle di rabbia, si ribellò con ferocia. La lite tra i due infuriò nelle riviste Le grandi firme e Seduzione, l’una diretta da Pitrigrilli, l’altra dalla Guglielminetti. In quelle pagine gli ex amanti si scambiarono invettive e volgarità, apostrofandosi con epiteti disgustosi.
Amalia, si spinse oltre ogni limite, inducendo un redattore della sua rivista, Anselmo Jona, a denunciare Pitigrilli come antifascista e sovversivo. Lo scrittore fu arrestato ma il console della milizia, Piero Brandimante, udita la difesa di Pitigrilli mandò a chiamare la scrittrice che, messa alle strette, confessò di aver alterato alcune lettere dell’amante per poterlo accusare.
La donna fu subito arrestata, ma il Tribunale, rendendosi conto che la vicenda era frutto del triste infortunio d’amore, ebbe pietà di lei e le inflisse una lieve condanna. In Spagna, la toreadora Cristina Sanchez, dopo i lusinghieri successi nell’arena, stanca e «devastata» dalla gelosia del suo compagno, anch’egli toreador, si è ritirata a vita privata.
La fotografa Giovanna Del Magro, che era stata spinta dal marito a quell’attività, quando la sua carriera raggiunse l’apice, fu accusata dal coniuge di trascurarlo. Posta davanti all’aut aut: o abbandonare il lavoro o la separazione, Giovanna, scelse l’esperienza artistica.
Un matrimonio rovinato dalla competizione ideologica è quello tra Arafat e la moglie Suha. In un’intervista al giornale Ash-sharq al-Awsat, la scrittrice palestinese Raimonda Tawil, suocera di Yasser Arafat, ha spiegato che, a causa dei molteplici doveri pubblici del genero, il matrimonio tra sua figlia e il capo dei palestinesi non ha funzionato. Suha, greca ortodossa, per sposare Yasser, ha dovuto convertirsi all’Islam. L’impegno di Suha per la liberalizzazione della donna araba, ha messo in difficoltà il marito. Inoltre il fatto che Suha fomentasse la par condicio ha imbarazzato oltremodo la classe dirigente palestinese. E quando Suha, in una intervista a El Pais, ha criticato l’atteggiamento dei consiglieri del marito, tacciandoli di oscurantismo, il rapporto della coppia Arafat-Suha si è definitivamente incrinato e lei si è trasferita a Parigi, dove vive con la figlia Zahwa.
Oscar Wilde affermava che per far durare il matrimonio, i coniugi devono scegliere: o cercare la gloria e tendere all’affermazione di sé, o vivere nel limbo borghese. Infatti la coppia formata da individui creativi, purtroppo, spesso va in crisi, perché in essi l’affermazione di sé, il più delle volte, è più forte dell’amore.
L’amore immaginato un sentimento poetico che a volte ha risvolti drammatici (3)
Il bisogno d’amare è ineluttabile. Spesso però chi ama “perde le coordinate” e non si accorge d’avere smarrito il senso della realtà. Emblema dell’innamoramento utopico e nel contempo patetico è la passione di don Chisciotte per Dulcinea, passione che si alimenta esclusivamente di sogni. Infatti il cavaliere della Mancia in un momento di lucidità afferma che: «Dio sa se Dulcinea esiste o no al mondo, e se è fantastica o non è fantastica, ma queste non sono cose che vanno appurate fino in fondo». Questa storia d’amore mette in luce una grave, tragica verità: a volte l’innamorato vive l’incanto dell’illusione. Nel caso di don Chisciotte, il suo servo, Sancho Panza, cerca di riportarlo alla realtà, ma il cavaliere non vuol sapere com’è davvero la “sua” Dulcinea: la immagina che infila perle e ricama in oro. Il suo scudiero gli fa invece notare d’averla vista accudire gli animali nel cortile, riordinare il grano e compiere infime faccende domestiche, e mette inutilmente a parte il suo signore che il nome della dama non è Dulcinea, altolocato, ma uno più banale, Aldonza.
Un amore idealizzato si trova nella protagonista del romanzo di Honoré de Balzac, “Eugénie Grandet”. Figlia di un affarista e di una mite domestica, questa fanciulla ha molti corteggiatori che spasimano per sposarla. Ma lei s’innamora del cugino Charles che non è ben visto dal signor Grandet, il quale proibisce alla figlia di frequentarlo. Ma Eugénie, dopo avere scambiato con Charles l’unico, casto bacio della sua vita, gli giura fedeltà eterna e vivrà nella dolcezza di quel ricordo, mentre il cugino la dimenticherà.
Un altro esempio di amore fantasticato si trova nel romanzo Washington Square di Henry James, in cui sono narrate le vicende d’una donna corteggiata da un uomo che vuole impossessarsi della sua dote. Pur conquistata dal bellimbusto, avendo compreso le sue intenzioni, essa trova la forza di respingerlo. Tuttavia non riuscirà mai più ad innamorarsi .
Racconta Renato Dulbecco che una delle ragioni che lo spinsero a rivestire, pur essendo un premio Nobel, i panni di presentatore del Festival di San Remo 1999, fu la speranza di attirare l’attenzione d’una donna con la quale sessanta anni prima era stato fidanzato, e che aveva perso di vista, senza mai dimenticarla.
Lo scrittore Ernst T. A. Hoffmann, in Don Juan, descrive la sua passione infelice per Julia Marc, deliziosa giovanetta diciassettenne alla quale egli aveva dato lezione di canto a Bamberg e alla quale, malgrado il divampare dell’amore, non riuscì a manifestare i propri sentimenti.
Passione struggente fu quella del trentunenne poeta svizzero Blaise Cendrars per l’incantevole attrice Raymone Duchteau, la quale gli consentì d’amarla, ma non volle essere toccata, nemmeno quando, nel 1947, divenne sua moglie: ella non fu mai di nessun uomo.
L’attrice Maria Denis fu preda di un persistente amore illusorio per Luchino Visconti. Ella pur conoscendo le propensioni sessuali del regista sperò che le si legasse almeno sentimentalmente. Maria, per salvare Luchino, arrestato dalle SS, divenne l’amante del generale Koch, ma fu accusata dai partigiani di collaborare con i tedeschi! Infatti il suo generoso e disperato gesto fu frainteso non solo dagli uomini della Resistenza ma anche dalla sorella di Visconti e dallo stesso Luchino che fu dimesso dal carcere, proprio grazie “all’intervento” dell’amica. Malauguratamente il regista, indispettito dal tradimento della Denis, non volle più vederla.
Atroce avventura quella della Denis, per salvare un immaginario sogno d’amore!
Puramente sentimentale fu l’attrazione tra il poeta Vladimir Majakovskij e Lili Brick. Tra i due, al primo incontro, sbocciò una furiosa ed inebriante passione, ma lei, benché attratta da quell’uomo, non si gli si concesse mai. Lili era sposata al giurista Osip Brik, e pur avendo instaurato col poeta un profondissimo legame, cercò sempre di “sterilizzare” il loro rapporto.
Lili e Vladmir si scrivevano promesse d’amore, con frasi struggenti e allusioni sessuali, ma quando s’incontravano, benché Vladimir cercasse di convincerla che l’amore si completa a letto, lei non volle mai saperne di avere rapporti con l’uomo che “amava spiritualmente”.
Ad un legame puramente sentimentale fu inchiodato anche il poeta Ungaretti. Ormai settantenne, dopo la morte della moglie Jeanne, «immaginò» e cercò una relazione affettiva con la trentenne Jone Graziani, insegnate di francese che egli chiamava “bambinetta mia” e “amorino dolce”. Al rifiuto dell’amata, il poeta reagì scrivendo la Poesia per Jone e altre liriche che le dedicò definendola la sua ossessione. Jone affermava: «Ungaretti rappresenta per me il massimo della liricità, il culmine della sintonia intellettuale, ma nient’altro; egli riesce a suscitarmi solo una grande stima».
Non dissimile fu la vicenda tra la scrittrice Lou Salomè e Friedrich Nietzsche, il quale l’amò con furore ma, inibito com’era, non riuscì ad andare oltre «l’intesa culturale». Il colmo dell’insuccesso Friedrich lo colse durante una gita, quando si appartò con Lou per esternarle la propria passione; ma paralizzato dall’emozione, tergiversò e non riuscì ad abbracciarla e baciarla.
L’amica si rese conto dei gravi complessi che affliggevano Friedrich, che, colpito da profondo shock le scrisse in seguito: «Devo a Lei il sogno più bello della mia vita» e la chiese in sposa. Ma Lou, rifiutò la proposta con cortesia ma con fermezza. Nietzsche, da quel momento, sprofondò nella disperazione. In seguito Lou confidò all’amico psicoanalista Ernst Pfeiffer:«Friedrich era imbarazzato come uno scolaretto e non m’ero sentita di prendere in mano la situazione» .
Giacomo Leopardi, carattere schivo e solitario, corteggiò molte dame senza fortuna. Tra gli “insuccessi”: la «languida e senza mordente», Fanny Targioni Tozzetti che gli ispirò le liriche del ciclo di Aspasia. Altro “insuccesso” a Pisa, dove Giacomo s’innamorò inutilmente della nobile irlandese Margaret Mason, femminista che aveva abbandonato marito e figli per vivere liberamente.
L’incapacità a dichiararsi apparve in tutta la sua drammaticità quando Leopardi venne fatto oggetto delle attenzioni della contessa Elena Mastiani Brunacci, le cui relazioni amorose, a lui note, avrebbero dovuto spingerlo a osare di più. Ma il poeta, pur invaghito della donna, che per altro lo corteggiava, non ebbe il coraggio di lasciarsi andare.
Sconfitte brucianti anche le frequentazioni con la nobile Sofia Vaccà Berlinghieri e con la gentildonna Lauretta Parra. Giacomo, con nessuna delle due osò mai sbilanciarsi. E audace e intraprendente, ma solo dal punto di vista epistolare, fu con la principessa Carlotta Bonaparte.
Amanda Lear e Salvator Dalì ebbero una relazione esclusivamente intellettuale. L’attrice racconta che il maestro, afflitto da grave impotenza, aveva un modo tortuoso di affrontare l’eros. Il sesso per Dalì era una miscela di voyeurismo e masochismo. Amanda confessò che, tutto sommato le andava bene: «In fondo, di amanti ne potevo avere quanti ne volevo, ma di Dalì artista, pittore, letterato, orafo, ce n’era uno solo ed era ciò che più mi esaltava».
Il poeta Montale amò e desiderò senza poterla mai avvicinare, Dora Markus, un’ebrea viennese della quale s’era innamorato dopo averla vista in una fotografia inviatagli dal critico letterario Bobi Balzen. Montale s’infiammava facilmente: s’innamorò di una donna, appena conosciuta, l’austriaca Gerti Frankl Tolazzi, che gli ispirò la lirica Il carnevale di Gerti. Il poeta la incontrò una sola volta, a casa del critico Matteo Marangoni, l’amò a prima vista ma preferì ricordarla con la fantasia poetica piuttosto che “rischiare” di vederla nella «sua quotidiana realtà».
A cinquant’anni, il poeta ebbe una folle passione per la venticinquenne Maria Luisa Spaziani, alla quale scrisse : «Mia fucsia Volpe, fui “assassinato” da te, anche se in modo inconsapevole».
Egli s’infiammò perdutamente di quella donna “dagli occhi azzurri e dai riccioli neri”.
Di molte donne il poeta s’innamorò, ma con poche ebbe una relazione, anche se tutte gli ispirarono poesie bellissime. Anna Uberti, fu l’”Annetta” del Diario, Esterina Rossi, fu “Esterina di Falsetto” in Ossi di seppia, Irma Brandeis è la “Clizia” de La Bufera, e Laura Papi è la “ninfa Egeria”, ispiratrice del romanzo Dopo la fuga.
L’amore non corrisposto del romantico scrittore parigino Gérard de Nerval per la bellissima attrice Jenny Colon, sfociò in dramma.Scosso dall’indifferenza della donna, Gérad finì in una casa di cura, e alternò anni di lucida creatività a crisi di delirio amoroso. Nel 1855 dopo aversi stretto una corda al collo si fece penzolare dalle sbarre di una finestra della sua casa.
In tasca gli trovarono un biglietto: «Peccato, mia diletta, avremmo potuto vivere felici!».
Fortunatamente, ai nostri giorni, l’amore non ha tali svolgimenti immaginativi. Oggi le unioni sono basate più sulla concretezza. Se ciò va forse un po’ a discapito del romanticismo, tuttavia consente una maggiore comunicazione e un senso più realistico del rapporto.
Partner gregari e partner prevalenti (4)
Nel ‘700, il narratore veneto Carlo Gozzi asseriva che le situazioni della commedia umana si possono raggruppare in alcuni schemi tipici. Affermazione che ha un fondo di ragione, se si considera che le vicende narrate dalla letteratura si riassumono in alcune figure psicologiche, così come è possibile sintetizzare in poche tipologie i rapporti di coppia.
Afferma lo psicoanalista Binswanger che, se c’è pur sempre un margine di libertà, tuttavia vi sono alcuni “schemi di lettura ” che servono a decifrare il significato dei comportamenti umani. Questo aiuta a individuare la caratterologia dei partner e il tipo di relazione.
Un carattere tipico è quello del partner gregario, persona incapace di vivere da sola, piscodipendente, e sicura solo quando ha accanto un compagno dominante. Per questo motivo, il partner gregario è disposto a qualsiasi sacrificio pur di mantenere il legame. A causa dell’educazione ricevuta, spesso, ma non sempre, sono le donne ad essere partner gregarie. Se il gregario è un maschio, vuole essere accudito e coccolato e, in qualche caso, per raggiungere lo scopo si mostra incapace e vittima.
I gregari, sia maschi che femmine, soffrono di insufficiente autostima; paradossalmente, però, utilizzano il loro istinto gregario per “strumentalizzare” gli altri ai propri bisogni.
Partner gregario fu Emilio Salgari. A causa di un’infanzia solitaria, Salgari considerava le donne “dee irraggiungibili, avvolte da una luce abbagliante, creature magnifiche e bellissime”, ma anche esseri superiori. Dopo avere sposato la Peruzzi, Salgari riuscì meglio a fronteggiare il bisogno d’essere accudito. Ma quando venne a mancargli la moglie, immaginando di restare senza sostegno, sconvolto dalla depressione, pose fine ai suoi giorni.
Il partner prevalente invece, è dotato di una personalità che tende a sottomettere, se non addirittura a rendere succube l’altro. Nella coppia, si potrebbe supporre che siano più gli uomini ad essere prevalenti, ma non è affatto così: molte donne assumono un ruolo materno e un atteggiamento dirigenziale.
Una unione tra maschio prevalente e una gregaria fu quella tra James Joyce e Nora Barnacle. Nora amò con passione lo scrittore, mentre egli si mostrava infastidito dalla sua compagna che, addirittura, definiva persona “incolta”. Joyce sperava di fare un buon matrimonio con una donna ricca, ma non avendo trovato la persona adatta, dopo ventisette anni, finì con lo sposare la devota Nora che gli era rimasta legata malgrado i profondi dissapori e il disprezzo che lo scrittore le aveva mostrato.
Quando è la donna a prevalere, a volte il suo atteggiamento dipende da una inconscio risentimento verso il mondo maschile, rancore che fa scattare il vittimismo del compagno gregario e che origina un ménage sadomaso.
Di questo tipo fu la coppia Abramo Lincoln e Mary Todd. Lincoln, fu per tutta la vita sottomesso alla moglie, donna autoritaria e violenta, tant’è che il poveretto preferiva non rincasare e dormire in ufficio. Ma l’assenza di Lincoln aumentava la rabbia della donna che se la prendeva con i figli, con la servitù e anche con i fornitori. Il presidente, di conseguenza, ebbe del matrimonio una pessima opinione tant’è che, quando, durante la Guerra di Secessione, un giovane soldato venne accusato di diserzione e il comandante del reggimento chiese a Lincoln di dargli una punizione esemplare, il futuro presidente, saputo che il giovane aveva tentato la fuga per andarsi a sposare, non lo fece fucilare: anzi, gli concesse la grazia a patto che si sposasse subito.
«Ecco – commentò Lincoln – costui presto si pentirà di non essere stato giustiziato».
Anche la pedagogista Maria Montessori fu sottomessa al collega Giuseppe Montesano, col quale aveva una relazione dalla quale era nato un figlio. Dopo il parto, il Montesano, che era il prevalente della coppia, impose a Maria d’abbandonare la creatura in un brefotrofio “per non incorrere in uno scandalo”.
Carattere prevalente fu quello di Bertold Brecht, soprannominato “bel tenebroso” perché il suo fascino e la sua accattivante filosofia immorale, facevano andare in tilt le donne. Brecht, fu un manipolatore di coscienze femminili. Tra le sue “vittime” vi fu Ruth Berlau, che finì alcolizzata. Partner prevalente fu Ernest Hemingway, che si mostrava macho per celare le proprie carenze affettive e le proprie insicurezze.
Carattere prevalente fu anche quello di Italo Svevo. Così egli scrisse alla fidanzata: «Ti sento più che mai mia preda…». E in un’altra lettera inviata a Livia Veneziani, sua promessa sposa, così si espresse: «Com’è cosa bella la violenza in amore. Sai perché mi piace che tu sfuggi? Perché tu non ne vuoi sapere e mi tocca farti violenza».
Prevalente fu la moglie di John Lennon, Yoko Ono, la quale teneva saldamente in pugno il marito e lo costringeva a fare quello che lei voleva. Lei imponeva a John prescrizioni scaramantiche cervellotiche e lunghe astinenze di cibo e sessuali perché, secondo Yoko, il sacrificio e l’astensione dai piaceri lo avrebbero condotto al nirvana e alla chiaroveggenza.
Lennon sopportava senza ribellarsi quelle restrizioni, per un certa passività psicologica. La moglie, per “purificargli la carne”, lo costringeva a guardare la televisione senza l’audio e lo obbligava a non profferire parola per settimane, e lo faceva rimanere a letto per non violare la consegna del silenzio.
La coppia paritetica, invece, è formata da partner che non si prevaricano e non mostrano troppe debolezze emotive. Nei partner paritetici prevale l’equilibrio. In questo genere di legame v’è reciproca amicizia e collaborazione e nessuno dei due sopporta l’invadenza dell’altro, sicché ragionevolezza e discrezione sono alla base di questo rapporto.
I paritetici si comportano senza tirannie; non sono né feticisticamente legati tra loro, né pretendono di avere ruoli protettivi, o atteggiamenti invadenti. Essi sono in grado di vivere la loro stagione amorosa senza sognare improbabili perfezioni, ed utilizzano invece il buon senso.
Paritetiche furono, per citare qualche esempio, le relazioni di Jean P. Sartre con Simone de Beauvoir, il matrimonio dei coniugi Pierre e Marie Curie, le unioni tra Albert Schweitzer e sua moglie Helene Bresslau; tra Cesare Beccaria e Teresa Blasco, tra Bertrand Roussell e Lady Ottoline, e quella della coppia omosessuale Jean Marais e Jean Cocteau.
Il personaggio di Mirandolina, protagonista de La Locandiera di Goldoni e della commedia del tedesco Carlo Blum, che si titola Mirandolina, definisce i lineamenti psicologici della partner paritetica: essa è una donna che, con garbo, determinazione e astuzia si fa valere.
Questa “maschera” rappresenta la libertà dell’irriverenza nei confronti dei luoghi comuni, la parità tra i sessi, e l’affermazione della donna di buon senso.
Mirandolina col suo amore semplice e sincero fronteggia sia le persone più dure che quelle conformiste. Il ménage ravvivato da questo genere di donna, allegra ma nello steso tempo ferma nelle proprie determinazioni, disinnesca l’alterigia, gli egotismi e la superbia del maschio.
Ci si può chiedere se la coppia paritetica è sempre a lungo termine oppure può anch’essa arrivare alla separazione. Se sopraggiungono avvenimenti che fanno cessare l’intesa, i due, dopo aver cercato di “ricucire” le conflittualità, proprio perché vivono di buon senso, non s’intestardiscono a restare assieme. Così, esaurito ogni tentativo di rappacificazione, finiscono col separarsi.
Paradossalmente, invece, è difficile che si disgreghi il ménage in cui uno dei partner è nevroticamente succube dell’altro; o quello in cui il partner prevalente è impegnato a demolire la personalità del gregario, il quale, utilizzando pinte masochistiche, non riesce a riscattare la propria libertà e a liberarsi della schiavitù di un rapporto di coppia che lo soffoca.
I partner adulti e quelli infantili
Alcuni partner mostrano, in seno alla coppia, in ogni circostanza, un ruolo da “adulti”, cioè non si “lasciano mai andare”, non si perdono d’anima in qualsiasi circostanza, sono attenti ai bisogni dell’altro e li mettono in primo piano, tralasciando i propri.
Altri partner invece aspettano sempre di ricevere le attenzioni del loro partner, si lamentano di non essere “accuditi abbastanza”, mostrano sempre un bisogno disperato di essere aiutati ed assistiti. Si tratta di persone che avendo imparato sin dalla più tenere età ad essere il centro dell’attenzione dei grandi, ad essere sempre sorrette e sollevate da qualsiasi incombenza, da adulte sono rimaste bisognose di essere accudite da qualcuno, perché lamentano di non sapersela cavare da sole.
Le frustrazioni sono una parte inevitabile delle situazioni da affrontare nella vita. Ma se i genitori le evitano sempre ai propri figli, mandando ad essi messaggi “apparentemente confortanti” che gli danno la sensazione di liberandoli sempre da ogni problema, i fanciulli penseranno di avere il diritto e di poter ottenere sempre questo efficace aiuto “dal più adulto”. Il ché può far sviluppare la (insana) fiducia che ci sarà sempre qualcuno nel loro cammino che penserò a trarli dagli impicci. Da adulte, queste persone si aspettano che il loro partner sappia prevenire ogni loro desiderio e faccia di questo assistenzialismo lo scopo della sua vita.
In quanto ai partner che si comportano da adulti, anche in questo caso si tratta di persone che continuano a comportarsi secondo il ruolo assunto sin da piccoli nella famiglia di origine, solo che, in questo caso, il loro “dovere” di fanciulli consisteva nel negare le proprie esigenze personali e nel provvedere con solerzia ai bisogni degli altri membri della famiglia.
In questi casi spesso si tratta di persone che sin dalla più tenera età sono state “costrette” per “sopravvivere nella giungla della vita” e crescere in fretta. O persone che, avendo osservato l’inconsistenza emotiva di uno o di entrambi i loro genitori, si sostituirono ad essi e assunsero prematuramente quelle responsabilità che invece di solito sono tipiche degli adulti.
A volte, si tratta di persone che in giovanissima età temendo di perdere l’amore di uno o di entrambi i genitori, si sono sobbarcate a incombenze e ruoli tipici dei grandi, e ciò per farsi apprezzare e ”amare” dai genitori. In qualche caso si tratta di persone che sin da piccoli hanno voluto dimostrare ai loro genitori di essere “migliori” e più adulti di essi, mostrandosi sempre pronti ad aiutarli, a sostituirsi ad essi nelle decisioni e negli incarichi che i loro genitori mostravano di non saper portare a termine.
Costoro, cresciuti prematuramente, divenuti adulti senza mai essere stati bambini, hanno imparato, sin da piccoli, ad anteporre i bisogni degli altri ai propri, sicché nella vita di coppia, chiedono molto poco per sé, mentre sono sempre a elargire attenzioni al partner, servendolo e sostituirsi ad esso nelle circostanze più onerose della vita.
Dall’altro lato queste persone, essendo abituate “a essere a disposizione degli altri” inevitabilmente finiscono per trovare partner bambini, che in cambio della loro “devozione” gli chiedono sempre più assistenza con una ossessività e insaziabilità che finisce col limitare qualsiasi possibilità di manovra e libertà del partner adulto.
Anche se il partner adulto qualche volta se ne lamenta, certe scelte non sono mere coincidenze, seguono invece un indirizzo inconscio preciso: nell’intavolare una relazione il più delle volte si è guidati da un binario psicologico sottostante che indirizza le simpatie e le valutazioni in modo da poter ricreare l’atmosfera “nevrotica” del passato.
Più l’infanzia è stata disturbata da stress e da problemi di relazione, e più c’è una tendenza inconscia a sceglie una persona che possa creare stress e disturbare la relazione. Una volta iniziata una relazione di questo tipo, è difficile rinunziare al “partner che ricorda l’infanzia”.
Quando qualcuno, scontento del proprio partner deve rispondere alla domanda “ Perché non lo lasci?”, immancabilmente replica irritato: “Perché lo amo”.
Spesso, infatti, il partner minimizza ( a posteriori) i duri litigi o le cocenti delusioni, perché, coinvolto in una situazione di dipendenza dalla situazione psicologica che si è creata, non può “permettersi” di dare un taglio al rapporto.
La pulsione a restare nel ménage infatti è più forte del disagio creato dal de già vu . Questa ferrea legge del “bisogno dell’atmosfera passata” fa andare avanti catastrofiche unioni.
Il compromesso: a repentaglio la coppia (5)
Nell’antichità la coppia fondata sull’amore e sulla simpatia era quasi del tutto sconosciuta: l’unione tra l’uomo e la donna si basava su un compromesso che ottemperava ad esigenze tribali, economiche, o dinastiche, che nulla avevano a che fare con i sentimenti.
Nel Medio Evo la scelta della donna ricadeva su una femmina fisicamente in grado di fare molti figli, di accudire la casa e il campo. Importava ben poco che fosse bella, sensibile e intelligente. Sebbene col dolce stil novo la donna ideale fosse considerata “angelicata”, tale caratteristica era richiesta solo dai poeti.
In quanto all’uomo, egli doveva essere nerboruto, rotto a tutte le fatiche e doveva comportarsi da vero mastino. Tra uomo e donna, dunque, non esisteva alcun dialogo: era necessario portare avanti i mezzi di sopravvivenza.
Solo a partire dal Seicento, si delineò il bisogno di una intesa culturale tra uomo e donna. Ma spesso non fu tra marito e moglie, bensì tra il cavaliere servente (il cicisbeo) e la sua dama.
Nella società occidentale ottocentesca la donna ideale era fragile e sentimentale mentre per l’uomo si imponevano qualità complementari a quelle femminili: egli doveva essere forte e protettivo.
Nei tempi moderni, l’unione tra partner che s’interessano e danno ognuno importanza a contesti del tutto diversi (lei vuole molti figli e lui no, lei vuole lavorare e lui non glielo permette, lui ama parlare di politica e lei no, lei s’interessa d’arredamento e lui no, lui ama il pallone e lei lo odia, lei ha un approccio di fede fervente, lui è del tutto tiepido, e via dicendo…) sussiste sempre. Più aumenta il numero delle divergenze, più c’è il rischio di incomunicabilità. E così, se i due non tollerano affatto le esigenze del partner, ma vogliono “restare uniti”, adottano continui e gravosi compromessi, tant’è che questo genere di rapporto, a volte, è vissuto con vera sofferenza.
La coppia Arthur Miller e Marilyn Monroe fu un esempio di stridente diversità di personalità e di incompatibilità culturale fra coniugi. Miller era un intellettuale mentre la moglie non possedeva né gli interessi né le esigenze culturali dello scrittore. Nella sua autobiografia il commediografo scrisse che al momento dell’incontro con quella donna bellissima, egli non immaginò di certo che ella fosse così ignorante da non aver mai letto nulla in vita sua. All’inizio della relazione Miller vide in Marilyn una creatura piena di fascino, in seguito gli apparve come una creatura vuota, priva di cognizioni e piatta.
In un primo tempo, per la verità, Arthur si dedicò all’educazione intellettuale della moglie. Per lei scrisse un soggetto cinematografico, dal quale venne tratto un film, Gli spostati. Tuttavia, svanita l’iniziale attrazione, l’unione divenne un macigno per entrambi. Le differenti esperienze culturali tra il drammaturgo e l’attrice ebbero il sopravvento, malgrado, come i due assicuravano, entrambi fossero ancora soddisfatti a letto.
La scrittrice Doris Lessing autrice, tra l’altro, oltre a La noia di essere moglie, e L’abitudine di amare, de Il taccuino d’oro, una summa di femminismo, confessò che il suo matrimonio era frutto di compromessi soffocanti, e privo di trasporto sentimentale. La Lessing infatti aveva sposato “il primo uomo possibile che le era capitato sotto mano”, cercando rifugio nel matrimonio per sfuggire all’oppressione della madre, donna autoritaria, bigotta ed ignorante, che le aveva impedito persino di leggere autori come Thomas Mann, Stendhal, Proust, Lawrence. Ma dopo qualche tempo dalle nozze, Dora, non sopportando che tra lei e il marito s’era instaurata un’unione puramente convenzionale, fu colta da «una dirompente claustrofobia matrimoniale».
Tra i matrimoni fondati sul compromesso e dunque non riusciti, spicca il legame tra lo scrittore Arthur Conan Doyle e la moglie. Arthur sposò Louise, sebbene non la trovasse né bella né intelligente, sol perché gli portò una discreta dote. L’inventore di Shernock Holmes, a quel tempo era un medico spiantato, senza clientela, che non riusciva a sbarcare il lunario nemmeno scrivendo romanzi polizieschi. Tra Arthur e Louse non vi fu mai un’intesa intellettuale, né comunanza d’impegni. Lo scrittore lamentava di vivere con la moglie “come due estranei nella stessa casa”. Dopo otto anni di matrimonio, di litigi e di estraneità, Conan Doyle pose fine a quel legame: abbandonò in Svizzera moglie e figli al loro destino.
Un compromesso fu anche la relazione tra Boris Pasternak e la pittrice Eugenia Lurie. Il matrimonio iniziò con una vorace e straripante passione sensuale, ma ben presto Boris, che tra l’altro non amava troppo la pittura, si disinteressò dei problemi della consorte, impegnato com’era a cercare la propria affermazione come scrittore. Eugenia, che voleva affermarsi come artista, accusò il marito di non capire la sua vocazione. Dopo dieci anni di «rovinosi disaccordi», lei partì per la Germania e Pasternak non volle trattenerla, era già innamorato di Zinajda Nejgauz, la donna che, dopo il divorzio, sposò.
Tuttavia non sempre le differenze temperamentali e culturali creano compromessi invivibili.
Nei primi del Novecento scandalizzò i “benpensanti” la relazione tra il filosofo Benedetto Croce e Angelica, la bella popolana analfabeta che il filosofò amò e sposò, trasgredendo le regole del bon ton. Per quel “colpo di testa”, il filosofo fu considerato spregiudicato tanto che i suoi amici cercarono di nascondere la sua unione con quella provocante mogliettina, che qualche maligno accusò anche di civetteria. Croce invece affermava che grazie al temperamento allegro ed esuberante di Angelica egli era divenuto meno serioso.
Una unione alquanto bizzarra fu anche quella del pittore Anselm Feuerbach che si legò alla popolana Antonia Risi, detta Nanna, moglie di un ciabattino e di certo molto poco istruita. Di quella donna irruente, dal carattere schietto e spontaneo, l’artista si invaghì follemente e ne fece la sua modella e la sua musa ispiratrice, sebbene Antonia non s’interessasse affatto di pittura.
Anche lo scrittore Giovanni Papini, uomo di vasta cultura e ricco di esperienze intellettuali, sposò un’analfabeta, tant’è che egli chiese alla moglie di Prezzolini d’insegnare a leggere e a scrivere alla sua “Lina”.
Pur non essendo un’intellettuale, Lina, bellissima e sensibile, fu di grande compagnia per Papini.
Malgrado questi ultimi esempi, tuttavia, per una buona intesa di coppia, oggi, che tanto spazio si da’ alla psicologia, non basta più, come un tempo, restare sotto lo stesso tetto per portare avanti “la baracca”: si richiede oltre all’attrazione, anche un affiatamento, un’affinità di interessi; un’amicizia, insomma che vivacizzi il dialogo e la quotidianità.
Sperare che l’unione possa rimanere salda anche quando i partner non hanno alcuna affinità tra di loro è un’utopia.
Infatti, dalla disarmonia di coppia, a volte, nascono drammi che corrodono e fanno vivere nel grigiore. Nella maggior parte dei casi, una mancanza di sintonia produce una greve “sopportazione” che finisce col cancellare il sorriso e spegnere gli entusiasmi.
Il “triangolo” nella coppia (6)
C’è chi ha bisogno di un rapporto immutabile per sentirsi sicuro e chi, invece, mai appagato dalla routine, sperimenta nuovi amori, imbastendo rapporti triangolari. I ménage à trois, a volte sono “accettati”, in altri casi invece sono motivo di tragedie. Quando lo scultore Gianlorenzo Bernini, scoprì che suo fratello Luigi andava a letto con Costanza Bonarelli, la sua amante e moglie d’un assistente del suo studio, sfregiò la donna e cercò di strozzare il fratello.
L’effervescenza amatoria, consueta in casa Savoia, ha creato una serie di “triangoli”. Vittorio Amedeo II, re di Sicilia e di Sardegna, impose come dama di compagnia, a sua moglie, regina Anna d’Orléans, la diciottenne contessa Jeanne Baptistine di Verruca che era la sua amante. Da lei sua Maestà si aspettava molto, perché la regina non gli aveva dato l’erede maschio, mentre la contessa aveva già fatto due maschi col proprio marito. Ma le aspettative regali non furono esaudite: Jeanne Baptistine diede al re una femmina, e Vittorio Amedeo finì col trascurarla.
Per ironia della sorte, di lì a poco la regina Anna diede al marito l’erede maschio legittimo. Vittorio Amedeo II, che non era un “cavaliere”, si disinteressò della sfortunata contessa.
Anche Carlo Alberto, mise su un triangolo. La ragion di stato lo costrinse a sposare Maria Teresa d’Austria e Toscana, ma egli amava la contessa Maria Antonietta Truchsess di Robilant, moglie di uno dei più prestigiosi ufficiali della corte.
Quando Carlo Alberto salì sul trono, chiamò accanto a sé il colonnello di Robilant ed elevò Maria a prima dama d’onore della regina. La contessa visse con discrezione accanto a Maria Teresa e la regina apprezzò la sua compagnia. Il re piemontese, benché avesse sempre evitato i pettegolezzi, non poté evitare che la sua storia d’amore venisse a galla. Forse per colpa della sua vicenda sentimentale, invecchiò e s’incupì anzi tempo.
Il suo successore, Vittorio Emanuele II, instaurò anch’egli un triangolo tra la bella Rosina, e la moglie, la regina Maria Adelaide. Il legame con Rosina, figlia quindicenne del tamburo maggiore dell’esercito, fece tornare al re l’entusiasmo e la voglia di vivere. Vittorio Emanuele II aveva altre amanti, ma per quella ragazza perse la testa, e da lei ebbe molti figli. La regina, rassegnata, permise che Rosa Vercellana abitasse nel parco di Stupinigi, per dar modo al marito di stare vicino ai figli che Rosa gli aveva dato.
A conferma che a casa Savoia, come in tutte le altre case regnanti, le cose andavano per quel verso, Umberto I dopo il matrimonio con Margherita,continuò a dispensare i suoi favori alle più belle donne del regno. Nella lunga lista ci furono l’attrice Emma Ivon, la nobile Vincenza di Santa Fiora, la moglie del marchese La Valle e la “dolcissima” Eugenia Litta Modigliani.
In un triangolo paradossale incappò Francesco Crispi. Egli era sposato con Rosalia Montmasson, stiratrice torinese, gelosa, nevrotica e complessata, ma nel 1877 il sessantenne ministro degli interni, da tempo legato alla trentaseienne Filomena Barbagallo volle regolarizzare la sua posizione, sposandola! A quel punto Rosalia denunziò il marito per bigamia e Crispi fu costretto a dimettersi. Solo grazie a una serie di brogli, il noto uomo politico si salvò dalla galera.
Un curioso e inconsueto triangolo fu quello tra Victor Hugo, sua moglie Adele e il critico Charles A. Sainte Beuve. La devota passione di Charles fece dimenticare ad Adele i diverbi col marito. Victor Hugo, a sua volta, era innamorato di Juliette Drouet della quale diceva che stimolava la sua produzione letteraria. «Senza di lei, non potrei più produrre nulla».
Un altro triangolo di dominio pubblico, fu quello tra l’ammiraglio Horatio Nelson ed Emma Hamilton, moglie dell’archeologo sir William Hamilton. Il vecchio e malandato Lord Hamilton, non volendo perdere la moglie, accettò la passione di Emma per l’ammiraglio, adattandosi a seguire i due amanti per l’Europa.
Pettegolezzi scoppiarono quando Emma diede alla luce una bambina che ipocritamente venne presentata come figlia adottiva. Quando Nelson perse la vita a Trafalgar, Emma Harte Hamilton, disperata, si dette al bere.
Un ménage simile a quello di lady Hamilton e Nelson, legò Ludwig I° Baviera a Mariannina Florenzi, figlia del conte Bacinetti. Quando Ludwig re intellettuale e grande amatore, conobbe Mariannina, «la più attraente delle donne», se ne innamorò perdutamente. Divenuto re, non dimenticò la dama romana, moglie del marchese Ettore Florenzi. Egli cercò conforto in quell’ amore, perché il ménage regale non era dei migliori.
Ezra Pound, poeta schivo e raffinato, marito di Dorothy Shakesperar, quando andò a Parigi s’innamorò della giovane violinista irlandese Olga Rudge, che gli diede il sospirato figlio; ma poco dopo la nascita di quel bambino, per ironia della sorte, anche Dorothy restò incinta, e da quel momento Pound visse contemporaneamente con la moglie, il figlio Omar, Olga e l’altro figlio.
Un triangolo vissuto schiettamente legò il critico d’arte Lionello Giorno a Linuccia Saba e al pittore Carlo Levi. Levi coabitava con Liuccia e col di lei marito, il quale non si ribellò mai al trentennale legame della moglie col pittore.
Stravagante triangolo anche quello tra il poeta Vladimir Majakovskij, la scrittrice e regista Lilia Jurevna Kagan e il marito di lei, il critico letterario Osip Brik.
I Brick continuavano a vivere assieme, malgrado il legame di Lilia con Majakovskij, ma questi era molto geloso del marito. Così, quando per caso i coniugi Lilia e Osip volevano fare all’amore, per non esser disturbati da Vladimir, chiudevano a chiave la porta della stanza del poeta per restare in intimità. Se Vladimir se n’accorgeva, scoppiava in eccessi d’ira furiosa.
Quando David Lloyd Gorge cancelliere dello scacchiere inglese, a quarantanove anni, s’innamorò di Frances, giovane insegnante della figlia, la volle sua segretaria particolare. Frances entrò nella vita di David, col quale condivise per anni ore ed ore di lavoro, tempo libero, viaggi e quant’altro capitava al “suo uomo”.
Del presidente francese Mitterrand si ricorda l’avventura dalla quale gli nacque una figlia. Mitterrand, che era sposato, di quella relazione e della figlia tacque sempre, e solo quando una giornalista rese pubblica la notizia, lo statista ammise i fatti.
Una vicenda molto riservata, in verità, quella tra l’ex cancelliere tedesco Helmout Kohl e la sua segretaria personale, Juliane Weber. Con essa Kohl discusse sempre tutte le sue azioni politiche. La moglie, signora Hannelore, che aveva “digerito” quel modus vivendi del marito, trascorse buona parte della sua esistenza studiando e interessandosi d’arte.
Insomma, i triangoli sono situazioni pericolose, ma in qualche caso nessuno se ne cura più di tanto.
La gelosia nella coppia
Le grandi passioni non sono immuni dalla gelosia, anzi, a volte, sono le più colpite. La gelosia esplode quando manca l’autostima. Cesare Pavese affermava che la gelosia maschile sottolinea la paura del confronto con un altro uomo.
La gelosia, maschile o femminile, è in ogni caso un sentimento che stimola comportamenti violenti e intransigenti.
Secondo la psicologa Serena Foglia: «Nella gelosia vi è anche una componente di invidia, perché nasce dall’amor proprio più che dall’amore». Singolare è però il fatto che della gelosia nessuno si vergogna, mentre la invidia tutti cercano di celarla.
La forma più violenta, irragionevole e infantile di gelosia è quella sessuale, che sfocia spesso in comportamenti criminali. Nel saggio Piccola storia dell’amore Armando Torno accomuna la gelosia alla follia, in quanto, dice Torno, tra l’una e l’altra non ci sono confini.
Nella novella Tu ridi, Luigi Pirandello sintetizza la grottesca assurdità della gelosia, raccontando che il signor Anselmo, un signore di cinquantasei anni, con barba bianca e cranio pelato, veniva rimproverato dalla moglie per “quelle sue incredibili risate d’ogni notte, nel sonno, le quali facevano sospettare alla consorte che egli, dormendo, guazzasse chissà in quali beatitudini, mentre ella gli giaceva accanto, insonne e arrabbiata.
Diceva l’attrice Doris Day, a proposito della gelosia: «Siamo sempre riluttanti a dare via i nostri vestiti dismessi e quelli fuori moda. Figuriamoci se possiamo accettare di dividere il nostro partner con un’altra persona».
In una lettera Italo Svevo scrive alla fidanzata: «Non è una tua occhiata data ad altri che m’offende, è l’idea che quell’occhiata mi dà la prova che nel tuo animo c’è la vanità e il desiderio di piacere. Quello sì mi offende!».
E in un’altra: «Sospendiamo per un mese il nostro fidanzamento, lasciami vivere per un mese nell’idea che tu non sei destinata a me. Forse mi calmerei più facilmente, potrei dormire almeno le ore che mi sono permesse. Basta che in questo caso le paure di perderti definitivamente non mi facciano ancora peggio». Queste lettere sintetizzano i sentimenti della persona gelosa con i sospetti, i timori, l’angoscia di cui si nutre chi è affetto da una patologia dalla quale difficilmente si guarisce.
La cultura popolare ritiene che la gelosia sia un sentimento normale e positivo, perché essa rinsalderebbe il vincolo di coppia e terrebbe in piedi il desiderio tra i partner. Tuttavia, in realtà, non rafforza affatto quel vincolo, in quanto crea sospetti, diffidenze ed ostilità, tant’è che in nome della gelosia si commettono molti delitti.
In passato, per la legge italiana, al marito geloso che puniva la moglie infedele, uccidendola, veniva comminata una condanna lieve, e non adeguata al delitto commesso.
Il sentimento maschilista ha distinto la gelosia maschile, apprezzata, e quella della donna non è approvata. Il principio che la reazione del maschio geloso debba essere giustificata e scusata, ha radici antiche ed è attivo da millenni in molte culture antiche, religiose o pagane. Ne i Numeri, alla donna rea d’adulterio viene lanciato l’anatema che il Signore la maledica, «faccia marcire, gonfiare e crepare». Il Levitino afferma che l’adulterio potrà essere punito con la morte. Nell’antica età regia di Roma, la donna adultera era passibile di pena di morte. Per la Lex Iulia de adulteriis del 18 a.C., il padre può uccidere la figlia adultera. Lattanzio, scrittore apologeta, sosteneva che le adultere dovevano essere giustiziate. L’imperatore Costantino, che guidò il processo di cristianizzazione, stabilì che se una signora avesse avuto rapporti sessuali con un suo schiavo, questi doveva essere arso vivo, e lei decapitata. Valentiniano I, che si professava re cattolico, nel 370 d.C. emanò una legge che puniva l’adulterio della donna con la morte. Non meno drastico è il Corano che agli uomini consente di testimoniare l’adulterio della propria donna giurando quattro volte che sia vero. Dopo di che la donna verrà lapidata.
Il problema fondamentale nella gelosia, sostiene lo psichiatra Carl Rogers, è che chi ne è affetto si sente rifiutato. Il geloso non sopporta d’essere abbandonato. Perché si scateni la gelosia non è necessaria una reale infedeltà: la gelosia è uno stato di apprensione e, come tale, non è guidata dalla ragione ma dall’emotività.
Il regista Luis Buñuel, persona culturalmente autorevole ma fragile emotivamente, era egocentrico e geloso. La sua relazione con la moglie Juana Rucar fu un ininterrotto e turbolento litigio. E tutto questo, malgrado il regista dava di sé un’immagine di artista trasgressivo che sfidava gli ideali borghesi. La sua condotta come marito fu invece inqualificabile.
La gelosia è un sentimento infantile. In quel periodo si ha paura di essere esclusi dall’amore del padre, della madre, e si teme di essere preferiti ai fratelli. La gelosia è un’esperienza, dice la psicologa Gianna Schelotto, che solleva gravi problemi relazionali e sociali.
Non solo l’uomo, ma anche la donna in preda alla gelosia può essere violenta: Medea, innamorata e gelosa di Giasone, è un esempio. Storie di questo genere, purtroppo, non fanno parte solo della mitologia, si riscontrano con frequenza anche nella vita reale.
Gelosa fu Eleonora Duse sebbene in apparenza mostrasse un temperamento forte e una mentalità aperta. L’attrice, che non era fedele, pretendeva però che lo fossero i suoi partner, tant’è che quando nel 1885, a Buenos Ayres morì il suo amante, Arturo Diotti, ella pensò di riconciliarsi col marito. Ma avendo scoperto che questi la tradiva con la giovane attrice Irma Gramatica, provocò un vero finimondo.
La gelosia ha anche afflitto governanti e personaggi di cultura. Napoleone Bonaparte era molto geloso; egli soffrì le infedeltà di Giuseppina, della quale era innamorato. Dalle lettere che le mandava emergono insicurezze e timori. In verità Napoleone aveva di che temere, perché Giuseppina, in fatto d’evasioni, non andava per il sottile.
Vittima della gelosia della moglie Teresa Blondel, fu Massimo D’Azeglio. Lo scrittore rimasto vedovo di Giulia, figlia del Manzoni sposò Teresa in seconde nozze. Ma la convivenza si rivelò difficile: la moglie era sospettosa, assillante. Teresa immaginava che Massimo fosse ancora legato con il ricordo alla prima moglie. Alla fine D’Azeglio si liberò di quella donna oppressiva, separandosi.
La gelosia dipende dalla cultura di un popolo, di un’epoca e dai preconcetti sociali. I Greci, per esempio, si interessavano poco del comportamento sessuale delle loro donne: erano però gelosi dei loro discepoli. Nel Giappone del X secolo, la gelosia era addirittura considerata una trasgressione alle buone maniere. Gli uomini non erano gelosi delle loro donne, e le mogli giapponesi erano convinte che se il marito avesse avuto molte amanti, maggiori sarebbero state le possibilità che, essendo felice delle sue conquiste, egli fosse più affettuoso con la consorte.
Paradossalmente chi è trasgressivo è anche geloso. Difatti, spesso coloro che praticano lo “scambio delle coppie” permettono al loro partner solo contatti fisici con l’altra persona. Quando dal rapporto tra il loro partner e un’altra persona sfocia un sentimento, si scatena la gelosia. Emblematica è la storia degli “Swingers” che negli anni Sessanta, in California, praticavano l’amore di gruppo. Lo psichiatra Carl Rogers, studiando la promiscuità di quelle coppie aperte, notò che la gelosia era presente anche in quei contesti.
Secondo la sociologa Serena Foglia la gelosia non può essere soffocata, perché è legata alla paura di perdere il possesso. In questo senso, c’è chi ha visto che la gelosia è utile per motivi biologicI. In chiave antropologica, essa rappresenta la difesa della prole legittima. Il maschio di molte specie animali vuole allevare solo i propri figli, e vieta alla sua femmina di accoppiarsi con altri; a sua volta la femmina, pretende che il partner non faccia figli fuori dal ménage, perché ciò gli impedirebbe di difendere efficacemente la prole.
Nel mondo animale la gelosia serve anche per il controllo del territorio. Emblematici sono i combattimenti tra i maschi delle renne, per difendere il territorio dagli intrusi ed evitare che qualche adulto che non è del gruppo s’accoppi con le femmine del branco. Caratteristica è la gelosia del re della foresta, il quale, cacciato il rivale da un territorio, uccide i cuccioli del leone detronizzato e s’accoppia subito con le femmine per avere una propria discendenza. Alcune femmine di animali sono gelose e se una estranea proveniente da un altro branco invade il loro territorio ingaggiano con l’intrusa una battaglia furiosa per scacciarla.
Sebbene, come s’è visto, nel mondo animale la gelosia abbia una certa utilità, nel mondo civilizzato, invece, afferma la psicologa Nancy Friday nel saggio Gelosia, chi è affetto da morbosa gelosia, soffre di narcisismo frustrato, di stizza infantile, di orgoglio ferito. Nella maggior parte dei casi la persona gelosa, assillando e opprimendo il partner, si dimostra incapace d’amare.
Solo chi si allontana da queste componenti distruttive, dice in sostanza la Friday, agisce in maniera razionale ed è anche meno geloso.
Amori travolgenti, ma instabili (8)
L’amore appartiene alla sfera dell’irrazionale e dell’imponderabile e sebbene quando è impetuoso cambia la qualità della vita, può accadere che chi è travolto da veementi passioni a volte perda il buon senso e la facoltà di giudizio.
Infatti gli amori follemente passionali sono spesso fonte di gravi inconvenienti proprio perché vissuti in situazioni “troppo emotivamente compromesse”.
Un grande amore legò Paul Éluard, poeta dadaista, a Gala. Per Paul, quella donna rappresentava l’esperienza misteriosa e sovvertitrice che attendeva da anni. Lei fu subito travolta dalla frenesia per quell’uomo che definì «genio meraviglioso». Gala fu l’ispiratrice dei versi d’amore di Éluard. Ma se agli inizi fu affascinata dal poeta, dopo il matrimonio, lo vide sotto una luce più pacata, meno travolgente e poiché non poteva stare con un uomo senza provare una impetuosa frenesia per lui, lo abbandonò sconvolta da un’altra bramosia, quella per Salvator Dalì. Dalì venerò Gala e lei divenne la musa, la madre e la compagna del grande pittore, finché arse la passione. Poi, improvvisamente, tutto finì.
Altro grande amore fu quello tra Salvatore Quasimodo e Maria Cumani, dalla quale il poeta ebbe un figlio. Quando Salvatore s’innamorò “violentemente” della Cumani, era sposato con Bice Donetti, ma non lasciò la consorte. Sempre propenso alle esaltazioni, poco dopo lo scrittore s’innamorò “perdutamente” di un’altra donna, Amelia Spezialetti, dalla quale ebbe una figlia. Fu a quel punto che la Cumani stanca d’essere emarginata, andò via portandosi il figlio Alessandro. Quasimodo disse di essere addolorato da quella “fuga”, ma continuò la sua vita di impenitente donnaiolo. Egli si vantava di possedere le chiavi di molti appartamenti ove aveva «libertà d’accesso al cuore di molte padrone di casa». Come abbia potuto avere tanta fortuna in amore è strano: non aveva un carattere facile, era sdegnoso, polemico e suscettibile. Malgrado ciò e pur non avendo di certo un aspetto da dongiovanni (era piuttosto grassottello e i suoi lineamenti scialbi), Quasimodo si rendeva attraente vestendo in maniera elegante, impomatandosi i capelli (com’era uso fare a quel tempo) e, soprattutto, usando la vena poetica per incantare le donne.
La sua verve gli conferiva un grande ascendente e gli consentì di spezzare molti cuori. Furono tante le relazioni “travolgenti” che Quasimodo ebbe con amiche, infermiere, accompagnatrici, segretarie, etc etc. Si vociferò persino una malignità: che la figlia del pittore Mario Sironi si fosse uccisa per lui. Fatto sta che la carriera di appassionato dongiovanni di Quasimodo fu lunga e circostanziata e iniziò quando, diciottenne, suo padre lo mandò via da casa perché aveva messo incinta una ragazzina. Il figlio Alessandro, ha spiegato che suo padre era sempre predisposto a «furiosi innamoramenti» ma era altrettanto solito intiepidirsi ben presto.
Facile ad infiammarsi di passione ma, al contrario di Quasimodo, sbrigativo nel porre fine ai legami “scomodi” fu Pablo Picasso. Il pittore a Roma s’innamorò di Olga Kovolova, danzatrice dei Balletti Russi, e compagna di Sergej Diaghilev. I due s’incontrarono all’albergo Minerva, e divennero subito amanti. Nella Capitale vissero momenti meravigliosi, tanto che il pittore cominciò a disegnare con grande estro.
La passione, affermava Picasso, rende fertili artisticamente. Egli seguì l’amata a Napoli, a Madrid, a Barcellona e a Parigi, dove finalmente si sposarono; ma da quel momento il legame non funzionò più. La convivenza tolse ogni patina d’illusione ad entrambi. L’affascinante Olga, figlia di un alto ufficiale russo, prediligeva il lusso, i bei vestiti, la gente bene; un genere di vita che Picasso, figlio di una popolana, abituato a vivere in modo spartano non condivideva. Olga gli diede un figlio e sperò di fare del marito un gentiluomo dell’alta società. Ma Pablo non s’immedesimò nei panni del dandy; anzi, appena la passione cominciò ad affievolirsi, piantò Olga per tornare alla condizione di bohémien.
Le relazioni improvvise e furiosamente passionali fanno emergere in seguito grovigli emotivi e talvolta, quando terminano, provocano nell’animo una impietosa devastazione. Nel caso di Olga lo choc fu desolante: l’abbandono le ricordò vecchie frustrazioni ed essa entrò in una grave depressione.
I pittori Diego Rivera e Frida Kahlo, sempre avidi di forti esperienze, ebbero una vita turbinosa e frenetica, densa di avvenimenti passionali.
Frida, figlia di un fotografo europeo, immigrato a Città del Messico, studiò pittura. A diciotto anni ebbe un tragico incidente d’auto che la costrinse a lungo nella sedia a rotelle. Grande ammiratrice di Rivera, ne divenne l’allieva, l’amante e poi la moglie. Il loro salotto era aperto agli intellettuali così come i loro cuori erano sempre disponibili a sconvolgenti avventure. Frida e Diego si concessero una grande libertà: Diego fu persino amante della sorella della moglie, e Frida amò non solo molti uomini ma anche molte donne. Frida fu selvaggiamente e sensualmente innamorata di Trotzsky, ma dopo l’iniziale infatuazione lo abbandonò perché, conosciutolo meglio, disse di ritenerlo abbastanza noioso. «E tuttavia- confessò – dopo aver troncato la relazione – senza Trotzky non avrei mai capito la politica».
Diego e Frida, pur con le continue esperienze trasgressive, ebbero un intenso e prolifico dialogo umano e culturale. «Il mio modo di pensare, il mio modo di capire l’arte – sosteneva Frida – lo devo a Diego, e, per la verità, in qualche caso anche agli uomini che, amandomi, e standomi vicini, si sono dedicati alla mia istruzione».
Ugo Foscolo, poeta tra i più rappresentativi e “seriosi” della nostra letteratura, pur non essendo bello era però dotato di grande fascino grazie al quale attraeva le donne.
Malgrado i suoi biografi abbiamo cercato di nascondere questa sua “pecca”, al Foscolo piacevano la bella vita e le donne seducenti. Ancora adolescente, venne travolto dalla passione e “iniziato” al sesso da una signora alquanto matura, Isabella Albrizzi, e poco dopo fu amante focoso della moglie di Vincenzo Monti, Teresa Pickler, con la quale il giovane Foscolo ebbe una turbinosa relazione.
La carriera di grande seduttore del poeta fu intensa, ma se la passione sul momento esplodeva in maniera travolgente, in seguito, passato il primo impeto, Ugo dimenticava con impudenza la donna che aveva qualche tempo prima dichiarato d’amare follemente.
Anche Gabriele D’annunzio, pur non essendo né bello, né un fusto, riusciva a conquistare molte donne. Il padre del poeta impose al giovanissimo Gabriele di sposare Maria Hardouin, nella speranza di dare una calmata alle avventure erotiche del figlio, che procuravano cattiva reputazione a tutta la famiglia. Ma dopo il matrimonio, il Vate, non volendo “ imborghesirsi”, e convinto che amare è un’attività da non essere inquadrata negli stereotipi della routine, tornò ad innamorarsi follemente di attrici, scrittrici, donne dalla personalità regale ma anche di sartine, guardarobiere e cameriere. Verso tutte si sentiva attratto, di volta in volta, da “passione folle e insensata”. Gabriele era adorabile con le donne che incontrava, ma non appena avvertiva che stava per subentrare la monotonia della routine, fuggiva via verso nuovi lidi.
Il mito letterario dell’amore passionale fa sì che quello vissuto nella “normalità” sia ritenuto un pallido modello di quello “ideale”. Infatti, secondo alcuni, l’amore “vero” è quello che si manifesta come un turbine, una tempesta, come una sferzata. Ma certe passioni travolgenti si rivelano una forma di follia che scuote e distrugge tutto al pari di un uragano.
La sociologa Hannah Arendt, sostiene che è difficile mantenere intatto il ritmo passionale iniziale. Tuttavia, quando ciò accade, l’amore troppo “folle” cancella ogni equilibrio e arreca più dolore che felicità, perché instaura un vincolo fagocitante ed ossessivo. Dopo certi esordi folli e travolgenti, il problema è evitare che la passione provochi sentimenti di gelosia, d’invidia, e che scateni un narcisismo egocentrico: miscellanea davvero negativa per ogni relazione di coppia.
Solo quando il rapporto che ha avuto un inizio esplosivo, si trasforma in un legame intelligente, la coppia ha buone probabilità di riuscita. In caso contrario, dopo una partenza violentemente passionale, potrebbe sopraggiungere una conclusione tempestosa.
Diceva Oscar Wilde che stare in coppia è come stare al sole: se non si prendono alcune precauzioni, si finisce con lo scottarsi.
Le coppie quasi impossibili (9)
C’è un genere di unione difficile da gestire, che provoca situazioni frustranti e paradossali: si tratta delle coppie formate da un eterosessuale e un omosessuale. In questi casi solo il buon senso e la capacità di sopportazione può far fronteggiare un rapporto equivoco, conturbante e denso di dissonanze.
Il compositore russo Piotr Iliic Ciaikovskij, che era omosessuale, intrattenne una “amicizia sentimentale” con la statunitense signora Nadezhda von Merck. Una relazione, questa, che il musicista condusse sul filo dell’equivoco. Infatti egli fece credere a Nadezhda di provare per lei un amore puro, occultandole le proprie propensioni sessuali per non perdere l’assistenza economica della generosa benefattrice.
Piotr non sopportava rapporti erotici con donne e così non volle incontrare la Nadezhda. Egli inventò una scusa romantica: disse all’amica che, se il loro amore si fosse nutrito solo di contatti epistolari, non si sarebbe sciupata la bellezza della relazione.
Una scusa platealmente sospetta, alla quale la donna, pazzamente innamorata del musicista, credette ciecamente. Per tredici anni la von Merck mandò lettere vibranti d’amore all’uomo che ammirava, accompagnandole con ingenti contributi in rubli.
Prima dell’amicizia con Nadezhda, Piotr Ilic, tentando di negare la propria omosessualità, aveva sposato un’allieva, Antonia Miljukova. Quel matrimonio spiegò poi alla Nadezhda, era stato da lui contratto per poter assistere finanziariamente la ragazza. Il gesto suscitò la pietà dell’amica, che gli mandò ancora altro denaro «per salvare Antonia».
Ciaikovskij, che soffriva di crisi paranoiche, confidò alla Merck di provare per sua moglie un grande disprezzo, fisico e “morale”. Egli descrisse Antonia come una strega: «Non solo non m’ispira il minimo sentimento ma mi è così odiosa che il mio disgusto per lei cresce di ora in ora», poi aggiunse: «Tutto in Miljukova è affettato. La sua testa e il suo cuore sono completamente vuoti».
Ambigue e paradossali anche le condizioni in cui si svolse il rapporto tra Oscar Wilde e sua moglie Constance Lloyd, ragazza bella, ricca e di buona famiglia, innamorata dello scrittore inglese perché lo riteneva un uomo di talento.
Wilde la sposò ritenendo che il matrimonio sarebbe stato un buon lancio pubblicitario per le sue opere. La coppia ebbe due bambini, Cyril e Vyvyan, ma l’unione non funzionò. Oscar abbandonò la moglie quando conobbe Alfred Douglas, giovane affascinante al quale lo scrittore si legò senza esitazione. Douglas si mise con Wilde per spillargli denaro. Constance, che fino ad allora aveva ignorato l’omosessualità del marito, ritenendo che egli fosse solo annoiato della vita coniugale, saputo della relazioni di Wilde sia con Douglas che con Arthur Humphreys, andò via da casa.
Un’altra relazione molto ambigua fu quella tra Wanda Toscanini e il pianista Vladimir Horowitz.
L’ambizioso musicista era omosessuale, ma corteggiò e chiese in sposa Wanda perché era la figlia del più grande direttore d’orchestra del tempo, cosa che lo avrebbe avvantaggiato nella carriera.
Wanda, pur conoscendo la omosessualità di Vladimir, volle dedicarsi al grande interprete. Nemmeno la nascita di una figlia, Sonia, allietò la coppia. Il pianista, infelice e nevrotico, si accompagnava con frequenza a uomini. Quando i suoi tradimenti divennero “socialmente” scandalosi, Wanda lo sbatté fuori di casa. Poco dopo però, impietosita lo riprese con sé, ma disperata, confessò: «Mio padre m’ha fatto diventare nevrotica, mio marito pazza».
Stravagante fu anche relazione tra la principessa nera, Iman, top model di Yves Sant-Laurent e David Bowie. I due si sposarono con sfarzo pubblicitario, ma qualche mese dopo la bellissima Iman scoprì che David andava a letto con Michael Jackson. Allibita e infuriata telefonò ad un amico, Kiris Helstin e quello, gelidamente, le fece presente che il quarantaseienne David Bowie, cantore dell’amore moderno, era conosciuto per le sue “particolari “ tendenze sessuali e che il loro, in partenza, era un ménage assurdo.
«Solo tu hai ignorato i suoi gusti» le spiattellò l’amico. Poco dopo Iman trovò David a letto con Mick Jagger. A quel punto chiese il divorzio e ottenne una somma favolosa per gli alimenti.
Negli anni Venti del XX secolo fu oggetto di pettegolezzi il matrimonio tra il newyorkese Robert McAlmon, critico d’arte, e l’aspirante attrice Annie Winifred Ellerman, omosessuale e figlia di un magnate dell’industria inglese. La ragazza, sebbene educata in un clima sessuofobico e repressivo, aveva “esperienze” con ragazze; per “coprire” le sue scappatelle, chiese a McAlmon di sposarla. A Robert non interessava ciò che lei faceva, egli aveva bisogno di soldi, e accettò. I due arrivarono subito alle nozze: Robert per il denaro della moglie, Annie per sfuggire all’ossessivo controllo del gelosissimo padre, sperando di vivere la propria omosessualità all’ombra del matrimonio che la proteggeva.
Per qualche tempo i due coniugi vissero in accordo. Annie scrisse e pubblicò poesie e romanzi sotto lo pseudonimo di Bryher; Robert girò, a spese della moglie, per l’Europa, incontrando i talenti più vivaci del tempo: Eliot, Yeats, Hemingway, Gertrude Stein, Pound, Dos Pasos.
McAlmon pubblicò anche lui un libro dal titolo Being Geniuses Together, che però non ebbe successo. Robert, allora, disperato per il fallimento dell’opera divenne sempre più acido e aggressivo con Annie che, non sopportandolo più, divorziò e andò a vivere con un’amica.
Alla fine dell’Ottocento, un altro legame ambiguo fu quello tra il poeta inglese Thomas Hardy e la scrittrice Emma Lavinia Gifford.
Emma aveva dichiarato la propria omosessualità, ma Hardy volle combattere «il tragico mistero del destino umano e l’ipocrisia della società», e si legò a lei. Tempo dopo però Hardy colto dall’ angoscia per il fallimento del proprio tentativo fu assalito da malesseri psicosomatici. Per distrarsi intrecciò varie relazioni, tra cui, le più importanti quelle con Florence Heniker e con Emily Dudgale. Quando Emma morì, Hardy pentito per le sue distrazioni, dedicò alla moglie una serie di bellissime poesie.
Un’altra coppia “impossibile” fu quella formata dallo scrittore Bruce Chatwin, magnetico, narcisista e bisessuale, e da Elizabeth Thores, un’impiegata di Sotheby’s, alla quale egli s’unì perché gli dava un poco d’allegria, senza però metterla a parte della propria condizione.
Poiché Bruce con la moglie non ebbe rapporti ( preferiva gli efebi e i ragazzi), quando Elizabeth si rese conto della tendenze del marito, tentò il suicidio. Salvata in extremis, abbandonò il coniuge. Bruce dopo quella esperienza visse da nomade e raccontò in libri di grande successo i suoi avventurosi viaggi in tutto il mondo.
Chatwin, viaggiò anche con lo scrittore islamico Salman Rushdie. A causa dei suoi vagabondaggi sessuali, Chatwin contrasse l’Aids e a quarantasette anni morì.
Gli esempi di coppie “impossibili” sono tanti, e non si può ignorare il ménage, frutto di compromessi, tra Marlene Dietrich e Rudolf Sieber, i quali dopo un impossibile matrimonio divorziarono con gran clamore. La loro figlia, Maria Riva, nel 1993 pubblicò su quella unione una biografia impietosa.
Solo in casi limitati questo genere di ménage non deflagra in risse memorabili e prosegue su un binario “accettabile”. Ma non si può negare che la maggior parte di queste unioni sono vissute con esperienze frustranti e con umiliazioni dal momento che, dal punto di vista erotico, in questo tipo di ménage, il partner non è oggetto del desiderio. Mancando infatti uno dei cardini dell’unione, l’attrazione fisica, (che invece è presente sia nelle coppie etero che in quelle gay), non è possibile far funzionare il rapporto sin dall’inizio.
E però, non bastano né le frustrazioni né le ambivalenze per impedire che questo genere di ménage a volte perduri a lungo e diventi un insolubile delirio a due.
Il “dislivello” d’eta’ nella coppia (11)
Esiste davvero un’età per l’amore? Secondo un luogo comune l’amore è retaggio della giovinezza e tuttavia passioni e tenerezze non si esauriscono nel primo periodo della vita.
Infatti spesso non è l’età che decide se un cuore non sia più in condizione di amare: è la mancanza di interessi, di entusiasmi, di idee che mette in pensione l’amore. Di “vecchi” se ne trovano anche sotto i trent’anni. Il discorso diventa assolutamente settario nei confronti delle donne mature: per esse il maschilismo non ammette che abbiano gradevoli incontri. La società ritiene che far figli sia il principale dovere delle donne, e che esse, una volta in menopausa, non dovrebbero avere velleità amatorie. E invece, e giustamente, sono molte le donne che rifiutano il pensionamento dell’amore. Paola Borboni a settantadue anni, sposò Bruno Vilar, di quarant’anni più giovane di lei. Era settantenne la marchesa Anne Marie du Deffand quando s’innamorò del quarantottenne politico inglese Horace Walpole, col quale instaurò una relazione amorosa. Ornella Muti (45 anni) è legata a Stefano Piccolo (37), Irene Pivetti (37) ad Alberto Brambilla (27), Alessandra La Capria(33) a Francesco Venditti (23 anni). L’attrice Barbara de Rossi, quarantenne, sta con il ballerino Branko Tasanovic, di 29 anni.
L’arcigno Machiavelli, in età matura, confessò: «Ho lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi perché non mi diletta più tanto leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci su Venere».
Una passione travolse il cinquantaseienne Voltaire per l’adolescente nipotina Denise che lo adorava, essendo affascinata dalla sua vivacità intellettuale. Richard Wagner continuò ad amare fino a tarda età. Bertrand Russell fu tenero amante fino a tarda età. L’ottantenne Alberto Sordi afferma: «Vivere a lungo non deve essere una condanna, bensì un vantaggio».
In Giappone agli inizi del Novecento molte donne, arrivate alla maturità, stanche del gravoso carico familiare, divorziarono. Bertold Brecht, ne La vecchia signora indegna, racconta di una settantenne che si ribella alla vita piatta condotta fino a quel momento e che da quel momento comincia a divertirsi.
Jean-Paul Belmondo a sessantasei anni confessa ancora il bisogno di amare. A ottanta anni l’umorista Bob Hope, spiegò: «Arrivare a questa età significa ricordare più date e più cose, non smettere d’amare». Secondo l’attore Renato Cucciolla, quando si è anziani l’amore è una ricetta per non deprimersi. A sessantaquattro anni l’attore ha avuto un figlio dalla trentatreenne Alida Sessa.
Marlon Brando a settantuno anni ha avuto il suo dodicesimo figlio e Anthony Quinn ebbe a settant’anni un figlio dalla segretaria Kathy Benvin. Ernesto Calindri, ultranovantenne, affermò che ancora l’attività che più esaltante era fare l’amore.
Stefano Zecchi si è sposato a 54 anni con la ventiseienne Sara Fioretta. Leo Ferrè ebbe un figlio a 62 anni. John Wayne a 60 anni.
A settanta anni Bette Davis s’innamorò perdutamente del suo giovane segretario e la soprano Lina Cavalieri ebbe diverse focose relazioni fino a tarda età.
Produttività lavorativa, arguzia mentale e ars amandi sono aspetti di un’unica forza vitale. Chi è longevo nel campo dell’arte, della politica, del lavoro e delle scienze e degli interessi mentali e culturali è anche efficiente in amore.
Victor Hugo a sessanta anni scrisse Lavoratori del mare e I Miserabili e si legò alla giovanissima Juliette Douret. Wolfhang Goethe a cinquantotto s’innamorò della diciannovenne Minna Herzlieb. Passione ricordata nella figura di Ottilia, protagonista de Le affinità elettive. A settantatré anni lo scrittore chiese la mano della diciannovenne Ulrike Levetzow. Nove anni dopo completò il Faust.
Giuseppe Verdi fu un longevo spirito creativo: compose il Falstaff quando aveva 80 anni, e fu un infaticabile amante fino agli ultimi anni della sua vita.
Il Premio Nobel Guglielmo Marconi a 70 anni s’innamorò di una ventenne che egli chiamava affettuosamente Nene. Il pittore Marc Chagall a novantasette anni, era in piena attività lavorativa ed erotica come testimoniò Juliette Douviner. Il generale austriaco Radetzky a settanta anni si legò ad Hannah, la fida governante quarantenne, che gli stava vicino anche in camera da letto.
Lo statista Otto Bismarck‑Schonhausen abbandonò la politica alla ragguardevole età di 75 anni, e si ritirò a Friedrichsruh, in compagnia di una lontana parente, che aveva trent’anni meno di lui, e che fu la sua tenera amante.
Galileo Galilei a sessantasei anni s’innamorò della trentenne Alessandra Bocchineri Buonamici. Gaspare Gozzi si unì alla poetessa dell’Arcadia, Luigia Bergalli (in arte Irminda Partenide), di dieci anni più anziana di lui. A metà del ‘700, Benjamin Franklin nel suo saggio Advice to a Young Man enunciava “buone ragioni” per scegliere una donna matura. Il sessantacinquenne Francisco Goya y Lucientes s’innamorò della ventenne Leocadilla Zorilla e con lei visse gli ultimi anni della sua vita
Edgard Allan Poe sposò la tredicenne Virginia Clemm, figlia di una sorella della madre dello scrittore. Il matrimonio fu celebrato perché i testimoni che mentirono la età della sposa. Bela Bartok sposò l’allieva Marta Ziegler che aveva sedici anni meno di lui. Lo scultore Auguste Rodin a sessantatrè anni iniziò una relazione con la ventisettenne pittrice Gwen John.
Charles Chaplin a trent’anni sposò la sedicenne Mildred Harris. A quarantatré conobbe la ventenne Paulette Goddard e se ne innamorò pazzamente. A 54 ebbe la straordinaria vicenda con Oona, di trentacinque anni più giovane di lui. Charlie a 73 anni ebbe l’ultimo figlio.
Il sessantanovenne Carlo Cassola sposò Paola Natali, che aveva trentacinque anni meno di lui. E un amore senile legò anche il sessantenne Pasternak alla trentenne Olga Ivinskaja, dalla quale ebbe una figlia, Irina Emilianova.
Anche Totò ebbe relazioni “sbilanciate”: quando incontrò Franca Faldini lui aveva 54 anni e lei 21, eppure tra i due si instaurò un legame che si concluse sono alla morte del comico. Giuliana de Sio aveva vent’anni quando si legò al regista Elio Petri. Anche la loro fu un’unione molto solida che solo la morte del regista troncò. In quanto a Renato Rascel il comico sposò la soubrette Giuditta Saltarini, che aveva trent’anni meno di lui. Placido Domingo a cinquantasei anni convive con la ventenne Alessandra Duller. Il cinquantenne José Carreras si è innamorato della ventottenne Petra Schlapp. Luciano Pavarotti a sessanta anni s’è unito a Nicoletta Mantovani. L’attore Carlo Croccolo a settantacinque anni, in terze nozze, sposò una trentasettenne. Alberto Moravia si legò alla trentenne scrittrice spagnola Carmen Llera. L’attore Gary Grant sposò Barbara Harris di quaranta anni più giovane di lui affermando: « A ottantadue anni faccio ancora all’amore».
Lo scrittore Norman Mailer sposò in seste nozze Norris, che aveva trentacinque meno di lui. II novantacinquenne architetto, scrittore e regista Luis Tranker ha avuto un figlio dalla sua governante, la trentaduenne Martina Holler.
L’ultrasettantenne narratore Erskine Caldwell sposò una donna che aveva trent’anni meno di lui e che gli diede un figlio. A ottantatré anni, Giovanni Malagodi, leader dei liberali sposò la trentacinquenne Elena Iannotta. Arturo Toscanini ebbe una travolgente esuberanza erotica: a 66 anni si legò alla pianista Ada Colleoni Mainardi. Seicento lettere e trecento telegrammi testimoniano l’attività, i pensieri, le passioni e la vita del grande maestro. L’esuberante Pablo Picasso, a sessantacinque anni si legò ad una liceale, Geneviève Laporte.
Anche molte donne amano avere rapporti con uomini più giovani: Il mensile Le Temps Retrouvé ha condotto un’inchiesta dalla quale risulta che fare all’amore dopo una certa età non è problematico se si è efficienti e motivati e se in gioventù non si sono avuti problemi psicologici, sociali e sessuali.
«La pressione sociale rende invivibile l’eros degli anziani e condanna il ménage sbilanciato; anche se in tanti altri casi nemmeno il discredito sociale ha cancellato il buon esito di unioni tra persone anziane o tra anziani e giovani» afferma lo psicologo G. H. Hartmann. E tuttavia, non sempre è possibile prescindere dal giudizio sociale.
Non solo, ma un tempo s’era abusato nell’accettare il dislivello dalla coppia. Infatti, nell’antichità maschi ricchi e anziani impalmavano giovanissime, concesse loro da avide famiglie. Dal Quattrocento al Settecento le donne siciliane si sposavano tra i dodici anni e i diciotto anni con uomini più grandi di loro. Lo stesso accadeva in Puglia, nel secoli XVI e XVII, ove l’età del matrimonio delle donne era tra i quindici e i venti anni. Nei primi del Novecento, in Basilicata, le donne andavano all’altare a sedici anni. Ma quando le giovani non trovavano efficiente l’anziano marito, si consolavano con qualche coetaneo.
Il mondo sommerso di alcune coppie (12)
Fra tutte le componenti della dinamica di coppia la meno evidente è quella erotica, perché, essendo tabù, un ancestrale velo la ricopre, rendendola indecifrabile a volte anche agli stessi partner. Emblematica a tal riguardo la commedia di Vitaliano Brancati, Don Giovanni involontario in cui il protagonista, giunto nell’al di là, convinto d’aver fatto felici come nessun altro le donne che ha “amato”, apprende invece che è stato incapace di amare e di farsi amare.
Alla carenza di dati ricavabili dalla gente comune, suppliscono le biografie di alcune personalità illustri, che sono un palcoscenico nel quale è possibile comprendere come la componente intima di alcune coppie sia a volte alquanto bislacca.
Leonard Woolf e la scrittrice Virginia Stephen (nota col nome di Virginia Wolf) apparivano una coppia unita, ma le cose tra loro non andavano bene: Virginia, il cui ideale erano le donne, non volle fare sesso col marito, e Leonard, pur di starle vicino si rassegnò ai gusti della moglie
Della pudica regina Vittoria d’Inghilterra si sanno alcune indiscrezioni, che una dama di corte avrebbe ricevuto dalla regale maestà e che poi rese note nel proprio diario. Si sa che la regina si sottoponeva al “dovere coniugale”, solo per dare una discendenza alla dinastia, ma “non partecipava”, anche perché a quei tempi era sconveniente che una donna si lasciasse andare. Una pudicizia che era l’emblema stesso dell’Era Vittoriana. Vittoria riusciva a svicolare dal sesso con un escamotage: in quei momenti pensava all’Inghilterra e ai sudditi ai quali donare l’erede al trono.
Gli psicologi affermano che non è solo dell’Era Vittoriana che impera questo tipo di sessuofobia (Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa insegna).
Ben diverso fu il problema di Emma Hamilton, moglie dell’archeologo e vulcanologo sir William Hamilton, la quale confessò nel suo diario che il marito non onorava il debito coniugale. Emma alla fine spazientita si legò all’ammiraglio Nelson dal quale ebbe una figlia.
Nella metà del Novecento, in un’epoca in cui il sesso era ancora tabù e il perbenismo imponeva che almeno nell’apparenza matrimoniale tutto fosse normale, una curiosa vicenda creò un gran trambusto nella società bene. Protagonista fu una delle coppie più raffinate della Capitale, quella formata dal marchese Camillo Casorati Stampa di Soncino e dalla bellissima consorte, Anna Fallarino. La signora, senza che nell’ambiente nessuno avesse mai sospettato nulla, su richiesta del coniuge, faceva l’amore con i gigolò che il marchese le procurava e che pagava profumatamente. Durante gli incontri, Camillo scattava fotografie e filmava i giochi erotici della consorte, ricavando immagini che i coniugi rivedevano poi nel privato. La coppia andò avanti per anni senza dare scandalo. Nel suo diario, Camillo, descrisse quegli incontri come “molti intriganti”. Però quando a poco a poco l’ardente signora s’appassionò ad un affascinante studente Massimo Minorenti, il marchese sospettò che gli appassionati incontri fisici si fossero mutati in una storia d’amore. Il marito, “disperato” annotò nel diario: «È la più grande tragedia della mia vita: che delusione, non ho parole! Che schifo, che voltastomaco! Anna s’è innamorata dello studentello! Il suo è un volgare tradimento d’amore!». A quel punto il Casorati, “offeso”, imbracciò il fucile e fece fuoco sui due amanti. Poi rivolse l’arma contro di sé.
Un caso simile, meno cruento, era accaduto più o meno in quel tempo: protagonisti un famoso avvocato del foro romano, Giuseppe Sotgiu e la moglie Liliana Grimaldi.
Il Sotgiu, docente di procedura penale, presidente della giunta provinciale ed alto esponente del Pci era considerato fustigatore dei costumi ed esempio di moralità, tanto da essere scelto da Togliatti per presiedere la commissione di riabilitazione dei minorenni. Sebbene il Sotgiu in vari processi si fosse scagliato contro l’immoralità “occulta” degli ambienti altolocati della capitale, egli era invece solito frequentare con la moglie una casa d’appuntamento gestita da Rita Fantini, ove avvenivano scambi di coppia. Una volta mentre la signora Sotgiu, in presenza del marito, era in intimità col ventenne Sergio Rossi, vi fu un’irruzione della polizia. La notizia riportata da tutti i giornali creò uno scandalo enorme e mise in luce gli “strani” incontri del penalista.
Un sottobosco “particolare” di coppia fu evidenziato dalla tragica vicenda accaduta al poeta russo Aleksandr Sergeevic Puskin. Sua moglie Natalia Goncarova, donna bellissima, si era legata al cognato, il barone francese George d’Anthès, marito di sua sorella, perché Aleksandr era, a detta della moglie, “molto carente nell’intimità”. Puskin non fu turbato della cosa più di tanto, anzi, in cuor suo era contento di non essere costretto più ad assolvere a un dovere, quello coniugale, che non gli andava. Ma quando dopo qualche tempo l’intrigo venne a galla, lo scrittore, per non perdere la faccia, sfidò il rivale a duello, e lo scontro si concluse, purtroppo, con la morte del grande autore russo.
La straziante incomunicabilità con l’altro sesso e l’incapacità a mantenere un rapporto di coppia, portarono il poeta Vladimir Majakovskij al suicidio. Vladimir non si era rassegnato all’idea di essere stato abbandonato dalla sua Lili Brik, che aveva troncato la loro convivenza rinfacciandogli di non saper fare all’amore.
Malgrado la struggente passione del trentunenne poeta svizzero Blaise Cendrars per la dolce e incantevole attrice Raymone Duchteau, tra i due non vi fu mai intimità, tant’è che ella gli consentì d’amarla, ma non volle essere toccata nemmeno quando, nel 1947, accondiscese a farsi sposare. I due vissero come una coppia “normale” e solo pochi intimi conoscevano il loro patto di assoluta castità. Diceva Raymone, che il nutrimento del suo eros erano le poesie di Cendrars. Infatti ella, sia prima che dopo aver conosciuto Blaise, non ebbe mai rapporti con uomini e non li ebbe nemmeno con suo marito.
Un caso di unione fatta di pura interiorità intellettuale, quasi senza unione fisica, troviamo nella coppia Franz Kafka e Milena Jensenska. I due diedero vita ad un rapporto affettivo intenso, ma la loro intimità solo a sprazzi ebbe qualche risveglio. Franz era spesso avvilito da crisi depressive che gli facevano ritenere tutto inutile, compresi l’amore e il sesso. Milena, che in apparenza sembrava una donna eterea e intellettuale, tanto che nessuno suppose che quella donna avesse una gagliarda vitalità erotica, alla fine piantò lo scrittore per un prestante orchestrale, ma rimase spiritualmente vicina a Kafka fino alla morte.
A volte nemmeno tutte le scienze sociali e neanche la fenomenologia sono in grado di dare informazioni corrette sull’intimità di una coppia. Spesso i partner cercano d’apparire in società come se non avessero problemi di quel tipo, sicché è difficile, se non impossibile, interpretare ciò che accade nella loro intimità.
L’eccentrica nobildonna Luisa Amman Casati, che portò avanti alcuni dei più importanti movimenti culturali del ‘900, appariva un’intellettuale eterea e del tutto lontana dai grandi appetiti erotici. Invece ebbe una vita intima intensa, sia col marito, il marchese Casati Stampa, che con altri partner quando, come ella stessa scrisse nel proprio diario, il calo del desiderio nell’ambito matrimoniale si fece sentire. Luisa rivisse nuovamente le gioie dell’alcova con lo scrittore Compton Mackenzie e con il futurista Filippo Marinetti.
Un esempio all’inverso di quello della Casati fu Jayne Mansfield. La bionda e prosperosa diva degli anni Cinquanta, sexy symbol hollywoodiano, fece sognare generazioni di maschi, ma non era, come appariva, una mangiatrice di uomini, anzi, era del tutto frigida. Stare con lei, confidò Arnold Scwarzenegger, col quale la diva girò The Jayne Mansfiedl Show, era come abbracciare una colonna di ghiaccio.
Tendenze particolari, acrobazie e defaillance nell’ambito della coppia restano nascoste perché condannate dal “tabù sociale”. La disillusione di uno o di entrambi i partner, a causa di un malinteso perbenismo, non sempre viene alla luce, e così consolida una deleteria routine che incrina prima o poi il rapporto. Accade così che alcune donne ritengono di non poter “migliorare” la loro intimità, ma il più delle volte sono solo disinformate; in quanto agli uomini che soffrono “carenze”, essi non solo difficilmente le confessano alla partner, ma le nascondono persino in sede terapeutica.
Insomma, problemi, difficoltà e funambolismi erotici all’interno della coppia, sono rischiosi per l’equilibrio psichico e prima o poi finiscono con l’esplodere in tutta la loro drammaticità.
Senza amicizia, solitudine nella coppia (13)
Affermava lo psicologo Alfred Adler che «l’individuo che non s’interessa dei suoi simili incontra nella vita numerose difficoltà,ed è anche colui che maggiormente fallisce».
Se questo è vero in generale, è oltremodo determinante nei rapporti tra partner. E tuttavia, spesso molti di coloro che si proclamano innamorati, non curano l’amicizia con la persona amata: «Ci amiamo. Che bisogno c’è di essere “anche” amici?». Le coppie spesso stabiliscono rapporti “momentanei”, fragili, occasionali, senza dialogo. Paradossalmente, in un’epoca di grandi comunicazioni, molti partner stentano a scambiarsi confidenze e non riescono a migliorare la loro reciproca comprensione. Partner assieme da venti e più anni non si sono mai parlati “veramente”, e hanno scambiato solo frasi di circostanza, determinate da esigenze pratiche, da contingenze momentanee. Mai una parola che chiarisca la base del loro legame, mai una partecipazione al mondo dell’altro. Secondo un vecchio luogo comune l’amicizia tra uomo e donna è di secondaria importanza. Anzi, non può esistere. Si ignora così che è proprio l’amicizia a produrre l’armonia nella relazione, che smussa le differenze.
L’atavica incomunicabilità tra universo maschile e quello femminile dipende dalla riluttanza che uomini e donne hanno ad aprirsi a confidenze reciproche. Si tratta di una idiosincrasia che non fa solidificare i rapporti tra i sessi.
Anche ai nostri giorni non è infrequente, nelle riunioni miste, vedere che gli uomini si aggregano fra loro per parlare di sport o di politica, e le donne fanno comunella per discutere i propri problemi. I due mondi rimangono scissi per mancanza di una cultura all’amicizia tra i sessi.
L’amicizia tra partner comporta vantaggi, stimola alla stessa sintonia, fa viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda. Amicizia è interessarsi a ciò che sta a cuore all’altro, saperlo ascoltare e venirgli incontro. È comprendere la sensibilità del partner, non offendere i suoi gusti, dimostrare di gradire il tempo passato in sua compagnia. È saper apprezzare il partner, essere disposti a qualche sacrificio per fargli piacere; è rendergli attraente il tempo trascorso assieme.
Purtroppo però, a volte, il concetto d’amicizia è frainteso e così, equivocando sul “potere” di questo sentimento, c’è chi pretende che il partner sia sempre disponibile e ciò anche senza mostrargli mai gratitudine. Il peggior modo di stare assieme è considerare il rapporto di coppia una sorta di pattumiera nella quale scaricare gli aspetti meno opportuni del proprio carattere. C’è infatti chi utilizza l’unione di coppia per brontolare, rimproverare e recriminare, o magari per sottolineare i difetti dell’altro. Denigrare il proprio compagno/ compagna, non accettare mai il suo punto di vista, mettersi in concorrenza con lui, fondare la propria autostima sminuendo il suo valore, non apprezzare mai qualunque cosa faccia è il peggior modo di stare in coppia.
Soddisfare il proprio narcisismo e rinforzare la propria autostima traballante sulla pelle del partner è un’operazione infantile e pericolosa per la vita assieme.
Quando il flirt nasce dall’attrazione sessuale: in questi casi l’unione vive male se i due non sviluppano anche con gusti, desideri e aspirazioni “compatibili”, e se si basano solo sull’ esteriorità, senza svelarsi mai “l’interno”. C’è chi mantiene “sotto controllo” la propria trasparenza interiore, ritenendo che l’amicizia con l’altro sesso non sia possibile. Se questo accade, la coppia è costruita su due solitudini: quella della donna e quella dell’uomo, e la solitudine non aiuta a fronteggiare le incomprensioni e i disagi della vita di coppia, anzi comporta incomprensioni, reciproche accuse, e forti delusioni.
Prototipo dell’amore-amicizia fu il rapporto che legò il filosofo Abelardo ad Eloisa. Le lettere che i due si scambiarono testimoniano quanto profondo e intellettualmente affiatato fosse il loro legame. Una grande amicizia e un grande amore legarono Boris Pasternák., reduce da diverse esperienze, a Olga Ivinskaja, più giovane di lui di trenta anni. La “miracolosa presenza” di Olga lo rinnovò e gli ispirò il personaggio di Lara, figura principale del romanzo Il dottor Zivago. La Ivinskaja fu vicina a Boris anche quando il PCUS gli impose di allinearsi alle direttive del partito: «l’unica consolazione mi viene dall’amore e dall’amicizia per una donna» ebbe a dire lo scrittore.
Altro grande amore-amicizia fu quello che si instaurò tra Corrado Alvaro e sua moglie, Laura Babini, che lo aiutò nei momenti più tristi della vita. «La mia migliore amica» disse di lei Corrado. L’amicizia e l’amore tra lo scrittore tedesco Hans Fallada e Anna fu come lo stesso Hans ebbe a dire « uno di quei rapporti che salvano dalla catastrofe esistenziale e che risolvono l’agonia di una vita». Lo scrittore narrò la storia di quel ménage e di “quell’amicizia” nel romanzo E adesso pover’uomo?, venduto in milioni di copie e tradotto in venti lingue.
Quando Yann Andréa Lemmée lesse il primo libro di Marguerite Duras aveva vent’anni e lei ne aveva sessantuno. Per cinque anni il giovane scrisse una infinità di lettere alla donna che lo aveva stregato e affascinato con le sue idee e le sue opere. Alla fine Marguerite conquistata dall’amicizia di quel fan lo invitò a casa sua. Da quel momento i due vissero assieme. Lui scrisse la biografia della Duras, e la loro fu una simbiosi “amicale”, che durò sedici anni, cioè fino alla morte della scrittrice. Andréa dopo il lutto non volle più stare con nessuno e scrisse un secondo libro biografico sul rapporto “sintonico” con quella donna che aveva cambiato la sua vita.
Grande amica e consigliera di Enrico II di Francia , oltre che amante, fu l’onnipresente e onnipotente Diana di Poitiers. Come sarebbe stata la conduzione di quella nazione, senza gli interventi di quella donna? I duchi di Guisa sarebbero potuti diventare tanto potenti senza il suo intervento? Quali sarebbero stati i rapporti tra Francia e Inghilterra, senza i consigli di Diana “al suo re”? Per ragioni di etichetta Enrico la chiamava “madame” e lei “sire”. Ma la loro conversazione aveva il tono di una reciproca amicizia.
Il buon rapporto di coppia si instaura in maniera lenta e complessa. Senza sincera amicizia la relazione manifesta prima o poi la sua instabilità; il rapporto va in brandelli e i lacci oppressivi creano una dolorosa insopprimibile realtà in comune.
L’amicizia tuttavia non è garanzia di durata dell’amore (i campi dell’amicizia e quelli dell’amore sono diversi) ma è una premessa che evita, se la passione finisce, l’accanimento e il malanimo durante la separazione.
E non è poco che, quando il sentimento finisce, se l’amicizia perdura, grazie ad essa i due partner possano civilmente restare collegati.
La “monotonia” nel rapporto di coppia
La letteratura romantica, il cinema e i media fanno sognare colpi di fulmine e passioni cieche, focose, che determinano passionali rapporti di coppia.
In pratica, invece, secondo l’Istituto di Ricerche Sociologiche (IRSO), dopo il primo impeto, le dissonanze tra i partner sono pretesto per far perdere brio al corteggiamento e determinare una monotonia che produce un “offuscamento” nella vivacità dell’unione.
Nel romanzo di Moravia, Gli indifferenti, il protagonista afferma «Oggi tu ed io siamo diversi da allora. Non chiedermi perciò di comportarmi come un tempo».
Maria Wollstonecraft, scrittrice femminista, così lamentò in una lettera a Imlay, suo amante, lo scarso interesse con il quale egli, dopo i primi ardori, la trattava: «La strada dei miei sensi passa per il mio cuore. Il desiderio della donna si sviluppa quando i rapporti si approfondiscono, ma si atrofizza se il maschio mostra stanchezza. A causa della tua indifferenza, per quanto mi riguarda, la nostra unione è alla fine».
Eleonora Duse rimproverò a D’Annunzio d’aver perso, dopo i primi fuochi, passione e impeto amoroso: «Allorquando hai raggiunto “il tuo scopo”, cioè il possesso del mio corpo, sei diventato incapace di stabili sentimenti».
La scintilla dell’attrazione non ha lo stesso andamento nei due sessi. Nelle donne si sviluppa gradualmente e raggiunge l’apice quando esse sono sicure d’amare e di essere amate; i partner maschili invece s’infervorano subito sessualmente tant’è che in loro il desiderio esplode prima dell’affetto. Una discrepanza questa che crea insanabili divergenze tra i sessi.
Il sessuologo Havelock Ellis afferma che l’amore è un’arte, come la musica; e, come nella musica, gli ulteriori sviluppi armonici devono essere curati come la progressione melodica. «Una sinfonia – diceva Ellis – sarebbe un’opera fallita se fosse valida solo la sua ouverture e poi decadesse».
Purtroppo questo non sempre accade. Albert Einstein, travolto da vibrante passione per la collega Milena Mavic, dopo l’iniziale effervescenza si “raffreddò”. A Milena non andò giù quel cambiamento e lo abbandonò.
Sebbene Arthur Schopenhauer avesse scritto saggi sulla personalità femminile, in pratica comprendeva poco le donne, e “sceglieva male” le sue compagne tant’è che, dopo una prima iniziale infatuazione, s’annoiava. Quando il filosofo incontrò Caroline Jagermann, attrice del teatro Hoftheater di Weimar, gli sembrò l’amore eterno. Ma anche da quel rapporto fu deluso e Caroline, trascurata, finì nelle braccia del duca Karl August.
Indispettito, Schopenhauer cercò una rivalsa tra le braccia di una giovane cameriera dalla quale in seguito ebbe un figlio. Manco a dirlo, Arthur si stancò di lei “ perché era una donna senza alcuna cultura”. Qualche anno dopo legò con Caroline Richter Medon, corista dell’Opera di Berlino, ma dopo il travolgente inizio, vennero fuori incomprensioni e ripicche, e il filosofo si stancò della Richter. Solo a settanta anni, Schopenhauer ebbe una idilliaca intesa con la giovane scultrice Elisabeth Ney. Ma non fu possibile sapere quella unione sarebbe stata duratura, perché l’anno dopo il filosofo morì.
Ludovico Ariosto confessava l’incostanza e l’instabilità dei suoi legami ma vantava di non essere mai sgarbato con le donne. Quando si stancò di Orsolina Sassomarino, che gli aveva dato il figlio Virgilio, la fece sposare al suo fattore, Antonio Manfredin, e le fornì una discreta dote. Nei secoli passati, sistemare socialmente ed economicamente la donna che non interessava più, era usanza consueta.
Galileo Galilei quando andò via da Firenze, non volle portare con sé né la compagna né le figlie avute da lei. Allora “affidò” la donna ad un amico, facendosi giurare da costui che non le avrebbe mai fatto mancare “nulla”. Le figlie, invece, le chiuse in convento.
Il pittore Francisco Goya y Lucentes ebbe dalla moglie Josefa molti figli. Ma tra lui e quella donna vi era solo una intesa sessuale. Goya confessava che Josefa lo annoiato mortalmente. Il pittore riscoprì la passione con la vedova del Duca d’Alba, e ritrasse quella donna in vari quadri. Ma quando la duchessa, gelosa, esigente e pretenziosa, cominciò ad assillarlo, Goya si stancò di lei. Solo con la giovanissima Leocadia Zorilla, Goya ebbe una intesa solida, senza noia. Con lei trascorse gli ultimi dieci anni della propria vita.
Le dissonanze e la spinta a variare partner sono gravi handicap per la stabilità della coppia. Secondo la sociologia Giovanna Zucconi la duratura del rapporto è naturalmente limitata. E l’antropologa Margaret Meed riteneva che la monogamia è irta di ostacoli.
D. Barash e J. E. Lipton, nel saggio “Il mito della monogamia”, osservano che in quattromila specie di animali, solo una dozzina di coppie sono stabili.
Secondo Larry Yang, dell’Università della Georgia ( Usa) la fedeltà dipende anche da fattori fisiologici: un aumento di vasopressina nel sangue la favorirebbe, un calo porterebbe al bisogno di cambiare.
Ma forse i motivi che mettono fine ad un rapporto sono più di carattere psicologico. Dipendono dal modo di comportarsi dei partner. Inoltre la routine e la noia tolgnono entusiasmo e così alcune persone cambiano partner per provare sensazioni forti, o per accertare l’efficacia del loro charme.
Per evitare la noia, la protagonista del romanzo autobiografico di Mary Wesley “Quel tipo di ragazza”, si organizza una alternativa, per decenni, gestendo due rapporti, uno col marito, nel quale è moglie, madre e padrona di casa perfetta, e l’altro con l’amante, in cui è femme trasgressiva.
Spesso i trasgressori non sciolgono il legame di coppia e, appagato, il bisogno di emozioni, rientrano nei ranghi. Chi cambia partner lo fa per vendicare un torto, vero o presunto, o perché la tensione della coppia è così burrascosa che nonè più possibile alcuna convivenza.
Da qualche tempo per soddisfare il desiderio di novità senza dover troncare il rapporto precedente è in uso una pratica che, con un eufemismo, viene chiamata «scambio di coppia». Con essa, sostiene chi la esercita, non vi sarebbero né traditi né traditori. Perché, afferma chi ha dimestichezza con questi incontri, sarebbero sotto controllo i tradimenti del partner, e nel contempo si avrebbe l’autorizzazione all’infedeltà.
Ma questo genere di rapporti sono molto pericolosi. Infatti, prima o poi esplode la gelosia, l’amarezza, e la stizza nella coppia scambista e anche le coppie “ più solide” finiscono col separarsi dopo questo genere di esperienze.
Secondo un’indagine demoscopica condotta sempre dall’Istituto di Ricerche Sociologiche (IRSO), gli uomini tenderebbero all’infedeltà fisica, le donne sarebbero più riluttanti a trasgredire in quel senso. Esse invece fantasticano la trasgressione, e magari sono infedeli con l’immaginazione. Ma solo dopo molte esitazioni decidono in concreto di tradire.
Gli uomini, invece, secondo l’IRSO, hanno meno esitazioni. Ciò forse perché, verso di loro, la società è più permissiva e perciò meno propensa a comminare loro pesanti sanzioni nel caso che tradiscano la loro partner.
Crisi della famiglia?
La famiglia è l’organismo in cui vive la coppia e in cui sono assistiti i figli. Secondo l’antropologia moderna, tuttavia, la famiglia non ha una struttura unica, distinta dal contesto in cui vive. Gli studiosi hanno rilevato in aree geo-politiche e storiche, strutture famigliari così diverse che non si può affermare vi sia un “unicum” naturale.
Anche nella medesima società, secondo le condizioni economico-sociali e gli sviluppi storici, si trovano vari tipi di strutture familiari. In altri termini non c’è “la famiglia come entità naturale”; essa si costruisce di volta in volta sotto vari aspetti, socialmente e geograficamente definiti, che sono il risultato di particolari condizioni storico-sociali.
La famiglia occidentale è fondata sul principio del legame di sangue e dell’autorità. Al pater è dovuta obbedienza assoluta e subordinazione gerarchica, a sua volta egli garantisce il sostentamento ai membri della famiglia.
Un tempo, in Occidente, la famiglia tutelava oltre l’eredità dei beni (la terra, la bottega, il magazzino) anche il lavoro, e ciò rinsaldava l’autorità genitoriale.
La crisi della famiglia, in Occidente, parte dal momento in cui essa non è più fonte di lavoro e i suoi figli non traggono da essa il necessario sostentamento come facevano un tempo quando coltivavano il campo o lavoravano alla bottega del padre. Non essendoci più il lavoro domestico di tipo feudale (il contadino faceva molti figli perché lavorassero la terra, l’artigiano perché nella sua bottega c’era bisogno di manodopera fidata etc. etc.), l’avvenire dei figli è oramai incentrato sulle capacità professionali e tecniche.
La famiglia, quale luogo di lavoro, con il suo appezzamento di terreno, con la sua officina, o la sua bottega è venuta meno. E così, mentre un tempo il figli lavoravano in famiglia, oggi sono costretti ad obbedisce alle leggi di mercato e solo in casi eccezionali, seguono l’attività dei genitori.
Poiché la famiglia non garantisce stabilità economica, i giovani si sottraggono all’autorità paterna che non rappresenta più il “datore di lavoro” e il sostegno economico. I figli cercano “un padre sociale” più forte di quello naturale.
La figura “paterna” e quella materna hanno assunto significati sempre più affettivi e sentimentali, ma la prole cerca “protezione lavorativa” in entità “forti” come le associazioni sociali, i gruppi politici, religiosi, in grado di offrire sviluppi lavorativi concreti. La famiglia è surrogata dalle istituzioni e l’antica figura del pater familias è sempre più sfumata, mentre, di pari passo è cresciuto il potere di organizzazioni e strutture che garantiscono “protezione” e lavoro.
Solo se famiglia si adeguerà alle nuove esigenze social, se riuscirà a stare al passo con i tempi, se sarà capace di fronteggiare le richieste dei giovani, manterrà il ruolo di istituzione forte come in passato; in caso contrario non si avranno più come idoli il padre e la madre.
La famiglia, un tempo crogiolo di “apprendistato”, con l’evolversi degli interessi tecnologici e culturali, è in difficoltà nel gestire le nuove esperienze di vita. Le nozioni che un tempo il padre trasmetteva ai figli nell’ambito del focolaio domestico e della bottega, si esaurivano in una istruzione casereccia volta alla cura della terra, e ad addestrare ai trucchi dell’artigianato.
Nessuno si curava di estendere l’insegnamento all’interpretazione dell’esistenza, a una corretta visione del mondo. Inadeguate erano altresì le risposte alle domande dei figli sui casi della vita.
Oggi queste esigenze giovanili necessitano maggiori attenzioni
In certi casi la famiglia, nel passato, si è mostrata inadeguata anche perché non sempre è stata un rifugio sicuro né ebbe sempre una funzione protettiva.
Nella Grecia antica come nella Roma dei Cesari, quando il genitore non gradiva il neonato, lo ripudiava e, abbandonandolo, ne procurava la morte. In certi periodi i figli non furono la centralità, non rappresentarono una “priorità”, ma solo delle pedine utili per il lavoro nella bottega o nella terra o in vista di relazioni sociali. , per un disegno sociale in cui essi.
Famoso è l’esempio di disciplina, ma molto crudele, dato dal console Tito Manlio Torquato che, durante la guerra contro Pirro, condannò a morte il proprio figlio perché aveva infranto l’ordine paterno di non muoversi dalla posizione strategica assegnatagli, ed era invece uscito dai ranghi per rispondere all’oltraggio di un ufficiale nemico.
Quando nel 509 a.C. Lucio Giunio Bruto seppe che uno dei suoi figli aveva tramato per ristabilire la monarchia, lo fece giustiziare senza ascoltare le ragioni del giovane. Nel 1355 l’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo chiese al papa Innocenzo VI un contingente armato per difendersi dall’invasione turca. Pur sapendo che non avrebbe potuto far fede alle garanzie richieste dal papa per l’intervento armato, diede il suo secondogenito Manuele come ostaggio e garanzia al pontefice. E Manuele trascorse il resto dei suoi giorni in prigionia.
Nel Medio Evo, nell’Era Moderna, nel Seicento e nel Settecento e persino nell’Ottocento gli infanticidi erano all’ordine del giorno e ciò sottolinea con quanta pericolosità l’infanzia stava in famiglia.
Non si può nemmeno tacere l’incuria con la quale i figli venivano trattati. Poiché la mortalità infantile a causa di malattie, di epidemie e di carenze igieniche era frequente, i genitori non si affezionavano ai figli perché venivano meno dopo i primi mesi o i dopo i primi anni di vita. Quando i figli morivano la coppia badava a farne altri perché la famiglia non mancasse delle unità lavorative utili al lavoro della terra o all’officina.
I figli che sopravvivevano, erano messi a balia e se da grandi non servivano all’economia familiare, imparavano un’attività lavorativa presso un artigiano, o imparavano il mestiere delle armi, o venivano chiusi in un monastero, come accadeva soprattutto alle figlie femmine. La stabilità della coppia era dovuta al fatto che marito e moglie lavoravano nello stesso podere o nella stessa bottega artigianale e per ciò era “utile” che il tim lavorativo non venisse meno.
In seguito, quando il lavoro dei componenti la famiglia non ha avuto più basi artigianali, e genitori e figli presero a lavorare fuori casa, l’indissolubilità della coppia non fu più ritenuta più necessaria .
Venuta meno la funzione feudale di luogo di lavoro e di sostentamento, la famiglia ha perso anche il ruolo che aveva quando era l’istituzione che formava del lavoro. Ai giorni nostri sono più presenti, nel processo di acculturazione e di formazione psicologica della gioventù, la scuola, i media, le associazioni religiose e politiche, le aggregazioni giovanili.
Malgrado in passato la famiglia sia stata una dura palestra più che un nido confortevole, qualcuno ritiene che da quella struttura, così spartana, uscivano individui indipendenti e maturi, adeguati ad affrontare le peripezie della vita già a partire dall’infanzia.
La famiglia odierna, invece, sempre secondo questa valutazione, molto più amorevole di quella di un tempo, a causa della sua educazione “apprensiva” e “coccolona”, tenderebbe a ritardare la maturità, rendendo così i propri figli insicuri e psicologicamente vincolati.
Ed allora c’è da chiedersi se si deve parlare di evoluzione o di involuzione della famiglia.
Le coppie “aperte” (14)
Il filosofo medievale Abelardo, nella sua Historia calamitarum, riporta una lettera della sua amata Eloisa, nella quale essa rileva che bisogna lasciare spazi aperti nella coppia “per non soffocare”. I due ricordati nella storia per il loro tenero e affettuoso amore, contraddicono così la convinzione che la coppia aperta sia poco solida.
Uno dei più grandi filosofi del XX secolo, Bertrand Russell, ebbe una buona intesa con l’universo femminile, tant’è che nelle proprie vicende sentimentali, raggiunse un ottimo livello d’intimità con le donne con le quali si legò, in particolare con Lady Costance Mallenson, e con Lady Ottoline Morrell. Con esse Russell riuscì a creare una profonda sintonia umana e culturale, anche se tenne in ogni circostanza a mantenere la coppia aperta.
J. P. Sartre e Simone de Beauvoir ritennero che la coabitazione porti contrasti e conflitti, e così il loro rapporto andò avanti senza «gli sgradevoli sviluppi della convivenza». Nell’ambito domestico, dicevano i due scrittori, si sviluppano contese, liti e dissapori. Dare spazio alla libertà del singolo, affermavano, attenua le tensioni di coppia. Simone fece vari viaggi da sola o accompagnata da qualche amico; il salotto di J. P. Sartre era frequentato anche dalle sue amiche intime; e tuttavia Sartre e la Beauvoir rimasero legati finché vissero.
Anche il comico Totò amava la coppia aperta. Dopo aver sposato nel 1935 Diana Bandoni-Rogliani, divorziò da lei nel 1940, perché non sopportava le strettoie del matrimonio, ma i due vissero assieme altri dieci anni da coppia aperta.
Legame affettuoso e intellettuale molto intenso fu quello che unì Albert Schweitzer a Helene Bresslau, studiosa di storia dell’arte. Schweitzer a quel tempo era docente universitario e vicario di una parrocchia protestante, oltre ché organista e concertista di fama mondiale. Convinto sostenitore che la felicità sta nel dedicare la propria vita a chi soffre, egli riteneva suo dovere restare scapolo e in ogni caso, formare solo una coppia aperta con Helene, per non condizionarla nelle sue scelte. Albert, dava concerti in Europa, accudiva i suoi parrocchiani, insegnava Teologia all’Università, scriveva libri, Helene insegnava e viaggiava per studiare le opere d’arte. Quando Albert divenne medico, aveva quaranta anni, e annunciò alla sua compagna che sarebbe andato in Africa per aiutare i bambini abbandonati e la Bresslau approvò la scelta senza batter ciglio. Ma Albert, prima di partire, assalito dai sensi di colpa per essere sul punto di abbandonare l’amica, chiese ad Helene, di sposarlo e con lei andò in Africa. Il loro fu un esempio di coppia aperta che non si corrose nel tempo, e che alla fine, anzi, si consolidò.
Peggy Guggenheim, mecenate e ricca ereditiera, proprietaria di importanti musei d’arte nel mondo, sposò giovanissima Eugenio Vail, dal quale si separò perché si sentiva soffocare dalla invadenza “affettiva” del marito. Eugenio voleva invadere la sua privacy, programmarle la giornata, indicare chi doveva e chi non doveva frequentare. Peggy non sopportava che suo marito intendeva stabilire in quali ore lei doveva rincasare, prendere sonno e quando doveva svegliarsi al mattino. Abbandonato l’assillante Vail, Peggy si legò a Marcel Duchamp, dal quale si separò a causa della gelosia di quest’ultimo. In seguito Peggy instaurò una “felice” coppia aperta con John Holms e dopo che rimase vedova s’unì a Samuel Beckett. Con lui e via via con gli altri compagni della sua vita (il pittore Leonard Léger e lo scrittore André Breton), Peggy visse in assoluta libertà. «Non riesco a sopportare un uomo che mi controlli, che mi osservi e che mi indichi il sapone che devo usare o come devo nutrirmi o vestirmi» «Il rapporto tra un uomo e una donna – disse Peggy in una intervista a News Week – deve essere improntato a uno schema adulto, non a melensi rapporti infantili»
Un esempio di coppia aperta quella di Edda Mussolini con Galeazzo Ciano. Papà Benito aveva educata la figlia (che per anni fu sua consigliera politica) a vivere da “maschietta”: forte, autonoma, trasgressiva. Ma, incongruenze della vita, Mussolini, geloso, la faceva pedinare dalla polizia segreta, quando temeva che la figlia si facesse sconsideratamente consolare da qualcuno!
Dopo aver imparato a vivere liberamente, Edda sposò Galeazzo Ciano e il matrimonio non bloccò la libertà di quella donna evoluta e di idee progressiste.
Poiché non riusciva a vivere in quell’ambiente borghese, Edda pressò perché il marito fosse inviato in India. Arrivati in quelle terre lontane, lei e Galeazzo fecero un tacito accordo: ognuno dei due non avrebbe intralciato la libertà dell’altro. Questa libertà non impedì che Edda, nel momento del maggior pericolo per il marito, si battesse (purtroppo senza risultato) con determinazione e coraggio per salvarlo.
L’attrice Mariangela Melato nella trasmissione Novecento del 7 maggio 2001, ha dichiarato di sentirsi realizzata perché non è mai entrata in un ménage “chiuso”. Pur essendo stata affettuosamente legata “a meravigliosi compagni”, ha detto di essere vissuta sempre in coppia aperta, per non togliere spazio alla libertà di espressione e per non chiudersi «nell’angusto ambito della coppia stereotipa». La Melato ha affermato che la sua “politica di coppia” le ha consentito di poter crescere psicologicamente, affrancandosi da una eccessiva dipendenza dall’uomo.
La scrittrice Luciana Peverelli confessò alla giornalista Dina Luce che il suo matrimonio con un lord inglese fallì perché il marito non le permetteva nessuna libertà, né la faceva svagare perché era un pantofolaio: «Per anni rimasi così intrappolata accanto a lui»
In seguito la novellista italiana divorziò e instaurò una convivenza “elastica” con i compagni con i quali si legò, “per evitare di restare soffocata da una convivenza schiacciante”.
Vittoria Griffin, poetessa inglese, scrisse: «Personalmente ritengo che alla pienezza del sé nell’ambito della coppia si possa pervenire quando si ammette una certa libertà tra i due»,
Convinti dell’utilità della coppia aperta furono Luciana Lojodice ed Aroldo Tieri, i quali, sebbene legati da un grande amore, vissero sempre in case separate. L’attrice spiegò così la loro scelta: «La nostra unione si è salvata proprio perché abbiamo evitato l’invadenza sgradevole della convivenza». E la Lojodice affermò altresì: «Alcuni criticano il nostro modo d’agire, ma come poter rimproverare l’inclinazione alla coppia aperta, considerando che molte coppie tradizionali che vivono in maniera “socialmente consueta” nella stessa casa, si lacerano, si odiano e non si capiscono?»
Tuttavia per instaurare questo genere di mènage bisogna che i partner siano preparati al riguardo, sappiano dominare sentimenti come la gelosia, il senso d’insicurezza e il bisogno di protezione.
Questo non sempre accade, e un esempio è il caso dello scrittore D. H. Lawrence il quale, quando conobbe la signora Frieda von Richtofen, moglie di Ernest Weekley, suo professore d’inglese, le propose di divorziare e di sposarlo. Frieda l’avvertì: non intendeva rinunziare alla propria libertà; Lawrence le promise che non avrebbe intralciato la sua emancipazione. Ma il ménage aperto non funzionò proprio a causa della gelosia del grande scrittore.
Un fallimento fu anche il ménage “aperto” del romanziere Ernest Hemingway con la giornalista Martha Gellhorn. Hemingway dava di sé un’immagine d’intellettuale vigoroso, ma in realtà era una persona fragile. Quando sposò Martha accettò il principio della coppia aperta. Martha avrebbe potuto fare l’inviata speciale e girare per il mondo e lui restare all’Avana a scrivere libri. Ma quando la Gellhorn cominciò a viaggiare, Ernest dapprima la seguì ovunque lei andava, poi stanco e travolto dalle proprie insicurezze, se ne tornò all’Avana e chiese il divorzio.
Nella coppia “tradizionale” in molti casi, prima o poi, uno dei due partner finisce col fare il leader, e l’altro il gregario. I partner delle coppie aperte vogliono proprio evitare questo, nella convinzione che la gioia di stare insieme sia positiva quando vi è un margine reciproco di libertà e di eguaglianza. Perché ciò avvenga è necessario che abbiano instaurato tra loro un buon rapporto d’amicizia, solido, collaudato e senza falsi pudori.
Ma tutto questo, forse, si riesce raramente a raggiungere.
La coppia incatenata: menage fiacchi ma indissolubili (15)
Il messaggio sociale “impone” alla coppia di ignorare le sabbie mobili nelle quali incappa, spingendola a mantenere saldo il legame, a volte anche al di là di ogni ragionevole buon senso. Seguendo queste “direttive culturali”, di ménage rimasti indissolubili pur non esistendo più l’unione di coppia se ne ricordano moltissimi, alcuni davvero emblematici.
Uno di essi fu quello del massimo filosofo tedesco del ‘900, Martin Heidegger il quale per oltre trent’anni non si decise a lasciare la moglie, sebbene fosse legato ad Hannah Arendt, la sociologa con la quale condivideva argomenti culturali e progetti intellettuali oltre che buona parte della sua giornata. Quando, dopo qualche tempo, la Arendt gli comunicò che avrebbe sposato un altro uomo dal momento che lui non lasciava la moglie, Martin, disperato pensò al suicidio, ma non al divorzio, sebbene il suo matrimonio fosse oltremodo fiacco e senza entusiasmi.
Qualche anno dopo Hannah lasciò il marito e tornò all’uomo che tanto ammirava.
Altro caso abbastanza emblematico è quello di Federico Fellini, il quale condivise i suoi successi lavorativi con la moglie Giulietta Masina ma nel contempo tenne una relazione seria con Anna Giovannini, donna intelligente che seppe capirlo, ma che il regista di “8 ½” , per oltre trent’anni, tenne lontana dalla ribalta. Fellini non seppe separarsi dalla Masina nemmeno dopo essersi sottoposto a varie sedute psicoanalitiche, e non solo non prese mai una decisione in tal senso, ma non riuscì nemmeno a lasciare l’altra donna.
In quanto a Marcello Mastroianni, l’attore ebbe, in costanza di matrimonio, appassionate e coinvolgenti relazioni sentimentali, ma non volle mai divorziare dalla moglie, Flora Carabella. Anche quando il bel Marcello s’innamorò pazzamente prima di Catherine Denève e poi di Faye Dunaway, non abbandonò Flora.
Dopo un lungo tira e molla, la Faye, che avrebbe voluto che l’attore divorziasse per sposarla, visti inutili tutti i tentativi, lo piantò affermando: «L’incapacità di Marcello a lasciare la moglie è tipica dei meridionali, che danno amore e affetto più degli anglosassoni, ma non sanno dare una svolta definitiva alla loro vita».
Quando Faye andò via, Marcello cadde nella costernazione, ma pur soffrendo, com’egli stesso confessò, “maledettamente”, non sciolse il matrimonio con Flora. Egli non si decise a divorziare nemmeno quando la moglie lo invitò a prendere una decisione in tal senso. L’attore sosteneva di provare per Flora amicizia e affetto, tant’è che volle festeggiare in pompa magna i vent’anni di matrimonio con la Carabella. Parlando del suo caso con l’amico Fellini, Marcello si rammaricava di “certe convinzioni sociali”: «Perché – si domandava – è normale, lecito e doveroso amare più figli, più fratelli, e non è ritenuto altrettanto “normale” essere interessati affettivamente più partner?».
Ma a volte il “doppio binario” in amore comporta grossi disagi. Un esempio tipico è la stressante vita privata che condusse Vittorio De Sica. Il regista di “Miracolo a Milano” e di tanti altri capolavori, volendo mantenere in vita due relazioni ebbe una frastornata esistenza per tenere sempre vivaci contatti con le sue due famiglie e con i figli avuti da entrambe le sue due compagne.
Per non fare discriminazioni, Vittorio, a Natale e a Capodanno oltre che nelle altre ricorrenze, chiedeva a una delle due donne di spostare gli orologi di casa in avanti e all’altra, viceversa, di mettere le lancette indietro. Così i bambini dell’una e dell’altra famiglia non s’accorgevano dei ritardi o degli anticipi con i quali babbo Vittorio celebrava le varie ricorrenze.
De Sica poteva così festeggiare in una delle sue due famiglie “a mezzanotte” l’arrivo dell’anno nuovo, quando in realtà erano le ventitré, e subito dopo recandosi nell’altra, ove brindava, sempre “a mezzanotte”, assieme all’altra compagna e agli altri bambini il nuovo anno. Una faticata alla quale De Sica sottostava piuttosto che por fine a una delle due relazioni.
Quei giochi d’equilibrio consentivano al regista, innamorato delle due donne, di non “perdere” né l’una né l’altra. Anche se, di fatto, come confessarono entrambe, finiva con lo scontentare ambedue.
Questo genere di politica familiare potrebbe sembrare esclusiva prerogativa maschile. Ma a volte anche in campo femminile ci sono esempi al riguardo persino in tempi passati.
La colta e raffinata contessa Teresa Gamba-Ghiselli, per volontà del padre andò sposa al conte Alessandro Guiccioli, uomo attempato e all’antica, cioè bigotto e poco galante. Teresa era invece piena di vitalità e desiderosa di conoscere gente che la facesse sentire donna. Il Guiccioli invece era alieno dalle frequentazioni che piacevano alla moglie.
Teresa, restando con una facciata rispettosa delle tradizioni, non lasciò il marito, ma non seppe rinunziare nemmeno ad essere l’amante di Byron, col quale aveva in comune la giovinezza, la passione per la poesia, per la pittura, per la musica, per il teatro e la grande voglia di sesso.
I due s’amarono a prima vista. Byron le chiese di lasciare il marito e seguirlo nei vagabondaggi in tutta Europa. Ma Teresa non si decise a compiere un passo che, soprattutto in tempi di grande perbenismo borghese, sarebbe stato avventato e denso di ripercussioni spiacevoli. E tuttavia la Guiccioli non era disposta nemmeno a rinunziare all’amore in nome del perbenismo: e quando la passione con Byron venne meno, Teresa non si perse d’animo e si legò al poeta Tribaldi, filosofo e studioso d’antropologia.
Il Tribaldi che era uno scrittore intelligente e sensibile, comprese i risvolti più reconditi dell’anima di Teresa e la fece felice. Ma la contesa nemmeno questa volta lasciò il marito, al quale rimase legata fino alla fine: «Stimo Alessandro, – diceva la Guiccioli – anche se non nutro alcuna passione per lui».
La scrittrice Elsa Morante, moglie di Moravia, era anticonformista, combattiva e vulcanica. Quando cominciò a rendersi conto che la fiamma cominciava a spegnersi, chiese al marito di non impedirle d’avere altre relazioni. Moravia, anch’egli d’idee originali in fatto di coppia, fu d’accordo che tra loro si instaurasse una vita matrimoniale libera. Elsa durante un viaggio negli Stati Uniti, poté intraprendere una tenera e intensa amicizia col giovane pittore newyorkese Bill Morrow, senza con ciò troncare il rapporto con Moravia. La scrittrice ebbe una altro intimo amico, il gallese Peter Hartmann, e anche questa volta non recise il legame con Alberto, che ella stimava moltissimo, e che affermava di “non potere abbandonare senza sentirsi impoverita psicologicamente”, anche se – confessava – verso di lui non nutriva più “alcuna passione carnale”. Quando un giornalista chiese a Moravia come mai avesse instaurato un menage così libero, egli affermò: «Le tensioni che si sviluppano all’interno della coppia possono avere picchi molto elevati. La convivenza crea lo scontro tra i caratteri, e l’incapacità di sopportare le esigenze dell’altro sono motivi dirompenti che, soprattutto in individui ipersensibili, producono tensioni fastidiose. In questi casi la rottura è inevitabile. Ma se non si vuol perdere i benefici dell’amicizia con l’altro, in qualche caso è possibile adottare alcuni “accorgimenti” che fanno continuare a vivere “assieme”, senza essere troppo “disturbati”»
Una filosofia che può sembrare paradossale, ma che è meno inconsueta di quel che appare, anche se l’esteriorità sociale fa di tutto per nasconderla.
Amore ed eros di sovrani, condottieri e dittatori (16)
Spesso politica, sesso ed erotismo si mescolano nelle vicende dei personaggi pubblici. In qualche caso il potere ha portato vantaggi nel campo erotico, ma non è una regola assoluta: Giulio Cesare dovette, pur amandola, ripudiare la prima moglie sospettata di adulterio. (Sulla donna del dictator non poteva sussistere nemmeno un piccolo dubbio d’infedeltà). Più fortunato fu l’imperatore Costantino che avendo sposato Teodora, esuberante e sfrenata etera, alla fine trovò in lei un valido aiuto nella conduzione dello Stato.
Molti secoli dopo Lenin pur riconoscendo che la donna russa era oppressa, quando si trattò di accettare ciò che la “sua” Inessa Armand proponeva il libero amore «come terapia dell’anima», affermò che quella non era «una buona idea proletaria». Solzeniczyn ha raccontato che Lenin era borghesemente imbarazzato dalla idee di Inessa e che, paradossalmente (e ipocritamente) era “turbato” perfino dal menage a trois che però egli stesso aveva costituito con sua moglie Nadia e Inessa!
Quando l’ambiziosa attrice Chiang Ch’ing viveva col regista Zhang Min, sperava ardentemente di conoscere Mao Tze Tung. Quando finalmente poté incontrare il suo idolo, fu un colpo di fulmine tra i due. Chiang abbandonò il marito e i figli e si legò definitivamente a Mao, dandogli un figlio. Ella pretese che il Grande Timoniere lasciasse la moglie, Ho Tzu-chen. I vertici del Partito, preoccupati dall’arrivismo di quella donna sconsigliarono Mao, ma Chiang sapeva come conquistarlo e vinse la partita. Infatti Mao soleva affermava: «Senza Chiang Ch’ing non posso continuare la rivoluzione». La moglie di Mao, Ho, era ignorante mentre Chiang aveva la tempra di uno statista. E così, nel 1939, Mao, dopo la guerra contro Chiang Kai-shek, si disfece della moglie e prese con sé Chiang Cing. Mao, che si considerava un grande amante, non le fu mai fedele, ma Chiang non se ne curò: «Ciò che più conta tra noi è il potere». E quello, finché Mao visse, Chiang lo tenne ben saldo. Ma poco dopo la morte di Mao fu messa in galera.
Anche Mussolini si circondò della fama di grande amatore. Da capo di Stato, continuò con civetteria a spacciarsi da tombeur de femmes. Antifemminista, per ironia della sorte, la donna che più egli stimò fu la femminista Leda Ravanelli. Quando la conobbe, Mussolini dirigeva L’Avanti e venne affascinato dalle idee anarchiche di Leda. A quel tempo Benito viveva con Rachele, donna priva di intuito politico tanto che Benito cercava conforto ideologico e politico in altre donne. Altra fiamma del duce fu la socialista Ida Dalser, che nell’alcova aveva gagliardi appetiti sessuali. Ida rimase legata a Mussolini per vent’anni, dandogli anche un figlio. Ma quando il duce conquistò il potere volle sbarazzarsi di quella relazione e ordinò addirittura che la Dalser fosse rinchiusa in una clinica psichiatrica..
In seguito Mussolini si legò ad Anna Curti Cacciati e poi alla giornalista veneziana Margherita Grassini, sposata Sarfatti, che esercitò molto fascino su di lui. Quando Rachele si rese conto di come stavano le cose, Mussolini, per evitare uno scandalo, troncò ufficialmente la relazione. Tuttavia, la Scarfatti rimase segretamente al suo fianco fino al 1938, poi, intuendo il fallimento del fascismo, fuggì in Sudamerica. Mussolini la sostituì con la poetessa Cornelia Tanzi. Claretta Petacci, moglie del tenente Riccardo Federici, s’infervorò del capo del fascismo e devotamente gli fu a fianco fino alla tragica fine.
Se si dovesse dare la palma di innamorato impulsivo, imprudente, ma generoso, si dovrebbe assegnarla a Giuseppe Garibaldi. L’Eroe dei due mondi era un celebre seduttore, un dongiovanni fascinoso. Tuttavia si mostrò sempre difensore dell’onore delle donne e gentiluomo. Quando si comportò da seduttore da strapazzo fu a causa della sua esuberanza fisica e psichica. Quando s’imbatté nella diciottenne Anita, sposa di Giuseppe Duarte, pescatore dell’isola di Laguna, e madre di diversi figli, Garibaldi s’invaghì di lei. La donna, colta dalla bramosia per l’Eroe, abbandonò figli e marito. A mano a mano che la fama cresceva, le donne erano sempre più attirate da Garibaldi. A Londra gli cadde tra le braccia la contessa Maria Martini Della Torre, figlia del generale Salasco. Dopo di lei il generale si fidanzò con un’aristocratica vedova inglese, Emma Roberts; ma l’eroe rimandò il matrimonio e fuggì a Nizza, dove lo raggiunse la fidanzata in compagnia di un’amica, Jessie White. La bellezza di quest’ultima sconvolse l’eroe, che ruppe il fidanzamento con Emma e si legò alla bellissima Jessie. In seguito, a Caprera, dove s’era ritirato, il generale, sedusse Battistina Rovello, una ragazzotta diciottenne analfabeta, figlia d’un marinaio, che teneva come cameriera. Essendo uomo d’onore, poiché la ragazza era vergine, Garibaldi le propose di sposarlo. Ma le autorità papali non gli concessero il certificato di morte della moglie e Garibaldi si tenersi la ragazza come amante. In seguito incontrò la ricca quarantenne Marie Espérance von Schwartz, giornalista, reduce da due fallimenti matrimoniali, che intervistò l’Eroe a Caprera. Il giorno seguente erano già amanti. Speranza, così la chiamò Garibaldi, lo aiutò a organizzare l’avventura dei Mille. Ma l’esperienza più grottesca Garibaldi l’ebbe con la marchesina Giuseppina Raimondi, che il generale sposò. Conclusa la cerimonia delle nozze, qualcuno mise in mano al generale un biglietto. Garibalidi lesse e sbiancò; dominando a stento la rabbia, ma con modi urbani chiese a Giuseppina se era vero che fosse incinta. La signora Garibaldi arrossì. L’eroe gridò alla sposa: «Siete una puttana!». La piantò sul sagrato e non volle più rivederla. Giuseppina era incinta di Luigi Caroli, un donnaiolo da strapazzo. Per “sanare” quell’infortunio, i parenti avevano messo in scena l’amore della ragazza per Garibaldi. In seguito la pittrice Elisabetta von Streikelberg e Francesca Ambrosino, cameriera della pensione Vauchet dove Garibaldi dimorava fecero dimenticare a Garbiobaldi la brutta avventura. Il generale che non andava tanto per il sottile in fatto di donne dopo avere avuto tre figli dalla ragazza, finì con lo sposarla.
Nella vita intima dei potenti della Terra si trova di tutto: Eliogabalo, Nerone, Agrippina, Luigi XV, Cristina di Svezia, l’imperatrice Zoe, e tanti tanti altri hanno usato il potere anche per soddisfare la loro libidine. Il cardinale Richelieu ebbe rapporti intimi con una sua figlia illegittima, Madame Rousse. Filippo duca d’Orléans fu sospettato d’avere avvelenato sua moglie, Henriette e d’intrattenersi sessualmente con le sue due figlie maggiori. Luigi VII di Francia amò e sposò la tredicenne Eleonora d’Aquitania. Fu costretto a divorziare dalla donna che amava, perché non gli aveva dato il sospirato erede e per sposare Costanza dovette ripudiare ingiustamente Eleonora, accusandola di condotta scandalosa.
Adolf Hitler ebbe una passione per la nipote Geli, che forse fu l’unica donna che il dittatore amò alla follia; con lei Hitler, prima di salire al potere, visse quattro anni in un appartamento di Monaco. La ragazza che soggiacque al fascino morboso dello “zio Adolf” nel settembre del 1931 venne trovata morta. Il caso fu archiviato come suicidio. Qualcuno sospettò che essendosi incrinata la relazione, Geli volesse fuggire a Vienna, e il partito nazista impedì che il Fürher iniziasse la carriera politica con uno scandalo sessuale. Del fascino che il potere politico esercita hanno approfittato i leader della Corea del Nord, Kim Il Sung e suo figlio Kim Jong Suk, che hanno avuto rapporti con attrici, ballerine, geishe, segretarie, attiviste del partito e persino con straniere, reclutate all’estero come hostess e introdotte in Corea.
A volte il delirio del potere induce ad un maschilismo arrogante e delittuoso. Udai, figlio di Saddam Husseim, approfittando del fatto di essere figlio del dittatore, e per ciò sentendosi “immune” da sanzioni, ha sedotto con prepotenza molte donne, suscitando l’indignazione e la rabbia di molti familiari che alla fine, ribellatisi hanno tentato di ammazzarlo. Giorgio IV d’Inghilterra non solo conduceva vita libertina ma con le donne fu arrogante e perverso. Enrico VIII, cinico e impudente, stanco di Anna Bolena la fece uccidere. A parte quell’episodio sanguinario, chi più chi meno, le sue donne non furono molto fortunate d’avere come compagno quel re. Elisabetta I d’Inghilterra, invece, fu donna accorta e guardinga anche dal punto di vista dei sentimenti: ella non si decise mai a sposarsi, nemmeno con Filippo II di Spagna che per anni attese invano di sposare la regina. Tuttavia, Elisabetta, donna di carattere forte e di appetiti sessuali vigorosi, si circondò di amanti d’alto rango che seppe scegliere bene e che furono servitori fedeli della causa inglese.
Caterina II di Russia, artefice della potenza russa, fu smodata, ambiziosa, crudele e sessualmente spregiudicata. Splendida regina e travolgente amante, trattava gli affari di cuore e i problemi di stato con grande passione. Nei quarantaquattro anni di regno, nel suo letto passarono molti favoriti: giovani e illustri dignitari, artisti di spicco, strateghi. Caterina soleva affermare che non era il potere ciò che le dava appagamento, ma il sesso. A giudicare dal tempo che passava a letto e dal numero dei suoi amanti, probabilmente era vero.
Di solito chi tende al potere (o chi ce lo ha già) è piuttosto egocentrico e narcisista e difficilmente disposto a piegarsi alle esigenze di chicchessia, partner compreso. L’arte della parola, il cipiglio del comando, il talento strategico e un po’ di cinismo fanno scena e possono, in qualche caso, sedurre i più sprovveduti, ingenuamente affascinati da chi è al comando e illusi di potersi intrufolare tramite lui nelle maglie del potere.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il partner di chi è al comando non sempre riceve benefici dall’essere a fianco di un potente.
Le coppie edipiche (17)
Sulla “salute” della coppia influisce più di quanto non si pensi l’ingerenza dei genitori dei partner. Non è un caso, infatti, che la letteratura abbia creato le figure della madre-suocera che influenza il ménage del figlio e del padre-suocero che ha un peso determinante sugli atteggiamenti della figlia nella relazione di coppia.
“Edipismo” è la parola scelta da Sigmund Freud per indicare la persona che non si è affrancata dalla dipendenza emotiva con i genitori. L’edipismo è dunque quel particolare stato d’animo che lega il figlio alla madre al punto da non lasciargli spazio per apprezzare altre donne. Ed edipica è la donna il cui unico ideale maschile è il proprio padre, per cui non riesce a stimare altro uomo fuorché il genitore. Freud affermava che i lapsus degli edipici sono i più semplici da decifrare: infatti, spesso al “lui edipico”, parlando della moglie, scappa involontariamente di dire “mia madre” e la “lei edipica”, volendo parlare del marito, sbaglia e dice “mio padre”.
Sostiene Freud che se s’instaura una situazione edipica, se cioè “lui”, anche inconsciamente, vuole trovare in “lei” l’immagine della madre e se “lei”, magari senza rendersene del tutto conto, spera proprio che il suo “lui” sia eguale al proprio padre, è possibile che, se non raggiungono con i loro partner quella loro “inconfessata” aspirazione, gli edipici finiscono col mandare in frantumi la coppia.
Infatti, né l’edipico né l’edipica s’accontentano mai dei partner che non trovano conformi ai loro genitori. E però, paradossalmente, a volte quando gli edipici intuiscono, anche senza rendersene chiaramente conto, che il partner ha una affinità col proprio ideale genitoriale, il problema invece di risolversi s’ingarbuglia, perché questa rassomiglianza crea, tra luci e ombre affettive, una confusione emotiva che determina risultati perniciosi.
La madre di Edmondo De Amicis era possessiva e gelosa al punto da non volere che il figlio prendesse moglie. Lo scrittore, sottoposto a quel continuo imbonimento psicologico non poté che essere edipico, tant’è che in tutta la sua vita non apprezzò mai nessuna donna al di fuori della genitrice. Edmondo però, in un momento di crisi esistenziale, sposò in gran segreto e col solo rito religioso, Teresa Bassi; ma dopo il matrimonio, non avendo il coraggio di comunicare il suo passo alla madre, continuò a vivere con lei. Nemmeno quando nacque il primo figlio De Amicis ebbe il coraggio di confessare alla sua vecchia che s’era sposato. E fu solo dopo la nascita del secondogenito, che lo scrittore andò a vivere con la moglie, ma lo fece di mala voglia. Così la stessa Teresa raccontò l’ingresso di Edmondo nella dimora dove abitavano moglie e figli: «Sedette a tavola cupo e torvo e mormorò: “Qui mi pare di essere in albergo”.
Edmondo regolarizzò poi il matrimonio col rito civile, per amore dei figli. Dopo il suicidio del primogenito Furio, Teresa esasperata dall’indifferenza del marito verso la famiglia, accusò Edmondo, autore del libro Cuore, di essere stato un padre senza cuore.
Il pittore Edgard Degas è un altro esempio di edipismo. La sviscerata “predilezione” verso la madre è segnalata dalle sue preferenze estetiche. Degas affermava di far ricorso ai ricordi d’infanzia per dipingere figure femminili. L’artista ebbe a confessare che, per la Donna che riposa dopo aver fatto il bagno, s’era ispirato a sua madre, perché da bambino l’aveva vista più volte fare il bagno nuda. Lo stesso accadde per i quadri della Donna che si fa lisciare i capelli e de La stiratrice ove è facile trovare le radici nel passato del pittore, il quale volle ricreare le emozioni che provava vicino alla mamma, donna che lo condizionò al punto che egli dipingeva personaggi femminili «per poter scandagliare tutti gli aspetti della femminilità materna». «Nessuna donna può essere bella come mia mamma. Nessuna potrà mai eguagliare la sua grazia. Nessuna avrà l’eleganza dei suoi gesti» ammise Degas.
L’antropologo Desmon Morris ritiene che l’amore è un misto di passato e presente, perché a volte, nel rapporto di coppia, dice Morris, c’è chi ha la “necessità” di ritrovare l’unione simile a quella dei propri genitori.
Un caso esplicito di edipismo si riscontra nel rapporto tra Christina Rossetti e suo padre, il pittore e letterato Gabriele Rossetti. Essi abitarono a Londra tra il ‘700 e l’800 e nella capitale inglese era risaputo che la ragazza era oggetto d’uno sviscerato amore paterno. Forse fu anche per questo che Christina mostrava segni di nevrosi, afflitta com’era dall’affannoso dramma che portava nel cuore. Papà Rossetti aveva coinvolto tanto affettivamente la figlia, che costei rifiutò più volte di sposarsi, e non solo per i sentimenti mistici che primeggiavano nella sua mente (era convinta anglicana) e che le impedivano d’accettare la pulsione erotica, ma anche e soprattutto perché coinvolta dall’amore esclusivo per il padre, passione che aveva cancellato il lei ogni altra possibilità di affetto e che le impedì di “tradire” il genitore.
Anche il filosofo Agostino fu edipico e “vittima” di una madre possessiva. Nato a Tagaste da un Patrizio pagano benestante ed ambizioso, non amò il padre, perché costui si divertiva alle spalle del figlio quando questi veniva bastonato dal maestro e anche perché tradiva la madre.
Il giovane non aveva troppi motivi per amare il genitore. Egli era invece legato alla madre, la quale profondeva su di lui tutto il proprio affetto e odiava il marito a causa delle infedeltà e della violenza con la quale la trattava.
Il filosofo subì pertanto una doppia eredità educativa: quella licenziosa del padre e quella pudibonda della madre. A partire dai 18 anni Agostino ebbe una relazione con una donna che amava teneramente e che gli diede un figlio. Ma egli nascose il ménage alla madre e, quando questa ne venne a conoscenza, per sfuggire ai rimbrotti materni, Agostino andò via da casa di nascosto, portando con sé la donna con cui viveva e il figlio. Il filosofo fu prima a Roma e poi a Milano. Sua madre indispettita dal tradimento del figlio lo raggiunse da lì a poco e lo convinse ad abbandonare la donna che egli amava e a rimandarla in Africa. In questo modo insisteva la madre, egli sarebbe stato libero di sposarsi “in maniera regolare”.
Monica dunque influì in modo determinante nelle “scelte del figlio” e spinse Agostino a cercare una sposa ricca. Poiché la concubina con cui il figlio stava da tempo non era ricca la madre lo esortava a trovare una donna che gli portasse una buona dote. Monica si mise in cerca di una moglie per il figlio e la individuò in una dodicenne di famiglia agiata e nobile. Concluso il fidanzamento, ad Agostino restava da aspettare due anni per contrarre matrimonio, essendo la ragazzina al di sotto dell’età minima matrimoniale. Nel contempo la famiglia della promessa sposa impose al fidanzato l’allontanamento della concubina. A quel punto Monica ebbe buon gioco nell’indurre il figlio a scacciare la donna che egli amava da tanti anni. Il filosofo suggestionato dalla genitrice, mandò via l’amata compagna in Africa ma tenne con sé il figlio. Di quella donna il filosofo si disinteressò per il resto dei suoi giorni, e, cosa davvero singolare, non impalmò nemmeno la promessa sposa, per la quale aveva abbandonato la donna che amava. Infatti, Agostino andò via da Milano prima del matrimonio e dopo un periodo romano, tornò in patria.
Moralista e puritano (ma solo in apparenza) fu lo scrittore scozzese Robert Louis Stevenson, il quale, vissuto in una famiglia conformista ottocentesca, con una madre oppressiva ed ossessivamente preoccupata di ciò che lui faceva o di ciò che gli accadeva, per cercare di ribellarsi a quell’oppressione, in California, sposò, di nascosto dai suoi familiari, Fanny Osborne, un’americana, divorziata e madre di due figli, conosciuta in un viaggio.
Dopo lo scandalo, venne perdonato da suo padre, ma la madre non accettò mai la signora Osborne come nuora. E Robert fu fortemente condizionato dal giudizio della madre nei confronti della nuora, tant’è che il ménage con la Osborne non fu sempre sereno.
Lo psicoanalista Aldo Carotenuto sostiene che quando una persona cerca un partner simile al proprio genitore, se non smette tale propensione, non matura mai, e il rapporto di coppia che si viene a costituire, essendo posto su basi infantili, non può mai diventare un ménage tra adulti.
Per ironia della sorte anche Freud fu edipico, tant’è che nella sua biografia si trovano tutti gli ingredienti che egli, come scienziato, aveva formulato in questi casi: Sigmund odiò più o meno inconsciamente il padre, amò teneramente la madre, e, forse in conseguenza di ciò, non ebbe un rapporto molto profondo con la moglie Martha, affatto diversa da sua madre. Ma Freud, da esperto psicologo, seppe gestire quella materia matrimoniale “esplosiva”, senza uscirne sconfitto.
Il suo esempio indica che, infondo, anche se un partner è edipico, c’è qualche speranza che la coppia non scoppi.
Partner insoddisfatti a causa dei genitori (18)
Infanzia ed adolescenza hanno un ruolo importante nelle scelte sentimentali. Infatti se nella coppia un partner è esageratamente legato ai propri genitori, o se ve n’è uno che prova avversione per essi, il ménage non procede mai in maniera serena. Per questo motivo vi sono donne che sfuggono al rapporto di coppia, ravvisando in ogni uomo il “detestato” genitore, e vi sono uomini che diffidano delle donne intravedendo in esse la “deprecata” immagine della propria madre.
Un esempio eclatante è Schopenhauer. Da fanciullo si sentì tradito dalla genitrice, e da grande, per tutta risposta, diffidò sempre delle donne, tacciandole di slealtà congenita.
La madre di Arthur, Johanna Trosiener Schopenhauer, aveva ambizioni letterarie ed era abbastanza “spregiudicata”, tant’è che dopo il suicidio del marito, si trasferì a Weimar, per restare più libera. Qui la raggiunse dopo qualche anno il figlio filosofo il quale rimase inorridito dalla “leggerezza” con la quale la “sua signora madre” s’era messa in casa un giovane amante, Friedrich Müller. L’improvvisa liaison irritò Schopenhauer e il suo difficile rapporto con la figura materna si rifletté in lui tutta la vita. Arthur ebbe a scrivere con astio:«Quando mio padre fu costretto sulla sedia a rotelle, mentre lui si spegneva in solitudine, la mia signora madre dava ricevimenti”.
Schopenhauer ebbe molte compagne: l’attrice Caroline Jagermann, Alice Huller cameriera d’albergo, la veneta Teresa Fuga, la corista Caroline Richter Medon, la commerciante d’arte Flora Weiß e via dicendo, ma non legò con nessuna a lungo, avendo il proposito di non contrarre matrimonio. Solo alla fine dei suoi giorni l’idilliaca relazione con la scultrice Elisabeth Ney fece vacillare nel filosofo la pessimistica immagine della donna che aveva per il turbolento rapporto con la madre: «Chissà, forse potrei decidere di sposarmi» scrisse ad un amico. Ma troppo tardi: l’anno dopo sarebbe morto.
Anche Vittorio Alfieri ce l’aveva con la madre. La sua infanzia fu infelice perché trascorsa lontana dai genitori. Quando il padre dello scrittore, gestore di un teatro, morì di polmonite, Vittorio fu messo in un collegio, e la madre, che era già stata vedova, dopo la seconda vedovanza si risposò, con gran disappunto del figlio. La signora Monica di Tourn Alfieri ebbe dai suoi tre matrimoni ben 13 figli, e la cosa non garbò al giovane Vittorio che, sentendosi abbandonato, finì con l’ammalarsi, già all’età di cinque anni, del “mal de pondi”, un disturbo gastrico psicosomatico, che non gli passò più e fece di lui un individuo malinconico e solitario.
Nelle lettere scritte alla madre v’è un gran desiderio di tenerezza assieme al disappunto per la mancanza di affettuosità e di intimità che la genitrice non gli elargì mai. Vittorio fu geloso del marito di sua madre, dal quale Monica ebbe ben 7 figli; fu geloso dei suoi fratelli, e soprattutto soffrì la solitudine essendo vissuto lontano dalla famiglia. Vittorio fu pervaso da una malinconia e da un pessimismo “orribili”, che gli impedirono di “apprezzare profondamente” le donne In tutte egli riscontrò tratti materni, che gli creavano sospetto e imbarazzo. Ritenendo tutte le donne inaffidabili come sua madre, l’Alfieri non prese mai moglie e preferì far da cavalier servente alle signore dell’alta società con le quali intavolò relazioni “senza impegno alcuno”. Passò così dalle braccia di Cristina Emerenzia Imholf a quelle di Penelope Pitt, a quelle della marchesa Gabriella Turinetti di Prié, a quelle di Luisa Stolberg-Geden, contessa d’Albany. Trattandosi di donne sposate, con tanto di marito vivo e vegeto, Alfieri evitò il “fastidioso inghippo del matrimonio”, anche se talvolta non poté schivare qualche duello con i mariti più biliosi.
Luisa d’Albany, innamoratissima di Vittorio, decisa a non lasciarselo scappare, ottenne dal marito la separazione. Ma lo scrittore “venne salvato dal matrimonio ingannatore” da un accesso di gotta e poi da una forma di depressione che sconsigliò alla sua innamorata di insistere sull’argomento e le fece intuire la fine del rapporto. Infatti poco dopo Alfieri conobbe la principessa Giuseppina Teresa di Lorena Armagnac, sposa di Vittorio Amedeo di Savoia Carignano, e ne divenne l’amante. Anche dopo questa conquista la salute psicofisica dell’Alfieri non migliorò: cefalee e dolori all’epigastrio ne fecero un malato psicosomatico in cerca di una madre odiata e amata, che non riuscì mai ad avere tutta per sé.
In conflitto col padre fu invece Mary Wollstonecraft, seconda di sette figli. Nelle sue memorie, ella scrisse che il padre trattava i membri della famiglia «come animali domestici». Egli dissipò il patrimonio famigliare in viaggi, libagioni e in regalie date alle amanti. Nei romanzi di Mary è sempre presente la figura del padre brutale e della madre schiavizzata dal marito. Malgrado la tirannia del genitore la ragazza riuscì da autodidatta a colmare la propria istruzione e a diventare insegnante. La Wollstonecraft, con l’esperienza che si ritrovava, non poté che diventare femminista. Anzi, fu una delle prime femministe in pectore anche se non ebbe mai modo di partecipare al movimento. Poiché guardava con sospetto gli uomini, non permise a nessuno di “dominarla né di dirigerla”. Insomma, aveva imparato che: « a lasciar fare al maschio, ci si rimette sicuramente». Proposito che però le venne meno, quando, nel 1796, incontrò William Goldwin, dal quale ebbe una figlia, che sarebbe diventata la moglie di Shelley. Purtroppo la scrittrice morì di setticemia proprio dopo il parto.
Un’altra donna fu marchiata dal potere di un padre padrone: Matilde di Quedlinberg, la quale, sebbene vissuta nel Medio Evo, si ribellò al genitore. Per tal motivo, a undici anni venne “scacciata” da casa e messa in un monastero. Matilde non perdonò mai a suo padre di averla brutalmente messa da parte, e verso di lui, per tutta la vita, provò una profonda avversione che le causò una insanabile misantropia. Matilde, chiusa nella cella del chiostro, per mesi fu colta da furiosa disperazione e da immenso odio verso il padre. Non dimenticò mai il burbero e crudele genitore che l’aveva soffocata in un monastero e da grande si prese delle rivincite su maschi. Divenuta badessa, e nominata reggente, in nome di suo fratello Ottone II, Matilde poté finalmente comandare i maschi oppressori. Infatti ella governò senza leggerezza femminile, usando tutta la forza e tutto l’odio accumulato contro il maschio, per riportare alla disciplina gli ufficiali ribelli dei re barbari e indurli alla pace e all’obbedienza. Matilde seppe tenere il potere temporale e quello spirituale grazie al suo inconscio bisogno di sottomettere in ogni uomo che le si opponeva, il padre prevaricatore. E così, a causa del suo rancore e dell’ostilità che aveva fece “pagare” a tutti gli uomini che incontrò nel suo cammino ciò che avrebbe voluto far scontare a suo padre.
Molte donne, come Matilde, deluse dal “maschio di famiglia”, cercano una rivincita per i soprusi subiti e prendono le distanze da qualsiasi uomo.
La psicoanalisi ha evidenziato che la persona frustrata dall’immagine genitoriale è piena di amarezze e cerca di sfuggire al “fantasma” dell’infanzia, odioso ed esecrabile. Accade così che la ragazzina, delusa dal genitore, è spesso sospettosa nei confronti dei maschi e magari li rifiuta, finendo persino, a volte, col guardare “teneramente” le persone del proprio sesso; così come il maschio, rifiutato dalla madre, di frequente diventa misogino e purtroppo anche violento con le donne.
Insomma, per un sano equilibrio bisogna augurarsi che l’influenza dei genitori non sia stata troppo coinvolgente. Infatti sia nel caso di chi è troppo affascinato dall’immagine genitoriale, come nella malaugurata ipotesi che ne sia stato deluso, il risultato è lo stesso. Madame de Staël, vissuta nel culto del padre, da grande affermò che egli era l’unico uomo che lei avrebbe voluto sposare, e passò da un uomo all’altro “sempre in cerca del padre” e senza mai riuscirvi. Hans Christian Andersen ebbe una giovinezza tormentata; perse il padre giovanissimo, e fu profondamente deluso dalla madre che quand’egli era bambino si curò poco o niente di lui, convisse con un altro uomo e divenne ben presto un’etilista. Da ciò, Hans ebbe un infelice rapporto con le donne e non riuscì mai sentirsi a proprio agio con esse.
Le coincidenze dell’amore (21)
A volte avvenimenti strani o eccezionali uniscono due persone che altrimenti mai avrebbero avuto modo d’incontrarsi.
Singolare per esempio fu la circostanza che legò il pianista australiano David Helfgott con l’astrologa Gillian. David schiacciato da un padre che lo volle ad ogni costo musicista di successo, ma che gli creò gravi complessi, dopo una serie di concerti di grande abilità, venne colto da collasso psichico e ricoverato in un ospedale psichiatrico. La sua vita sembrava finita nel ginepraio della follia. L’incontro fortuito con l’astrologa Gillian, donna intelligente e piena di intuito, lo salvò dalla disperazione. Dove i medici avevano fallito, Gillian riuscì: ella intuì il dramma del musicista e ebbe anche il coraggio di sposare “quel pianista matto”. David grazie all’aiuto della moglie, tornò a calcare i palcoscenici dei teatri di tutto il mondo. Sulle vicende che hanno legato i due è stato girato un film, Shine, ed esse stanno anche scrivendo a due mani la loro autobiografia. I casi della vita a volte possono produrre eventi straordinari: anche da un episodio di follia, può dar luogo come nel caso di David e Gillian, un grande amore
Fuori del comune fu pure l’occasione che rese possibile l’unione tra Paul Gauguin e la polinesiana Teha’amana, detta Theruna. Il grande pittore francese aveva sposato una danese, Mette Sophie, dalla quale aveva avuto cinque figli. Ma una crisi esistenziale gli fece abbandonare la famiglia e l’impiego in banca, e lo fece girare per l’Europa dipingendo come un forsennato. Dopo un soggiorno ad Arles, la rottura con l’amico van Gogh lo portò ad imbarcarsi per Hiva Oa, una delle remote Isole Marchesi, dove Gauguin incontrò quella donna, che abitava a oltre diecimila chilometri dalla Francia e che sposò col rito del luogo.
Poco nota è l’imprevedibile circostanza che portò Carlo Pisacane a legarsi con Enrichetta Lazzaro e in conseguenza di ciò, a diventare patriota. Carlo, come ogni perdigiorno, trascorreva molto tempo nelle alcove delle belle signore napoletane. A Napoli, reduce di molte battaglie, in quel tempo rientrò Dionisio Lazzaro, ufficiale di Sua Maestà Borbone e ufficiale molto noto per le sue gesta eroiche. Manco a dirlo Carlo gli sedusse la moglie. Dionisio infuriato giurò di fargliela pagare. Pisacane fuggì da Napoli seguito dalla moglie del Lazzaro, Enrichetta, che innamoratissima di Carlo, non volle perderlo e per lui abbandonò marito e figli. Quella fuga d’amore creò un immenso scandalo, perché il marito tradito pregò il re di Napoli di intervenire in tutte le corti d’Europa per bloccare i fuggitivi. Rifugiatisi a Londra, Carlo ed Enrichetta sfuggirono per caso agli arresti delle autorità inglesi, alle quali il re di Napoli aveva chiesto che fossero estradati. I due amanti ripararono fortunosamente a Parigi, ma anche qui vennero individuati dai gendarmi e solo grazie all’intervento del generale Guglielmo Pepe, che si trovava nella capitale francese, sfuggirono alla galera.
La vita dei due fuggitivi divenne un inferno e nemmeno la nascita di Silvia portò alla coppia un po’ di serenità. Fu così che Pisacane, sempre più perseguitato dal Borbone, decise di vendicarsi, partecipando nel luglio del 1857, all’impresa di Sapri. Ma in quella spedizione, ideata e condotta nel peggiore dei modi, Pisacane divenuto patriota per amore, trovò la morte.
Circostanze squisitamente politiche fecero conoscere Napoleone Bonaparte e Maria Łeczynska Walewska, moglie del nobile italiano Colonna e in seconde nozze, del generale d’Ornano. Maria Walewska, si fece ricevere dall’imperatore per implorarlo di salvare la Polonia dallo smembramento. Ma una volta al cospetto dell’uomo più importante d’Europa, capì che sarebbe andata oltre il programma politico a lei affidatole perché venne travolta dalla passione per Napoleone, il cui magnetismo la sedusse immediatamente. Anche Bonaparte s’invaghì talmente della bellissima donna che da lei ebbe un figlio, a cui venne imposto il nome di Florian, Alexander Colonna Walewski, che in seguito divenne un uomo politico di rilievo nella Francia post napoleonica.
Se non avesse avuto un animo patriottico, Maria Walewska non avrebbe mai incontrato il suo uomo ideale, e Napoleone non avrebbe avuto il sospirato figlio maschio.
Lo scrittore Jorge Luis Borges fu quello che Freud avrebbe chiamato “un figlio edipico. Finché visse sua madre egli rimase sempre dedicato a lei e non solo non volle mai legarsi a nessuna donna, ma impedì che anche una governante entrasse a casa sua. Quando ormai era sessantenne, persa la genitrice, Jorge gioco forza fu costretto a cercare una segretaria che facesse magari anche le veci della scomparsa. Il caso volle che proprio in quei giorni la giovanissima Maria Kodama aveva perso il posto in un’azienda dove lavorava perché la ditta era stata distrutta da un incendio. Sensibile e generosa, la Kodama assistette lo scrittore senza fargli pesare “la perdita della madre”. E non solo: colta e intelligente, la ragazza seppe arricchirsi dell’erudizione di Borges e scrisse e pubblicò anche due libri. Dopo dodici anni, Jorge Louis volle testimoniarle il suo affetto e la sua riconoscenza, sposandola; ma il loro amore, sebbene affettuoso, rimase platonico, dal momento che le angosce edipiche non avevano abbandonato lo scrittore. «Senza Maria – tuttavia ebbe a dire Borges – una parte della mia produzione non sarebbe potuta essere stampata: è stata lei che mi aiutato a rivederla»
Flavio Giulio Valerio, colui che diventerà l’imperatore Costanzo I° Cloro (cioè verde) (così detto per via del suo viso pallido), mentre passava con la sua scorta da Drepane, piccolo e sperduto paesino della Bitinia, si dissetò in un’osteria e poté così ammirare le fattezze della figlia dell’oste, la vivacissima Elena. Quando ripartì portò con sé quella bella ragazza, e ne fece la sua concubina. Una vicenda di poco conto, sembrerebbe, ma che ebbe invece un peso rilevante persino nelle sorti del Cristianesimo. In seguito Costanzo sposò la figliastra di Massimiano, Teodora, per essere aiutato a salire al trono alla morte di Diocleziano. Elena, essendo di umili origini, non sarebbe potuta diventare imperatrice. Ma la figlia dell’oste di Drepane, con la quale Costanzo, buongustaio in fatto di donne, aveva un bel rapporto, voleva ad ogni costo portare avanti la candidatura del proprio figlio Costantino, avuto dall’uomo che la teneva in concubinato, e che era diventato imperatore, affinché potesse governare a Bisanzio dopo la morte del padre. Così, da intrigante, autoritaria e senza scrupoli qual era, Elena si adoperò per emarginare l’imperatrice Teodora e i di lei figli. Elena, che con gli uomini ci sapeva fare, restò dunque al fianco dell’imperatore esercitando una notevole influenza sulle vicende politiche della corte dell’Impero d’Oriente e persino in questioni religiose.
Sebbene l’aristocrazia senatoriale la disprezzasse e apostrofasse Costantino «figlio di concubina», Elena, alla morte di Costanzo, riuscì ad assicurare al figlio la successione al trono. Ma l’azione di quella donna non si fermò a questo: si fece assegnare dal figlio il titolo di Augusta diventando così la prima donna dell’Impero. La storia di Elena da qui in poi è più nota a tutti: nel 327 si convertì, e influì a sua volta sulla conversione del figlio, contribuendo a creare in Oriente un impero Cristiano.
I casi della vita: se Costanzo Cloro non fosse passato quel giorno da Drepane, non si sarebbe invaghito della giovane Elena, i due non si sarebbero messi assieme e tanta storia d’Europa e d’Oriente si sarebbe svolta in altro modo.
I “forzati” dell’eros (22)
Scriveva Hermann Hesse che l’esperienza amorosa viene vissuta da ognuno secondo la propria cultura, le proprie esigenze, le proprie necessità e le proprie inclinazioni psico-biologiche.
Honoré de Balzac, per esempio, lavorava furiosamente sedici ore al giorno e poi, per rilassarsi, s’intratteneva in giochi erotici con qualche amica. Affettuoso e comprensivo affermava però di non potersi legarsi stabilmente con nessuna donna perché, diceva, era “fisiologicamente poligamo”. E similmente, lo scrittore Théophile Gautier intrattenne, con molto affetto, parallele relazioni con varie donne perché, a suo dire, un solo rapporto gli sembrava del tutto inadeguato alla sue esigenze. E affermava inoltre: «Perché negare il mio affetto e le mie premure alle tutte quelle che lo apprezzano?»
Ugo Foscolo amò molte signore, tra cui Antonietta Fagnani Arese, Caroline Lamb, Luisa Frazioli e tante altre. La passione esplodeva nel cuore del poeta intensa e straboccante, ma non era mai accompagnata da una stabilità nelle relazioni. Ugo si stancava presto, perché, affermava, aveva un’insaziabile bisogno di “novità”.
Per Picasso la passione amorosa era esaltazione psicologica e carica esistenziale. Quando il pittore veniva colto «dal bisogno imperioso di sperimentare nuove tecniche grafiche», sentiva nel contempo l’imperiosa necessità di un nuovo legame che lo stimolasse e gli desse modo di ottimizzare la sua arte. In molti casi il rinnovamento artistico di Pablo venne spronato proprio da una nuova conquista amorosa.
L’esploratore Roald Amundsen era un bulimico di conquiste amorose. Ogni nuova presenza femminile gli serviva per ricaricarsi prima di partire verso luoghi sconosciuti. Roald intrecciava relazioni per lo più con donne sposate, scontente del ménage familiare, le quali trovavano i lui una persona che sapeva coccolarle. Ma con nessuna Roald si legò stabilmente:quando partiva per terre lontane recideva il legame e al ritorno non riallacciava mai una relazione interrotta.
Gli attori Spencer Tracy e Katherine Hepburn, durante il ventennio del loro matrimonio fecero intendere di essere una coppia affiatata. Ma non era così: litigavano spesso e sia lei che lui ebbero molte avventure, essendo entrambi in perenne ricerca di trasgressioni erotiche.
Una prorompete bulimia sessuale mostrò lo scrittore Graham Greene. Egli però nascondeva i suoi appetiti sessuali con un ostinato perbenismo di facciata. Ma agli amici più intimi Greene confessava quella sua debolezza, affermando maliziosamente che alla beatitudine eterna si accede tramite il peccato. Così egli visse in attesa della santità, in perenne «peccaminosa indecisione tra il Male e la Grazia».
Quando Graham morì lasciò varie donne a lui affezionate: la moglie Vivien, con la quale era sposato da quarant’anni e dalla quale, da “buon” cattolico”, non volle divorziare; Yvonne Cloetta, con la quale ebbe una relazione trentennale; la bellissima designer australiana Jocelyn Richards, e l’elegante e sofisticata intellettuale americana Catherine Walston. Di tutte queste relazioni Greene raccontò i momenti più salienti nei suoi romanzi.
Il pittore Gustav Klimt era eroticamente scatenato e trasgressivo. Le sue avventure galanti andavano dai fugaci rapporti con commesse di negozio, alle relazioni con le sue modelle, agli amori travolgenti per attrici e donne intellettuali. Klimt ebbe quattordici figli illegittimi. Di lui si racconta che era un “forzato dell’amore”: infatti per essere puntuale ai vari appuntamenti amorosi, traversava quotidianamente Vienna da un capo all’altro velocemente in sella a una bicicletta.
Lo scrittore ungherese Arthur Koestler, un uomo amabile e dotato di grande verve, viaggiando in lungo e largo per l’Europa, ebbe modo di conoscere, in senso biblico, molte donne.
«Tutte, confessò, migliorarono la comprensione di me stesso e la mia dimensione umana». Fu l’amante di Jill Craig, moglie del leader laburista radicale Michael Foot. Quando questi scoprì la tresca, sebbene, qualcuno lo spingesse a sfidare a duello il rivale, commentò compassato: «Mi consola che non sono l’unico marito posto in queste condizioni dallo scrittore ungherese».
Anche Georges Simenon, inventore del Commissario Maigret, fu un bulimico del sesso. Nella sua autobiografia raccontò che fino a tarda età non aveva potuto mai fare a meno di avere più rapporti quotidiani.
Ma tra i forzati dell’amore non vi sono solo gli uomini, anche le donne sono rappresentate in buon numero.
Le passioni che travolsero Elisabetta I d’Inghilterra la aiutarono a quietare le ansie e a superare i momenti più difficili. Quando la sovrana doveva prendere una grave decisione o quando si sentiva infelice, si ‘appartava’ con un suo favorito e qualche giorno dopo tornava in pubblico completamente rinnovata.
L’affascinante scrittrice inglese Nancy Cunard, personaggio tra i più singolari del suo tempo, e protagonista di rilievo nel mondo culturale, amava circondarsi di uomini colti ed interessanti “per sentirsi vitale e attiva”. Ella, tra l’altro, ebbe relazioni intime con Hemingway, con Aldous Huxley, col filosofo Louis Argon, con lo scrittore Michael Arlen, e col filosofo e pittore inglese Wyndham Lewis. In seguito, quando si dedicò alla difesa delle minoranze etniche, ebbe una legame con un negro di Atlanta, Henry Crowder, che definì «uomo vero, di quelli che hanno sangue nelle vene e cervello a posto».
Determinata, di temperamento sanguigno e sensuale, libera da pregiudizi fu anche Bianca Tam, la quale ebbe una notevole vita avventurosa. Spia, modella e protagonista della vita mondana fra le Grandi guerre del Novecento, ebbe sei mariti, nove figli e un incalcolabile numero di amanti. La sua attività spionistica la portò a vivere buona parte della sua esistenza in molti Paesi europei ed asiatici ove Bianca collezionò una straordinaria serie di avventure sentimentali. Quando smise di fare l’agente segreto, si stabilì a Parigi, e divenne l’indossatrice e l’ispiratrice di Christian Dior. Divenuta vecchia, affermò soddisfatta: «I miei settantacinque anni sono stati un vivace romanzo erotico-poliziesco».
Anche Olghina di Robilant scandalizzò per la sua insaziabile foga erotica. Ella affermava di avere avuto tante avventure da non potere più ricordare tutti i suoi amanti. Olghina era una snob, e preferiva relazioni con uomini dell’alta società, professionisti o attori di grido. «Nella sostanza gli uomini sono tutti eguali, preferisco almeno gli uomini che portano la camicia di seta in ogni circostanza» soleva dire. Fu compagna del direttore d’orchestra Lorin Maazel, degli attori Alain Delon, Maurizio Arena e Warren Beatty. Amò il ballerino Antonio Gadès, s’infervorò di Tony Curtis, col quale ebbe un burrascoso rapporto. Tutte relazioni che riportò nella sua autobiografia, mettendo a nudo la sua vita e quella dei suoi compagni. Olghiona narrò le sue esperienze più scabrose, senza ipocrisia e senza veli, mettendo a soqquadro la buona società. Un putiferio, quello, che le fece guadagnare molti soldi con i diritti d’autore. Olghina era una donna libera che non voleva essere dominata da nessuno: «Gli uomini – diceva – sono disposti a farsi amare, vogliono essere adorati e riveriti, ma non rinunziano alla loro presunta condizione di padrone, nemmeno quelli che, solo in apparenza, propendono per la parità dei diritti con le donne». Sposò il pittore Antonello Alioti ma il legame non ebbe lunga durata: «Il sesso Antonello lo fa con i suoi quadri», spiegò delusa. Quando qualcuno le rimproverava di gettarsi in nuove esperienze senza pudori e senza veli, lei replicava che solo l’ipocrisia impedisce a molte persone di comportarsi come lei.
Sembra che anche la Callas da giovane, fosse stata una bulimica della sessualità. Uno dei suoi biografi, lo storico Nicolas Petsalis-Diomidis, narra che ella si legò, durante il periodo della guerra, col maggiore Attilio De Stasio e poi con un sottufficiale, un certo Piero Donato; in seguito, quando la giovane Maria cantava per la Wehrmacht incontrò un paracadutista della Folgore, Angelo Dondoli col quale “ebbe un rapporto breve ed incandescente”. Il resto della storia della cantante è nota: i suoi legami con Meneghini, poi con Onassis, e, dopo la delusione, con Pier Paolo Pisolini e in fine con Pippo Di Stefano.
Secondo lo psicoanalista Aldo Carotenuto il bisogno di sperimentare e cambiare non è del tutto negativo: a volte aiuta a capire gli altri e a maturare.
Casanova amò moltissimo, e pare non abbia mai conquistato nessuna donna con l’inganno. Quando s’accompagnava ad una di esse la faceva sentire una regina e ne illuminava la personalità. Il bel Giacomo non si fece mai condizionare dal ceto sociale: amò donne nobili come Henirette, cortigiane come Marianna, e anche donne che se in apparenza non avevano grazia, nella sostanza erano grandi amatrici. Raccontò infatti di avere passato dei momenti bellissimi con la bolognese Nepi, «donna gobba e minuta, ma piena di charme».
Non meravigli la quantità di relazioni che ebbe Casanova: alcuni moderni forzati del sesso come Frank Sinatra, George Simenon. John F. Kennedy, John Osborne, Richard Wagner e altri, hanno vantato più numerose conquista di lui. Infatti, a fronte di un centinaio di donne che Casanova ebbe durante la sua vita, Frank Sinatra, lo batte per averne avute almeno tre o quattro volte tanto.
Spesso l’impellenza di nuove esperienze non è finalizzata a “trovare la persona adatta” ma è una necessità narcisistica, un bisogno di “onnipotenza”. Gestire tanti amori può essere stressante. In questo caso la vita affettiva sfocia in conseguenze paradossali.
Ma questi affascinanti incantatori sono liberi amatori o forzati dell’amore?
Coppie bizzarre, eccentriche e insensate (23)
Se nella coppia i partner sono narcisisti, eccentrici e “svitati”, può accadere di tutto.
Paradossale fu la fuga da Haiti del dittatore Jean-Claude Duvalier, succube della madre Simone e della moglie Michèle Bennet. Il padre di costei diceva: «È l’unica della famiglia di cui ho paura, perché ottiene sempre quello che vuole». Difatti, Michèle, sposata e madre di molti figli, volendo arrivare al potere, sedusse Duvalier e dopo avere divorziato ne divenne la moglie. Dopo che ad Haiti scoppiò la rivolta, il frastornato Duvaleir salì su un aereo dell’aviazione americana, con moglie, mamma e figli, alla volta della Francia. Michèle riuscì a strappargli il consenso di portare in esilio con loro il suo ex marito, Philipe Pasquet, i figli che lei aveva avuti dal precedente matrimonio e i parenti di Philipe. A Grenoble, i plenipotenziari che accolsero la comitiva mostrarono sconcerto vedendo scendere dall’aereo il clan dei Pasquet. Michèle, radiosa, chiese con la solita improntitudine che la distingueva: «Per il mio primo marito e per i figli che ho avuto da lui, approntate un appartamento vicino a quello mio e del presidente Duvalier». Duvalier dopo quell’episodio fu chiamato “il signor Bennet”.
Bizzarra fu l’unione tra Rodolfo Valentino e Natascia Rambova. Valentino era giunto in America da emigrante, e aveva sposato Jeanne Acker, attricetta e ballerina, bella e aggressiva. Il matrimonio durò una notte. Offesa per non essere stata sfiorata dal marito, la Acker lo piantò l’indomani nell’hotel dove avrebbero dovuto trascorrere la luna di miele. Qualche tempo dopo, per cancellare l’episodio, Rudy si legò a Natascia Rambova, scenografa e figlia di una magnate californiano di cosmetici. Poiché alla bella Rambova piacevano le donne, suo padre, non accettando la propensione della figlia, scelse per lei l’uomo più in voga del momento, l’attore italiano. Ma le nozze preoccuparono i produttori che, conoscendo il caratteraccio della Rambova, temevano che avrebbe manipolato Valentino, rovinandolo.
E fu così: per lei Rodolfo dilapidò un patrimonio. Una megavilla bellissima, una scuderia di cavalli, una schiera di servitori, gioielli favolosi e auto di lusso, feste magnifiche con champagne e caviale, e centinaia d’invitati prosciugarono i conti dell’attore. L’eccentrica Natascia, sedotta dallo spiritismo, volle arredare un’ala del palazzo per le sedute spiritiche con i maghi che settimanalmente incontrava. Valentino subiva la dissennatezza della moglie, per tacitare le voci sulla sua omosessualità. Egli non aveva nessun “contatto” con quella donna anche se, forse a modo suo, ne era platonicamente innamorato. Del resto nemmeno a Natascia interessava dormire nel letto di un uomo.
Poiché le voci che discreditavano quel ménage ingigantivano, Valentino cercò riparo, pubblicizzando il suo tradimento coniugale con Pola Negri, famosa diva la quale tenne per sé il segreto dell’impotenza di Rudy. Un segreto che violò signora Rambova-Valentino quando, dopo una serie di furiosi litigi, lasciò il marito. Quelle atroci dichiarazioni distrussero il mito dell’attore, e gli procurarono, quando aveva appena trentuno anni, un’ulcera che, in seguito, curata male, lo uccise.
Una coppia che, procedendo sulle ali della eccentricità e con spavalda incoscienza, finì col perdersi, fu quella formata dagli attori Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Il Valenti era un istrione, sia nel set di Cinecittà che nella vita, tant’è che era difficile capire quando recitava e quando no.
Affabulatore, anarchico, Osvaldo, che aveva fascino sulle donne, fece della sua vita un romanzo. Luisa Ferida, che bazzicava gli studi di Cinecittà e aveva avuto una parte in un film di Blasetti, si era innamorata del regista. Ma essendo questi legato all’attrice Elisa Cegani, “la dirottò” al più bell’attore del momento, Osvaldo Valenti, il quale, da infallibile conquistatore, finì col sedurla.
I due vissero in maniera pericolosa a causa dell’assoluta mancanza di realismo che li caratterizzava. Sniffavano cocaina e conducevano un’esistenza dissipata e strampalata. Con incoscienza, Osvaldo, che in un primo tempo si era dichiarato estraneo alla politica, anzi, non-fascista, quando l’Italia venne divisa in due dalla guerra, si trasferì assieme alla compagna nella Repubblica di Salò, per continuare a recitare, poiché Cinecittà era chiusa, nella seconda Cinecittà, che Mussolini aveva costruito a Venezia, il cosiddetto Cinevillaggio. A causa dell’insensatezza e dell’incoscienza che rendevano la sua vita senza ordine e sempre pericolosa, il Valenti finì con l’aderire alla politica repubblichina, arruolandosi nella Decima Mass di Valerio Borghese.
A Venezia l’attore conobbe il famigerato Pietro Koch e solo quando intuì che la sorte della Repubblica di Salò era segnata,Valenti cercò, ancora una volta sconsideratamente, di chiedere aiuto ai partigiani per fuggire, lui e Luisa da quell’inferno. Ma non si era reso conto che erano già nelle liste di proscrizione, essendo ritenuti “fascisti pericolosi”.
In realtà Valenti era solo un ingenuo che aveva seguito la pista sbagliata, e né a suo carico né tanto meno sulla Ferida si poteva ascrivere alcun delitto. Tuttavia, dopo che i due si consegnarono ai partigiani, furono proditoriamente fucilati. Finiva così una coppia affiata ma immatura ed insensata, vissuta al di fuori della realtà. Infatti i due attori erano vissuti senza punti di riferimento, navigando nel lusso sfrenato con bizzarrie ed eccentricità, e si erano persi senza rendersene conto.
Coppia affiatata e spericolata fino al tragico epilogo quella formata dalla ventottenne francese Auderey Mestre, record mondiale femminile di immersione, e da suo marito, il cubano Francisco Ferraras. Campioni di immersione subacquea, erano in cordiale competizione e si ricorrevano l’un l’altra in attesa di sapere chi di loro fosse “il più spericolato” ad andare più in fondo nel mare. I due avevano scommesso una crociera: l’avrebbe pagata lui se lei avesse vinto o lei se non riusciva a superare il primato del marito.
Inseguendo il record di Francisco, che era di 162 metri, la Mestre è morta, nell’ottobre del 2002, tentando di arrivare in apnea a 170 metri per superare il coniuge. Qualche mese prima quegli spericolati coniugi erano allegramente scesi in “apnea di coppia” toccando i 130 metri di profondità.
Nel 1963 il ministro inglese della guerra, John Profumo, sposato con l’attrice Valerie Hobson, frequentatore dei salotti bene di Londra, e sul punto di diventare premier d’Inghilterra, s’innamorò dell’ambiziosa, ambigua e provocante Christine Keeler, bellissima ballerina amica dell’agente segreto russo Evgenij Ivanov. Tra l’uomo politico inglese e la affascinate Christine, dai lunghi capelli color rame, sorse una violenta passione, che i due esibirono con vanità, incuranti della condanna pubblica. L’insensato Profumo fu travolto dalla show girl, pur sapendo che la Keeler entrava ed usciva dai letti “più importanti” di Londra, compreso quello della spia del KGB. Lo scandalo travolse il ministro, mise in crisi il premier Mc Millan, sconvolse l’Inghilterra “bene”, allarmò i servizi segreti del regno Unito. La paura che la Keeler avesse “agganciato” il ministro per estorcergli, sotto le lenzuola, segreti di Stato fu molto grande. La coppia Profumo-Keeler rischiò di far aumentare la tensione internazionale e di mettere in crisi le relazioni tra l’Occidente e la Russia, accusata di aver cercato, tramite la bella indossatrice, di carpire segreti alla Nato. La vicenda si sgonfiò quando Profumo rinunziò alla carriera politica e alla donna che gli aveva fatto girare la testa e tutto finì con l’arresto di alcune spie russe.
A volte che il vero grave handicap di una coppia è voler esagerare ad ogni costo.
Amori cruenti e scellerati
L’amore è affetto, tenerezza. Ma quando l’attrazione fatale è esasperata, irrazionale, la passione annebbia la mente e si trasforma in esaltazione dissennata.
C’è infatti chi confonde il sentimento d’amore col senso di proprietà, e, partendo da questi presupposti, inevitabilmente, prima o poi si caccia nei guai.
Malgrado questi pericoli, la passione travolgente e smodata, che tormenta e monopolizza i pensieri e gli impegni dell’individuo è molto esaltata e vagheggiata, tant’è che persino la letteratura la celebra come degna di ammirazione.
Tristano e Isotta, Aida e Radamés sono tragedie di amore e morte. Wherter si suicida per amore; Didone, abbandonata dall’amato, cerca la morte. Medea, crudele e disumana, quando Giasone l’abbandona, uccide i figli avuti dall’amante per punire l’uomo che l’ha ingannata.
Tutte storie letterarie che rappresentano soluzioni estreme di un sentimento che dovrebbe essere invece l’emblema della pace.
L’amore ha una forza che può degenerare in brutalità, afferma il sociologo Franz. von Schmidt, nel suo saggio “Amore e crimine”. Questa osservazione prende spunto dai drammi passionali, in cui l’amore disilluso, tradito, non compreso o non corrisposto, diventa un inferno, un’ossessione che reclama sempre di più, a volte certamente troppo. In questi casi spesso la catastrofe viene dall’eccessivo “amore” , che porta disperazione e follia. Nell’amore non sereno, nevrotico, i partner sono legati da combinazioni morbose, ed esasperati da frustrazioni e delusioni.
Anche il cinema, oltre alla letteratura, in qualche caso sembra compiacersi degli amori cruenti e scellerati. Gran successo ebbe “Duello al sole” di K. Vidor, in cui Gregory Peck e Jennifer Jones danno vita ad una truculenta passione che finisce quando i due, venuti in contrasto, si sparano senza pietà l’un l’altra, ma in punto di morte i due partner confessano di amarsi ancora. Il film Bonny e Clayd di Artur Penn, che esalta una leggendaria coppia di fuorilegge è una tappa fondamentale dell’ammirazione per l’amore “forte”, esaltato anche con gesta criminose.
In un altro film, Il postino suona sempre due volte di Tay Garnett, una donna spinge l’amante occasionale a uccidere il proprio marito, e ciò dimostra quanto fascino possa avere l’amore proibito, anche se condito da omicidi truculenti.
Come diceva Oscar Wilde: «non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché a volte si assiste all’evolversi dell’amore in odio».
Infatti, l’amore può essere accaparrante e persecutorio, geloso e invadente e se chi ama è afflitto da problemi irrazionali diventa una mina vagante che può arrecare danni imprevedibili.
Le statistiche indicano che molti delitti tra gente comune hanno origine da tragici fenomeni d’amore, o comunque maturano in seno agli affetti. Le cronache riportano cruenti episodi passionali dovuti alla ruggine che a volte compare nella coppia. Molti servizi giornalistici narrano vicende truculente esplose dopo anni di tribolazioni e di sopportazioni “subite per amore”. In questi casi è il partner più remissivo che, venuta meno l’acquiescenza, esplode in efferatezze, commettendo delitti passionali, si dice, a causa di in “raptus improvvisi”. Ma improvvisi non sono di sicuro, perché sono invece il risultato di lunghi periodi di tensioni.
A Milano, qualche mese addietro, una settantenne, dopo cinquanta anni di matrimonio, ha piantato un coltello nel cuore del marito che dormiva accanto a lei; ad Ancona un vecchio ha sgozzato la moglie durante l’ennesimo litigio.
A metà del XX secolo, a Graz, la signora Hruby venne condannata all’ergastolo perché aveva avvelenato il marito, il quale le aveva intimato di troncare la relazione che lei da tempo aveva con un prete. Nello stesso periodo, Ruth Ellis, bellissima indossatrice londinese, uccise l’amante, il corridore automobilistico David Blakey, di cui era follemente innamorata, perché l’uomo voleva porre fine alla loro relazione. A Londra, più o meno in quegli anni, la contessa polacca Ludivina Skarbek venne pugnalata al cuore dall’amante, il maggiordomo John Muldowney che la punì perché ella voleva troncare la loro relazione.
Il dramma della passione che le contingenze stavamo per far finire, armò la mano di un ufficiale di cavalleria. Nel 1912, il barone, tenente di cavalleria, Enzo Paternò uccise a Roma la sua amante, la bellissima contessa Giulia Trigona in un albergo e tentò a sua volta il suicidio. Il Paternò, salvato dai medici, in Assise confessò di aver commesso il delitto perché la Trigona non voleva lasciare il marito e lui non sopportava di incontrare l’amante di nascosto. Il tribunale lo condannò a trent’anni.
A volte causa dei delitti passionali sono l’orgoglio ferito, le frustrazioni, le mortificazioni. L’amore, quello vero, in questi casi, non c’entra affatto.
Ma non sempre frustrazioni, umiliazioni e orgoglio ferito causano esplosioni di violenza. Sono molti i legami che continuano ad esistere facendo leva sulla sopportazione, sulla docilità e sulla rassegnazione di uno dei due partner, che spesso è una donna. Molte donne, temendo le conseguenze della separazione, preferiscono mantenere l’unione, anche se andata in fallimento.
Ma quando è “il sesso debole” che si ribella, di solito la rivolta si trasforma in tragedia. Nel 1948, a Caltanissetta, Assunta Vassallo uccise con una dose di veleno il marito Rosario Raimondi, notaio molto conosciuto in paese. Dopo i funerali la donna, pentita, si autoaccusò della morte del marito. Aveva soppresso il coniuge, disse la Vassallo, a causa del “degrado della loro relazione”. Nel 1979, a Partitico, una casalinga, Pietra Vaccaio, che per anni aveva tradito il coniuge, uccise l’amante, il camionista Pietro Pellitteri, perché avendogli confessato che avrebbe voluto tornare al marito, l’uomo, gelosissimo, cercava di impedirle di riprendere i rapporti col coniuge.
Nel 1946, a Milano, Rina Fort, una friulana balorda e ottenebrata, uccise a bruciapelo la moglie e figli del suo amante, Giuseppe Ricciardi, perché temeva che questi tornasse a convivere con la madre dei suoi figli, e con ciò avrebbe messo fine al loro rapporto.
Tuttavia non si può generalizzare: a volte anche il partner maschile insicuro, o “succube” della compagna, alla fine esplode in atti di violenza.
Un delitto passionale conturbante,data l’età giovanile dei protagonisti, si svolse a Berlino nel 1927. Il giovane Günther Scheller, personalità timida e insicura, scoperto che l’amico Hans Stephan, al quale aveva dato ospitalità, se la faceva con la sedicenne Hilde Scheller, uccise il “traditore” e poi rivolse l’arma contro se stesso. Un gesto folle oltretutto perché Günther aveva fatto conoscenza con Hilde solo da qualche giorno. Ma, avendo avuto rapporti intimi con lei, la considerava ormai sua per la vita e così, temendo di perderla, compì quel gesto insensato. Insensato anche perché, uccidendosi, perse per sempre la possibilità di stare con la donna che lo aveva ammaliato.
In ogni caso, la fine di un affetto, di una relazione, di una storia sentimentale crea forti conflittualità, tanto da trasformare il rapporto in una trappola tirannica e farlo sfociare in tragedia. Il cinema ci dà esempi emblematici: si prendano ad esempio film come Nove settimane e mezzo e La Guerra dei Roses che narrano di passioni smodate che debordano, finita l’attrazione fatale, in tragedia.
Anche il film Kramer contro Kramer è una vicenda emblematica. Esso mostra a quali bassezze si può arrivare finito l’amore.
Fortunatamente, coloro che hanno buon senso ed equilibrio interiore, e sono i più, anche nei momenti più critici del ménage riescono a comportarsi civilmente.
I partner “imposti” e quelli scelti male (25)
Nell’antichità, soprattutto in ambienti sociali elevati, imporre il partner era una pratica inveterata che rendeva infelice la coppia e in qualche caso suscitava tragiche vicende.
In Egitto, Cleopatra, per motivi dinastici, dovette sposare il più giovane dei suoi fratelli, Tolomeo XII Dioniso, che risultò degenerato e mezzo citrullo.
Nel Medio Evo, Rosmunda, figlia di Cunimondo, re dei Gepidi, prigioniera dei Longobardi, fu costretta a sposare il loro re Alboino. In seguitò vendicò l’affronto seducendo Elimichi, luogotenente del re, e inducendolo ad uccidere il sovrano. Dopo il delitto, Rosmunda fuggì a Ravenna con Elmichi, ma Longino, per salvarle la vita, le impose di uccidere l’amante. Elmichi, più svelto, fu lui a sopprimere Rosmunda.
Nel XVI secolo il capo di una nobile famiglia, Francesco Cenci, crudele e dissoluto, “impose se stesso” come partner alla figlia Beatrice, che, pare, fosse di rara bellezza. La ragazza subì le attenzioni del padre fino a quando con l’amante Olimpio Calvetti e i fratelli, diede vita a una congiura che eliminò il feroce Francesco.
Scoperti, i congiurati furono mandati tutti al patibolo.
Tra le famiglie reali era quasi una regola che i matrimoni avvenissero per imposizione.
In Austria Maria Antonietta non era stata istruita per fare la regina fino a quando morirono le sorelle maggiori per un’epidemia di vaiolo. A quel punto toccò alla “selvaggia” Antonietta sposare il Delfino di Francia. La giovane principessa aveva solo undici anni ed ignorava l’etichetta; ma dopo un tirocinio di tre anni, imparò a comportarsi regalmente e ad essere esperta delle vicende amorose. Dopo il matrimonio, il frastornato Luigi XVI, per sette anni non volle dormire con la regale consorte. Il grassoccio e svagato ragazzo che la quindicenne Antonietta aveva sposato preferiva i dolci, il vino, il gioco delle carte e i trastulli solitari. La regina superò le frustrazioni scialacquando nel lusso più insensato.
Luigi XVIII sposò Maria Giuseppa di Savoia, per procura. Poiché la fotografia non era stata inventata, il re conobbe Maria solo dopo il matrimonio: lei non era una bellezza e Sua Maestà ne rimase deluso. Stando così le cose, Luigi rifiutò ogni contatto con la moglie la quale subì stoicamente l’umiliazione e il disprezzo del coniuge. Le qualità della regina, umanità e sensibilità, che non interessarono al marito furono apprezzate da Marguerite Goubillon, sua dama di compagnia, la quale si legò sentimentalmente alla sovrana.
La colta e raffinata contessa Teresa Guiccioli, figlia del conte Gamba-Ghiselli, per volere paterno sposò il vecchio conte Alessandro Guiccioli, attempato e “all’antica”, oltre che bigotto e poco galante. Teresa desiderosa di conoscere gente allegra e di sentirsi corteggiata si trovò inguaiata in un matrimonio mai non consumato. Dopo anni di cruccio, superando, come scrisse nell’autobiografia, le “ipocrite” leggi morali, Teresa divenne l’amante del poeta Byron.
Re Carlo Alberto soffrì l’amarezza di un amore contrastato che lo rese più austero e depresso. La ragion di Stato impose che sposasse Maria Teresa d’Austria, verso la quale non provava trasporto, mentre Carlo amava, riamato, la contessa Maria Antonietta Truchsess di Robilant, moglie di uno dei più prestigiosi ufficiali della corte torinese. Questa liaison durò più o meno segretamente oltre vent’anni.
Nel ‘900 un altro Savoia, Umberto II dovette sposare Maria José, che lui non amava. Sebbene la sposa avesse molte qualità, esse non rispondevano ai requisiti che il principe cercava in una compagna. Umberto, che era innamorato dell’attrice Carla Mignone, in arte Milly, non si rassegnò mai ad avere per moglie Maria Josè.
Sono tanti i Paesi nei quali, e non solo per motivi dinastici, ancora il marito o la moglie vengono imposti. In India, per esempio, il partner è quasi sempre scelto dai genitori. In quel Paese l’amore è una faccenda secondaria nel contratto matrimoniale e alla donna è chiesto di realizzare qualche piccolo lusso per il marito. Spesso nel contratto essa s’impegna a procurare al coniuge un televisore o uno scouter. Se dopo non riesce a farlo, viene malmenata dai familiari dello sposo, e in qualche caso uccisa per dar modo allo sposo di trovare un’altra donna che gli procuri ciò che la precedente non era riuscita a fargli avere.
Non solo l’unione imposta, ma anche la scelta sbagliata del partner comporta problemi. Può accadere che il partner “errato” dopo un po’ non sia più come agli inizi: diventa iracondo, senza attenzioni, e persino manesco. A volte è la donna a non mantenere le doti di dolcezza e di comprensione manifestate in precedenza. In questo modo dissapori, malumori e incomprensioni fanno da sottofondo quotidiano all’unione.
La scrittrice Tina Pizzardo, personalità intelligente e indipendente, ebbe una crisi esistenziale quando comprese che il suo partner, Cesare Pavese, era per lei l’uomo sbagliato. Tina si era illusa che sarebbe stato la sua guida, il suo riferimento culturale e psicologico. Purtroppo Cesare, nell’intimità, si dimostrò immaturo e infantile. La scrittrice sopportò per un po’ l’ipocondria dello scrittore perché, avendo compreso che Cesare era fragile, provava sensi di colpa a troncare quel menage. Ma poi, avvertendo che la sua vita accanto a quell’uomo peggiorava giorno per giorno, tagliò il “cordone ombelicale” che la univa a Pavese, il quale, come la scrittrice affermò, «era sempre più in preda a devastanti autocommiserazioni e implorava amore, come un cane che guaisce».
Lola Montez a quindici anni fuggì dal collegio e sposò un capitano di marina; ma la sua impulsività le fu cattiva consigliera: l’uomo si dimostrò rude e violento. Quando la Montez chiese l’aiuto dei parenti per liberarsi dal marito costoro le impedirono di troncare il matrimonio: «la donna è l’angelo del focolare e non deve mani abbandonarlo». A Lola non rimase che subire le insolenze di quel mascalzone. Ma alla fine, disperata, fuggì dal torturatore, studiò danza classica e divenne una diva apprezzata.
Il suo senso di libertà e la sua gioia di vivere avevano avuto il sopravvento.
Lucia Bosé comprese poco dopo avere sposato Dominguin che s’era messa con l’uomo sbagliato. Tuttavia, legata ai principi e ai pregiudizi borghesi, si rassegnò. Il toreador che per conquistarla aveva sfoderato le sue arti di seduttore, dopo le nozze, non solo tornò ad essere il consueto conquistador de mujeres, ma prese a snobbare la moglie che non accettava la “coppia aperta” e a esibirle, forse anche per sfregio, apertamente e con crudele narcisismo, le proprie plateali distrazioni. Dopo dieci anni, stanca e avvilita, Lucia trovò la forza per dividersi da quell’uomo.
La scrittrice Lietta Tornabuoni desiderando emanciparsi in fretta si sposò a 18 anni, ma si accorse poco dopo di avere commesso un errore. Li per li non ebbe il coraggio di separarsi, in seguito riuscì a farlo: «Dopo sei anni ho trovato la forza per troncare. Da allora non sono più vissuta con un uomo. Non che non sia stata più innamorata, o che non abbia avuto legami felici, li ho avuti, ma con la libertà interiore di “mollare” se non andavano più bene».
Purtroppo anche quando la scelta avviene liberamente e personalmente può risultare sbagliata. In molti casi però il buon senso e la buona volontà di entrambi riescono a salvare la coppia, in altri, invece, nessun accomodamento e nessun compromesso risulta possibile, e tuttavia, alle persone troppo preoccupate di fare “una brutta figura sociale” è difficile troncare persino il rapporto più sgradevole e insopportabile.
Ma saper spezzare la catena a volte fa la differenza tra una vita serena e una infelice.
Le crisi festive della coppia (26)
Le domeniche, il Natale, il Capodanno, le vacanze estive e le ferie lavorative spesso non sono occasione di relax ma più di frequente sono motivo di stress.
Considerazioni queste che troviamo in riflessioni di vari autori.
Uno degli psicoanalisti più noti alla fine dell’800 e amico personale di Freud, Sandor Ferencszi, ha scritto in proposito un saggio molto interessante: La nevrosi della domenica, in cui sottolinea come, anche statisticamente parlando, è quello il giorno della settimana in cui, paradossalmente, la gente è più nervosa e depressa, proprio perché non “ è distratta dal lavoro ed è costretta a rimanere a casa”.
Del resto, se si legge con attenzione e senza preconcetti la celebre poesia di Giacomo Leopardi Il sabato del villaggio si può rilevare come anche il poeta avesse intuito l’effetto pernicioso e depressivo che il momento della festa ha sull’umore della gente, la quale, a quel punto, attende il giorno lavorativo per riassestare il proprio animo.
Parlando del sabato, il poeta scrive: «Questo di sette è il più gradito giorno- pien di speme e di gioia:- dimani tristezza e noia recheran l’ore – e al travaglio usato ciascun il suo pensier farà ritorno»
In altri termini il Leopardi ritiene che l’attesa della festa è piena di letizia, ma che la domenica in cui “tristezza e noia” assalgono l’animo della gente, spinge il pensiero all’indomani, lunedì, giorno lavorativo.
E ancora: J. P. Sartre nel romanzo La nausea, descrive in maniera emblematica la noia e l’incomunicabilità con cui la gente trascorre la domenica. Il tema della solitudine domenicale, inserito in una vicenda agrodolce, è anche quello tracciato da John Schlesinger nel film Domenica, maledetta domenica, affresco di vita borghese triste e malinconica, tra isolamento, perbenismo e nevrosi. Nel film, la persona amata deal protagonista, quando il rapporto s’interrompe, rimarrà “per sempre” dolente, soprattutto la domenica, giorno in cui ha più tempo di pensare alla propria solitudine.
E se le crisi festive mettono sotto pressione le coppie regolari, ancor più penose e devastanti sono quelle che si sprigionano nelle coppie irregolari.
Lo sapeva bene il regista Federico Fellini che “inventava” mille scuse a Giulietta Masina nei giorni di festa per poter trascorrere con Anna Gugliemini, la donna “nascosta” alla quale era fu legato per oltre trent’anni della sua esistenza.
Spesso, infatti il regista accampava “importanti impegni” durante le feste, dicendo di dover fare urgentemente dei sopralluoghi (che immancabilmente lo portava lontano da casa) per ispirarsi all’ambientazione più idonea per gli esterni di qualche suo film che aveva in lavorazione o che doveva fare in seguito.
Ciò accadeva improrogabilmente proprio durante le feste. Infatti, conoscendo il carattere di Giulietta e sapendo che era pantofolaia e che mai e poi mai si sarebbe disturbata a seguirlo, Federico scompariva da casa e si installava nell’appartamento di Anna che, proprio durante le feste lo voleva vicino perché sentiva maggiormente la mancanza dell’amato.
Sfibrante fu, com’è ormai noto, anche la vita di Vittorio De Sica nei periodi di festa. Poiché era legato a due donne (Giuditta Rissone e Maria Mercader) dalle quali aveva avuto dei figli e con le quali aveva messo su due famiglie, nelle sere di Natale, di Capodanno e nel giorno di Pasqua, il regista “era costretto”, per non dispiacere a nessuna delle due donne, e soprattutto per non creare disparità tra i figli, a partecipare a doppi cenoni e doppi pranzi natalizi e pasquali nelle due famiglie.
Ma, a parte queste buffe situazioni, il dì festa è, per un assurda disposizione dell’animo umano, occasione più di litigi che di tranquillità: difatti è il giorno in cui si ha più tempo di osservare i comportamenti del partner, il periodo in cui, avendo più occasioni di stare assieme, vengono messi sul tappeto le esigenze e le recriminazioni reciproche dei partner. È il tempo in cui la coppia litiga perché “lei” vorrebbe che “lui”, dal momento che è a casa ed è libero dagli impegni di lavoro, dedicasse più tempo ai figli oppure aggiustasse “il cassetto dell’armadio che da tempo non si apre bene”, mentre “lui” aveva sognato di dedicare quel periodo ai suoi hobby.
Contrasti sorgono quando la coppia deve decidere se passare la notte di Natale a casa dei genitori di lui o dei genitori di lei, o quando deve stabilire come spendere la tredicesima.
Le statistiche parlano chiaro: durante le festività e le vacanze, a causa della maggiore tensione, aumentano le conflittualità e i litigi di coppia.
Del premier inglese Winston Churchill si racconta che la domenica “era intrattabile” e che in quel giorno sua moglie cercava ogni scusa per andare a trovare i propri parenti.
Sibilla Aleramo annotò nel suo diario che i maggiori litigi con alcuni dei suoi numerosi partner li ebbe proprio nei periodi in cui entrambi trascorrevano le ferie assieme.
L’istrionico Gabriele D’Annunzio poco dopo aver sposato Maria Hardouin, affermò di sentirsi imborghesito e avvinto «dalle catene avvilenti della monotonia e della noia, soprattutto nei giorni delle feste borghesi».
«Imborghesendomi, mi era venuta meno la fantasia» affermò. Inutile dire che il suo matrimonio, con quelle premesse, durò molto poco.
In seguito D’Annunzio cercò di “riscattare quella noia” con passioni travolgenti, dalle quali, affermava, poté trarre occasione per raggiungere nuove vette artistiche.
La madre dello scrittore siciliano Federico De Roberto teneva le fila della vita dei suoi figli, e s’intrometteva in ogni loro scelta e decisione. De Roberto era assillato da quella madre possessiva e gelosa che non gli permetteva di convivere con Pia Vigada, la quale non era riuscita ad entrare nelle grazie della vecchia De Roberto. Il divieto della madre angosciava Federico soprattutto nei giorni di festa, che “la sua signora madre” gli imponeva di passare in famiglia, mentre lui avrebbe voluto andare a trovare Pia. Ma Federico non ebbe mani il coraggio di ribellarsi a quell’oppressione né di assentarsi da casa nei giorni di festa e così lasciava sola la Vigada che dovette subire per anni “l’orrore dei giorni di festa”. Infatti, diceva De Roberto, erano in occasione di quei giorni che tra lui e Pia si creavano i motivi di maggiore tensione e i litigi più duri.
Insomma per un motivo o per l’altro, i periodi di festa finiscono col creare molti problemi alla coppia. Scrive Charles Baudelaire in Mon coeur mis à nu : «Bisogna lavorare, se non per gusto, almeno per disperazione. Infatti, tutto ben considerato, lavorare è meno noioso che divertirsi»
E forse sono in molti a pensarla in questo modo, tant’è che, alla fine delle festività, non è insolito sentir dire alla gente: « Meno male che è finita; ora si torna al lavoro».
L’innamoramento dei letterati e l’amore nella realta’ (27)
Nelle loro opere gli scrittori descrivono gli aspetti più esaltanti dell’amore, con sfaccettature elettrizzanti e in qualche caso praticamente irrealizzabili. I romanzi raccontano amori teneri, dirompenti, ambigui, mistici o contraddittori, amori che travolgono e che coinvolgono tutta la vita. Secondo D’Annunzio l’amore è un turbine. Saffo lo considera ambiguo. Tolstoij fornì un esempio del potere dell’olfatto sull’amore e sulla sessualità. In Guerra e Pace il principe Pierre, ballando con Elena, si sente così attratto dal profumo della pelle di quella donna tanto da non poter fare a meno di chiederle di stare con lui.
I poeti e i romanzieri sono spesso amanti appassionati. Le memorie di Casanova sono un caleidoscopio di amori e di congiungimenti, vissuti nella realtà dall’Autore.
D. H. Lawrence descrisse in L’amante di lady Chatterley la sua vicenda personale: sua moglie lo tradiva ed egli volle giustificarla, così come fece per Lady Chatterley. Anaïs Nin racconta in Incesto la sua drammatica passione.
Spesso gli scrittori traducono l’esperienza sentimentale in poesia, in romanzo, in diari, con toni appassionati, o malinconici, o esaltati. Per i romanzieri e per i poeti l’amore è la cosa più seria della vita. Guido Guinizzelli afferma che: «Al cor gentile ripara sempre Amore». E Guido Calvalcanti rincara: «Io non pensava che lo cor giammai/ avesse di sospir’tormento tanto».
L’amore è una dolcezza che prende il cuore: «Amor e ‘l cor gentile sono una cosa» dice Dante Alighieri nella Vita nuova. Ma Dante, oltre che “innamorato letterario” fu uomo che non tralasciò mai di avere concrete relazioni. Così se da un lato “amava” in maniera celestiale Beatrice, dall’altro ebbe moglie e figli, e, pare anche qualche avventura nel suo girovagare per l’Italia.
Per Francesco Petrarca l’amore determina la qualità della vita. Dalla tristezza di un amore che non poté realizzare, Petrarca sviluppò una indagine psicologica che coinvolse ogni sua esperienza. Il poeta incontrò Laura nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone e la immortalò nel suo Canzoniere. Quell’amore spirituale, non corrisposto, suscitò in lui il senso della labilità della vita. Le pene d’amore sono smarrimento, tristezza di vivere, dramma di morte. Laura è il centro dell’universo, come ogni donna per lo spasimante. Al Petrarca, la passione per Laura durò, tra esaltazione e disperazione, vent’anni, e cessò con la morte della donna. Fu un amore che ebbe picchi e abissi di disperazione, ma fu il carburante che fece lievitare l’ispirazione di quell’artista.
Cosa abbia provato Laura per Francesco Petrarca, e come ella lo abbia accolto, si può solo immaginarlo. Laura, compiaciuta dall’insistenza con cui il poeta le offriva il suo amore, influenzata dall’idea cristiana di dare una mano agli afflitti, oscillò tra il diniego e la trasgressione. Ad un certo punto sembrò che Laura stesse per cedere alle lusinghe del poeta; ma poi, forse perché era maritata, forse perché spaventata dall’audacia dello spasimante, si ritrasse. Forse un’altra ragione più banale la frenò: secondo alcuni studiosi Laura non era attratta fisicamente dal suo spasimante perché lo trovava goffo e senza fascino.
Petrarca, non avendo risolto la conflittualità tra amore celestiale e necessità terrene, malgrado si struggesse per Laura, intratteneva varie relazioni con altre donne, dalle quali ebbe anche dei figli. Come si vede, anche animi sentimentali come quello del Petrarca vivono le contraddizioni della passione!
Quando Giovanni Boccaccio s’innamorò a prima vista della sposa di un nobile, Maria dei Conti D’Aquino, incontrata in una chiesa di Napoli, diversamente da ciò che era capitato a Dante e a Petrarca, da uomo pratico, ne fece la sua amante.
Con il Boccaccio, infatti, la donna-angelicata, fonte di virtù, di rispetto, di purezza, di trepida adorazione e di bellezza irraggiungibile, prende una svolta terrena e l’amore non è più solamente sentimento celestiale, ma passione mondana. Poiché la sofferenza amorosa provoca tensione, Boccaccio pensava che separare l’amore dal desiderio è alquanto frustrante, tant’è che per lui fu impossibile negare la complementarietà di eros e sentimento.
Nell’800, Dostoevskij appena uscito dal carcere, dove era stato rinchiuso per le sue idee politiche, e dove aveva rischiato il plotone di esecuzione, incontrò e subito sposò Marija Dimitrievna, vedova di un ufficiale. Fëdor s’invaghì sensualmente di quella signora che forse rappresentava l’ideale femminile che egli aveva “sognato” in carcere. Placata la furia dei sensi, anche a causa di una grave malattia di Marija, lo scrittore abbandonò la moglie e intraprese un viaggio in Europa con un’altra donna, la effervescente, brillante e giovane Apollonija Prokof’evna Suslova, che gli esaltava l’istinto d’avventura e lo travolgeva eroticamente.
Per lei Dostoevskij scialacquò quasi tutto il proprio patrimonio. Apollonia rappresentava il fascino dell’imprevisto, l’azzardo che accendeva la sensualità. Lo scrittore fu travolto da quella avventura amorosa. In seguito Dostoevskij, che tuttavia non viveva solo di sensualità e d’avventura, rimase affascinato dalla purezza della ventenne dattilografa Anna Grigor’evna Snitkina, che aveva assunto per dettarle la prima stesura de “Il giocatore”. Le doti intellettuali e la bontà d’animo della giovane affascinata dal talento del grande artista, toccarono l’animo di Fëdor, il quale, mortagli la moglie, pensò di sposare la segretaria. Anna rimase la sua devota e solerte custode del resto della sua vita.
In un certo senso, lo scrittore russo affermò di aver percorso grazie alle tre donne più importanti della sua vita, un itinerario sentimentale “completo”: egli passò dalla sensualità con la vedova Dimitrievna, all’estrosità passionale con Apollonija per approdare infine all’amore maturo e intellettuale con Anna.
Ma se questo tragitto passionale procurò allo scrittore una maturazione sentimentale, è probabile che il suo modo di fare, come accade in questi casi, non riscosse consensi nelle sue partner!
Sensuale fu l’idea dell’amore in Luigi Settembrini. Il letterato e patriota napoletano, ingegno illuminista e oppositore della tirannide, è ricordato per la sua azione rivoluzionaria ma non per la sua gioiosa sessualità. In carcere Settembrini scrisse un libro, I Neoplatonici, racconto erotico che narra un amore nella antica Grecia. Di quell’opera Benedetto Croce escluse la pubblicazione e de I Neoplatonici e non se ne parlò più in letteratura.
Wolfgang Goethe, innamorato raffinato ne Le Affinità elettive evoca amori celestiali e sintonie perfette. Le più belle poesie di Goethe scaturirono dalla immensa capacità di quell’autore di provare sempre nuove ebbrezze d’amore. Ma nella realtà Goethe non credeva alla “costanza” sentimentale: « È un cliché voluto dall’ipocrisia» diceva. A settantatre anni il poeta chiese la mano della diciannovenne Ulrike Levetzow.
Tuttavia, nei romanzi l’amore è considerato un dono concesso una sola volta nella vita. A volte è persino un sentimento che conduce alla follia, come nella vicenda descritta nell’Orlando Furioso. Orlando, innamorato di Angelica, perde il senno perché lei gli si nega. L’amore quotidiano è meno letterario; frammisto a problemi pratici, spesso è condizionato dalle banalità dell’esistenza. La vita d’ogni giorno fa da filtro e da sordina ai travolgenti amori descritti dalla letteratura e questo serve al buon senso. Tuttavia, molta gente, dominata dalle storie romanzate, non riesce a trovare l’amore perché non s’accontenta più della realtà e pretende di realizzare l’unione scoperta nel romanzo.
Ma confondere la letteratura con la realtà è pericoloso. Del resto, come s’è visto, spesso nemmeno i più sentimentali letterati sono caduti in questa trappola.
Non più maliarde ne’ incantatrici (28)
Nell’immaginario maschile la donna è stata considerata una seduttrice che fa perdere il senno; un essere di cui diffidare. Dalla Eva della Bibbia, all’Angelica della Chanson de Roland, dalle suffragette alla protagonista de La lettera scarlatta, da Mistinguette a Marlene Dietrich, la donna fu vista come “corruttrice”. Affrancate dalla subalternità, oggi invece le donne vivono la loro emancipazione senza troppe restrizioni e senza pettegolezzi.
In passato solo l’uomo poteva condurre la propria vita in maniera emancipata, la donna per non crearsi una cattiva reputazione doveva restare legata alle ferree regole della “irreprensibilità”. E se Federico de Roberto, nel romanzo L’illusione, mise a nudo le difficoltà delle donne ad essere svincolate dai pregiudizi, tuttavia, malgrado maldicenze e restrizioni, nei tempi andati molte donne ebbero il coraggio di vivere in contrasto con quelle regole.
La scrittrice Anne Louise Germaine de Staël, convinta che nessun uomo potesse avere tutte assieme le qualità per soddisfare una donna, e disillusa dal matrimonio col barone de Staël, intrecciò varie relazioni. Ebbero il privilegio della sua alcova: il Talleyrand, il generale Narbonne, il premier del Portogallo, Pietro Souza, Mathieu de Montmorency, Benjamin Constant. «Tutti – affermò Anne Luise Germaine – hanno contributo a farmi provare l’interezza dell’universo maschile». La marchesa Luisa Amman Casati, eccentrica nobildonna che sovvenzionò alcuni movimenti culturali del ‘900, poiché frequentava gli atelier bohèmien degli intellettuali fu bollata come seduttrice pericolosa e trasgressiva.
Georg Sand,scrittrice d’intelligenza vivace e originale, fu amica intima di grandi geni, infisciandosene delle maldicenze. Stessa filosofia quella di Alma Schindeler, moglie di Mahler. «Nel mondo ci sono troppi maschi, ma pochi veri uomini» affermava. E di uomini se ne intendeva: era stata con Burchard, col pittore Klimt, col musicista Von Zemlinsky, con Burchkard, col pittore belga Knopff, col compositore Schrecker, col biologo Kammerer, col pittore Kokoschka con l’architetto Gropius, e persino col reverendo Hollensteiner.
Non meno spregiudicata la scrittrice russa Lou Salomé moglie del glottologo Carl Friedrich Andreas. Spirito indipendente, la sua esistenza fu frenetica, fitta di esperienze sociali e sessuali. Studiosa di straordinaria cultura, amica di Nietzsche e di Rilke, fu allieva di Freud, che la stimolò ad approfondire la conoscenza dell’animo umano.
Pure la scrittrice Violet Hunt, ebbe una vita sentimentale intricata. Amante del pittore George Boughton, del politico Walter Pollok, del medico della Casa reale inglese, del console Oswald Crawfurd, dello scrittore Somerset Maugham, del romanziere G. H. Welles, e del magnate F. M. Ford, Violet non si nascose mai dietro ipocrisie.
La scrittrice Dora Lessing, dal temperamento forte e determinato, nacque in Persia, e visse in Rhodesia e nell’Inghilterra della suffragette, trascorrendo un’esistenza senza conformismi e senza falsi pudori. Le “affettuose amicizie” che ebbe, affermò, contribuirono a farla “crescere” psicologicamente.
Senza convenzionalismi fu l’attrice Léonie Bathiat (in arte Arletty), interprete del film Alba tragica e Les Enfants du Paradis. A chi le contestò d’essere “troppo libera in amore”, rispose: «Nessuno riuscirà a convincermi che amare è un reato». Un’idea condivisa dalla scrittrice Simone de Beauvoir quando affermava che per le donne, forse più degli uomini, è necessaria la libertà in amore, perché le salva dalla solitudine.
Palma Bucarelli, per anni direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma, visse anch’essa da anticonformista tutta la sua esistenza. Agli inizi del Novecento cavalcava, sciava, e “guidava come Nuvolari”. Picasso, De Chirico, Benedetto Croce, Giulio Carlo Argan, Renato Guttuso si legarono a lei con profonda amicizia. Fu confidente di Moravia, di Piovene, di Malaparte, di Flaiano, di Bellonci, di Ojetti.
Le sue passioni, disse, «crearono vicende meravigliose».
Lalla Romano, scrittrice intrigante e sovvertitrice, senza pregiudizi e manierismi, visse immune «da tutto ciò che impedisce alle donne di esprimersi liberamente». Non solo la Romano osò essere anticonformista e “senza veli”, ma affrontò nei suoi romanzi argomenti scabrosi che, a quel tempo, crearono imbarazzo e turbamento.
In un periodo di bigottismo esasperato, nella metà del ‘900, seduttrici e “perverse” furono considerate, forse anche con una punta d’invidia, Lana Turner, Rita Hayworth, Lola Montez, e tante altre che manifestavano schiettamente il loro bisogno di libertà. Di Marlene Dietrich si spettegolò molto e le vennero attribuiti, anche per motivi pubblicitari, molti amanti. Tra essi Jean Gabin, Maurice Chevalier, Erich M. Remarque, Jean Cocteau, Salvator Dalì e Noel Coward. Alcuni erano addirittura omossessuali, altri persino inibiti dalla “diva di ghiaccio”. La disegnatrice di moda Pat Hilton che ha avuto dieci mariti e tante altre storie sentimentali, affermò: «Da ogni uomo ho appreso qualcosa e ad ognuno ho insegnato qualcosa. Esperienze che mi hanno fatto conoscere la psicologia maschile e capire me stessa ». Sulla stessa scia l’attrice ungherese Zsa Zsa Gabor, che sposò nove volte ed ebbe una vita irrequieta tanto da titolare la propria autobiografia: Una vita non basta.
Personalità eccezionale, la scrittrice Anaïs Nin ebbe nei primi del Novecento esperienze straordinariamente trasgressive. Secondo la Nin «molteplici e intime amicizie aiutano a capire se stessi e la vita». Nei Diari, lucida analisi della complessità dei rapporti umani, narra con sincerità imbarazzante le appassionate vicende col marito Hugh, con Henry Miller, con Allendy e con Otto Rank e con altri personaggi di rilievo. Di lei si disse che era l’unica ad avere un harem in cui “i suoi” uomini accettavano di condividerla con altri.
La produttrice cinematografica Maria Cicogna, trasgressiva figlia dell’inventore del Festival del Cinema di Venezia, Volpi di Misurata, e cugina di Luchino Visconti, narra d’avere avuto relazioni maschili e femminili. E’ stata amica di Fellini, Marilyn Monroe, Sean Connery, Richard Burton, Lauren Bacall e Mick Jaggere, e, per venti anni, compagna di Florinda Bolkan. Gianni Agnelli affermò di temerla più di ogni altro rivale, ritenendola una tale rubacuori da batterlo nelle conquiste femminili. Naomi Campbell ha confessato che per lei il bene più prezioso è la libertà, anche in amore. La Venere nera “non sopporta” la vita monotona, e preferisce una esistenza costellata da amori anche tempestosi. Sul punto di sposare Clayton, bassista degli “U2”, Naomi non se la sentì di legarsi “definitivamente”a un solo uomo. In seguito fu col pugile Mike Tyson, e fallito quel mènage, si mise con Robert de Niro, dal quale ha voluto un figlio, con Rahim, figlio dell’Aga Khan e col ballerino Joaquin Cortese. Oggi, donne come l’attrice Julia Roberts, che ha avuto una lunga serie di relazioni, ed è stata compagna di attori, jazzisti, manager, intellettuali, non sono più considerate perniciose corruttrici, ma semplicemente emancipate ed evolute, e in questo campo, ormai, non solo le dive sono libere di comportarsi come meglio ritengono. Per cui non solo non fa scandalo Mariangela Melato quando afferma di crescere bene “con una varietà di partner” e senza subalternità col maschio, ma, sgombrati pregiudizi e ipocrisie, nemmeno il privato di molte donne crea “scompensi”. Infatti, ciò che faceva scalpore non fa più notizia.
Le ragazze per trovare l’anima gemella passano da una esperienza all’altra senza sentirsi in colpa come accadeva alle loro nonne e senza essere ingiuriate. Nel XXI secolo grazie alla parità tra i sessi le donne gestiscono le proprie esperienze quasi senza danno d’immagine. In qualche caso però sull’onda del non conformismo vengono proposti messaggi maliziosi che inducono ad equivoci e rendono caricaturali certe banali esternazioni di “libertà”. Alcuni spregevoli prodotti “letterari” approfittando furbescamente del chiasso che si fa attorno a loro veicolano monotone e banali situazioni pornografiche come l’Autobiografia della “intellettuale” parigina Catherine Millet, best-seller venduto in questi giorni in migliaia copie, che ostenta un equivoco senso della libertà, che in pratica si riduce al racconto di una serie di amplessi realizzati dall’autrice senza coinvolgimento. Se la donna emancipata non è più ritenuta né pericolosa maliarda né spregevole seduttrice, bisogna però stare attenti a non dare della donna moderna, come fa purtroppo la Millet, un’immagine grossolana, inutilmente provocatoria e negativa. Ciò potrebbe incoraggiare la recrudescenza del maschilismo
I litigi nella coppia (29)
Nella coppia male assortita, ma anche in quella più affiatata, molteplici sono i motivi che sollevano battibecchi e discussioni e ciò anche perché ogni partner possiede un proprio patrimonio di comportamenti e di convinzioni che non sempre è in sintonia con quello del compagno o della compagna.
Un tempo il litigio tra coniugi era più ritualizzato, magari con alcune varianti poco significative. Tuttavia, non essendoci il divorzio, non c’erano molti rischi che si potesse arrivare ad una rottura completa. Così, poiché difficilmente era possibile pervenire alla strappo definitivo, gli alterchi erano anche aspri e duri, ma ciò non metteva a repentaglio la perdita dello status coniugale. A volte tra alcuni partner si manteneva per anni un duro scontro quotidiano, e ciò accadeva nella consapevolezza che qualsiasi dissapore non avrebbe potuto mettere fine al sodalizio.
Oggi le unioni sono più instabili perché la società non ha il “controllo” della indissolubilità del matrimonio, e così persino una “ferita psicologica” può portare alla rottura. Di conseguenza i partner sono più cauti in fatto di litigi.
Il conflitto esplode soprattutto quando nel vivere quotidiano si delinea una aperta opposizione tra le personali predilezioni dei partner, e ognuno di essi percepisce con “irritazione” la “mancanza di rispetto o di libertà individuale” che, col proprio modo di fare o di pensare, gli manifesta l’altro.
Se da un lato la coppia, per una tacita intesa, e come ha appreso dall’imperante romanticismo culturale, immagina che vi debba essere una “fusione fisica e spirituale”, e che lei e lui si devono sforzare di perdere la loro individualità per finire con l’essere un tutt’uno, dall’altro, però, in pratica, la tendenza è quella di delineare, dopo i primi fuochi passionali, e riaffermare le due diverse personalità.
Trascorso qualche tempo, dunque, i partner hanno una brusca rivelazione: ognuno dei due si “accorge” che l’altro ha modi di pensare e di fare inaccettabili. La donna rileva che l’uomo mostra minor slancio affettivo di quanto non ne avesse nei primi tempi, che è distratto da problemi che nulla hanno a che fare con la coppia, che non si comporta con la stessa intimità di un tempo, che l’ascolta distrattamente, e che a casa è sempre più disordinato, obbligandola così a un maggior lavoro domestico.
Secondo lui, invece, lei ha perso la “vernice” iniziale: non cura più la propria immagine come una volta, s’accosta al sesso sempre meno entusiasta e sottopone al partner una serie di problemi “banali” che, afferma lui, potrebbe e dovrebbe risolvere da sola.
Emerso l’inevitabile disincanto, se però i partner hanno buon senso, il rapporto si trasforma in pacata ed equilibrata “convivenza” ed entrambi partner, “cedendo” in qualcosa, ridefiniscono ruoli e aspettative. Ma se i due restano ostinatamente saldi nelle loro posizioni, si apre un contenzioso che cronicizza il malessere del rapporto fino alla rottura.
Tuttavia non sono necessariamente i contrasti “forti” quelli che mettono fine al sodalizio. Più i partner sono immaturi e più bisticciano per quisquilie: litigano perché lo stufato è bruciato, perché la suocera istiga il figlio contro la nuora, perché lei nel rassettare la scrivania di lui gli crea “disordine”, perché stando troppo nel bagno la mattina “lei” impedisce a lui di arrivare puntuale al lavoro, etc. etc.
I conflitti interni alla coppia possono, fino ad un certo punto, essere anche considerati “fisiologici”, come una componente intrinseca di ogni rapporto. Anzi a volte, certe “scenate” e certe scaramucce possono essere addirittura “liberatorie”.
Ma quando l’insoddisfazione è profonda, quando all’altro sfugge del tutto la causa del malumore del suo partner, quando il conflitto tocca l’intimo della trama coniugale, quando gravi e fondamentali problemi, irrisolti e mai discussi, restano nella stiva della coppia senza venire allo scoperto, quando alle scenate si sostituiscono i silenzi e l’indifferenza, quando il gelo caratterizza la comunicazione tra i partner, allora qualsiasi screzio può diventare prima o poi motivo di rottura.
A volte la coppia non si sfalda, ma uno o entrambi i partner finiscono col “comunicare altrove”. In qualche caso non c’è nemmeno bisogno di forti contrasti: anche le disillusioni e l’abitudinarietà quotidiana sono spesso alla base delle sbandate. Che si tratti di una emozione passeggera o di un legame più profondo in questi casi la coppia iniziale va inevitabilmente alla deriva oppure ridisegna un nuovo equilibrio.
Il processo di distacco comincia a volte dopo qualche mese, a volte dopo i primi anni. In qualche caso appare improvvisamente persino quando la coppia sembrava del tutto collaudata da decenni di convivenza.
Un malessere, questo disincanto, che paradossalmente è anche dovuto alle nuove esigenze della società contemporanea la quale ingiunge continuamente e con ogni mezzo, media letteratura cinema, ad essere se stessi, e a favorire la propria personalità. Si chiede che il singolo, con la sua esclusiva e indipendente inventiva faccia emergere valori esclusivi; si privilegia la libertà individuale e le iniziative frutto di ingegno personale e di punti di vista singolari, ma esortando proprio questi comportamenti si viene a creare uno stridente contrasto col romantico modo di vedere la coppia.
Questi suggerimenti trovano dunque paradossalmente dei limiti nell’abitudine dei partner di perdere gli spazi personali e confluire in un unicum nel rapporto a due, richiesta questa che pretende una omogeneizzazione delle due individualità affinché gestiscano meglio e con “comunione d’intenti e di idee” la vita della coppia.
Oggi più che mai, dunque, il singolo è sottoposto a un ambiguo bersagliamento sociale: da un lato è richiesta una maggiore amalgama coniugale, dall’altro il singolo è stimolato a rifiutare questa perdita d’identità e a mettere in luce, invece, la propria libertà di pensiero e la sua singolarità di espressione.
È forse questo il motivo per cui sono molte le persone che si attestano nello status di single e non si imbarcano in un rapporto nel quale, con palese incongruenza, è in pratica richiesta e sottintesa una doppia personalità: una utile alla coppia e un’altra alla propria carriera e alla propria affermazione nel mondo.
Questo motivo fa sì che, contrariamente a ciò che accadeva nel passato, in cui i partner si scambiavano, ma senza prendersela troppo, umiliazioni e ferite, oggi che si propagandano, anche all’interno della coppia, valori come “lo spazio personale”, la “privacy”, “la propria libertà e la propria fantasia”, anche in presenza di piccole violazione di tali diritti si arriva alla separazione.
Per diminuire l’insoddisfazione di coppia, alcuni partner trovano il loro equilibrio in una serie di litigi soft, che danno modo ad entrambi di esternare le propri rimostranze e i propri disagi, senza con ciò mettere in moto gravi meccanismi di rottura.
Diceva lo scrittore inglese G. B. Shaw, famoso per il suo umorismo: «Il miglior sistema per non azzuffarsi con la propria compagna è quello di non vivere con essa, ma se proprio è necessaria la convivenza, almeno si conceda ogni tanto un sano litigio»
Ma G. B. Shaw non si sposò mai.
Menage strani e inconsueti
Spesso sono davvero inimmaginabili le situazioni che inducono due persone a far coppia. Alcune sono così inverosimili, che nemmeno la penna di uno scrittore oserebbe formulare.
Negli anni Venti del XX secolo, fu oggetto pettegolezzi il matrimonio tra il newyorkese Robert McAlmon, critico d’arte e letterato, e l’aspirante attrice Annie Winifred Ellerman, figlia di un magnate dell’industria inglese. La ragazza aveva avuto varie esperienze omosessuali e quando confidò la cosa all’amico McAlmon, costui le disse che non gli interessava andare a letto con lei, ma aveva solo bisogno di soldi. Annie stipulò con Robert un accordo: egli non le avrebbe impedito di avere rapporti omosessuali e lei gli avrebbe passato parte dei soldi che le dava il “paparino”.
I due si sposarono sperando così di risolvere ognuno il proprio problema: Robert venire in possesso di una ingente somma di denaro, Annie sfuggire all’ossessivo controllo del padre, e vivere liberamente la propria condizione sessuale, all’ombra di un matrimonio che la proteggesse da maldicenze.
Per qualche tempo i due coniugi andarono d’accordo, tant’è che Annie poté scrivere e pubblicare poesie e romanzi sotto lo pseudonimo di Bryher. Robert girò, a spese della moglie, per tutta Europa, incontrando i talenti più vivaci del tempo. Fu amico di Eliot, di Yeats, di Hemingway, di Geltrude Stein, di Pound, di Dos Pasos e di tanti altri che lo aiutarono nella sua ascesa artistica.
Su questi incontri McAlmon pubblicò un libro, Being Geniuses Together che non ebbe successo e Robert, disperato, divenne sempre più acido e aggressivo tanto che Annie non sopportandolo più divorziò.
Alla fine dell’Ottocento, un legame ambiguo si sviluppò tra il poeta e romanziare inglese Thomas Hardy con la scrittrice Emma Lavinia Gifford.
Sebbene Emma si dichiarasse omosessuale, Hardy, volle combattere «il tragico mistero del destino umano e l’ipocrisia della società», e si legò a lei. Qualche anno dopo i coniugi colti da un’improvvisa angoscia entrarono in crisi. Somatizzando il loro scontento, furono entrambi preda di malesseri psicofisici. Hardy “per salvarsi” intrecciò varie relazioni, tra cui, quelle con Florence Heniker e con Emily Dudgale. Quando Emma morì, Handy, come svegliandosi artisticamente da un letargo lungo trent’anni, dedicò alla sposa perduta una serie di bellissime poesie.
Tra il regista Fritz Lang e sua moglie Thea von Harbou fu un’unione anomala. Malgrado i due non andassero mai d’accordo e litigassero perché di sensibilità e dì temperamenti discordanti decisero di sposarsi. Ma gli scontri tra i due, dopo il matrimonio, si trasformarono in conflitti ideologici. Thea, che era iscritta al partito nazista, non sopportando il pacifismo del marito, lo denunciò alle SS come ebreo. Lang si salvò perché, avvertito da un amico, fuggì, prima in Francia e poi negli Usa.
Elizabeth Taylor, raccontando la propria vita sentimentale alla rivista Talk, ha confessato che poche settimane dopo il suo primo matrimonio, quello con Nicky Hilton, erede della grande catena alberghiera, suo marito si mostrò quale era veramente: un alcolizzato e una persona brutale. Le sbornie di Nicky portarono inevitabilmente a dissapori e a dissidi violenti tra i due coniugi. Durante tali litigi il marito prendeva Elizabeth a calci e pugni. La diva, non sapendo di essere già incinta, perse il figlio proprio a causa di una pedata all’addome che le sferrò suo marito.
Dopo aver divorziato da Hilton la diva, che ha avuto otto mariti, sposò il senatore della Virginia John Warner, il quale risultò un uomo ossessionato dalla carriera politica, per nulla interessato alla vita familiare, e soprattutto, anche un alcolizzato.
Questa volta però la Taylor troncò subito il ménage.
Carlos Monson, fu un pugile molto noto che vinse il titolo dei pesi medi nel 1970. Nel 1977 Monson girò anche un film in Italia, Il conto è chiuso. Era però un uomo violento, dedito all’alcol e alla droga. Finita la relazione con la prima moglie, s’innamorò dell’attrice Susanna Jimenez figlia di un noto industriale sudamericano, ma sua moglie, temendo che gli passasse più gli alimenti, gli sparò un colpo di pistola che lo ferì nel braccio. Non meno turbolenta risultò la sua unione con Susanna, con la quale litigava quasi quotidianamente e che trattava in maniera inqualificabile. Quando nel 1988 Monson lasciò Susanna, si legò ad Alicia, ma le cose con questa donna non andarono nemmeno bene, tant’è che il pugile venne accusato di aver strangolata e gettata dal balcone la moglie dopo un violento alterco.
Un ménage alquanto strano fu quello tra Coco Chanel e Igor Stravinsky. L’unione durò solo un’estate, quella de 1920. Chanel aveva ospitato Igor Stravinsky nella propria villa di Garches, alle porte di Parigi. Il compositore, allora povero e spiantato, era sposato con Catherine, malata di tisi, che, malgrado questo, gli aveva dato quattro figli.
Igor e Coco erano due personalità eccentriche ed egocentriche. Chanel era insicura, ambiziosa, capricciosa, anche se a modo suo generosa. Igor era arrogante, altezzoso, poco incline alla vita familiare, annoiato dalla una moglie che definiva “piatta e senza trovate interessanti, e del tutto disinteressato ai figli. L’incontro tra i due rinvigorì in ognuno di essi la necessità di creare qualcosa di nuovo.
Pare che Chanel caricata dalla presenza del compositore, avesse prodotto proprio quell’anno il profumo che le diede fama e ricchezza, lo Chanel n° 5 e avesse inventò i capelli corti. Igor, stimolato da Coco, compose tre Sinfonie per strumenti a fiato, e “ricomposto” la Sagra della Primavera, che nel 1913 era stato un vero e proprio fiasco. Igor non solo ricreò la Sagra, opera per la quale è più ricordato, ma diede inizio al suo nuovo stile, che lo portò per circa un trentennio a comporre musiche prendendo spunto da rifacimenti di temi di autori classici (Bach, Mozart, Ciajcovskij, Gounod, Weber ,Rossini etc etc.). Il rinnovamento del “vecchio” stile, nella nuova, moderna concezione della musica fece di Stravinsky uno degli autori più importanti del XX secolo.
Queste due personalità, così forti, egocentriche e autonome, erano destinate a non legare per lungo tempo. Sebbene entrambi in pubblico si mostrassero compassati e contegnosi, in privato s’insultavano e recriminavano l’un l’altra su ogni comportamento e condotta del partner. Una vita infernale che non durò molto: i due si lasciarono senza rimpianti. Da quel momento dissero ognuno “peste e corna” dell’altro.
In molti casi, purtroppo i partner si scrollano da dosso tutte le responsabilità della mal riuscita del legame e le fanno ricadere sul loro compagno o sulla loro compagna. La verità è che sebbene entrambi hanno finito col logorare il rapporto, nessuno è disposto ad ammettere le proprie colpe mentre tutti sono propensi a giustificare la propria condotta.
Il “genere” maschile e quello femminile (30)
In passato uomini e donne sono stati sollecitati a comportarsi secondo lo stereotipo del modello sessuale imposto dalla società. Maschi e femmine dovevano assumere ruoli rigidi e mostrare di sé “la figura che la società pretendeva che avessero”, in quanto vigeva una divisione drastica e grossolana tra il “maschile” e il “femminile”.
Il maschio non doveva eseguire faccende tipicamente femminili; se lo faceva perdeva non solo la faccia ma quasi la propria identità. Oggi, invece, molti mariti si dedicano alle incombenze di casa, cambiano i pannolini ai figli, portano la prole con il passeggino, senza con ciò decadere dallo status “maschile”. Dal canto loro le donne guidano jet militare, stanno a capo di aziende, s’interessano di meccanica, fanno i giudici; molte vivono da sole e gestiscono la loro privacy come credono, non modificando con ciò, per nulla, l’immagine della loro femminilità.
L’identità di genere, cioè la percezione intima dell’appartenere al genere maschile o femminile, è cosa alquanto differente dall’assumere comportamenti esteriori stereotipati ed approvati dalla comunità. L’identità di genere è di natura fisiologica e, se si vuole, in qualche modo psicologica, ma non riguarda i punti di vista culturali, la filosofia della quotidianità, le attitudini lavorative, le credenze e le ideologie, e nemmeno la gestione dell’eros. Questi aspetti della vita non richiedono particolari distinzioni nei sessi.
In passato, però, chi non uniformava la propria appartenenza sessuale alle maniere approvate dalla ipocrisia sociale, aveva la disistima sociale. Quando la scrittrice George Sand indossò, prima fra le donne dell’800, i pantaloni, suscitò uno scandalo enorme, e qualcuno dubitò persino della sua femminilità. Quando l’inglese Mary Wollstonecraft scrisse un’opera che rivendicava i diritti civili della donna, venne aggredita per strada da un gruppo di facinorosi che l’accusarono di occuparsi di una materia, il diritto, che era di esclusivo dominio dell’uomo. Della Wollstonecraft, che s’occupava di ciò che, secondo i pregiudizi, competeva al genere maschile, dissero che era una “femmina abortita”. Di Rosa Luxemburg, che partecipò alle rivolte operaie, i suoi detrattori spettegolarono che non aveva nulla di femminile, nemmeno il corpo. Oggi si è compreso che l’identità di genere non si perde occupandosi in attività che in passato, dovevano invece, per i luoghi comuni, essere differenziate secondo il sesso.
Un tempo, l’uomo che sceglieva per attività la danza era considerato, sol perché si cimentava in un’arte ritenuta prettamente femminile, effeminato e omosessuale. E tuttavia, molti esempi, tra cui quelli di Fred Astaire, di Gene Kelly, di Bing Crosby, di Sergio Japino e di tanti altri danzatori dimostrano che il ballerino non è inevitabilmente omosessuale.
Un tempo si riteneva che persino i cervelli sottostavano a un criterio di “divisione sessuale”. Quello dell’uomo era ritenuto più idoneo a funzioni più sofisticate, e quello della donna ad altre. L’aver postulato una differenza tra cervello maschile e femminile ebbe come conseguenza il relegare la donna a un ruolo subalterno. Inoltre, poiché quello dell’uomo è più voluminoso di quello della donna, si sosteneva che “fosse evidente” la superiorità dell’uomo.
Fortunatamente l’ipotesi della diversificazione tra maschio e femmina su basi cerebrali è venuta meno e le differenziazioni di sensibilità, di comportamento, di caratterizzazione tra uomo e donna non sono più incentrate su concetti come “inferiore” e “superiore” ma su diversificazioni squisitamente psicologiche.
Un tempo la bambina doveva giocare con la bambola e con i tegamini, ritenendosi che, essendo “biologicamente femmina, non poteva che occuparsi di cucina sin da piccola” In altri termini, “l’imprinting sociale” sceglieva per lei quale doveva essere il suo gioco preferito. E se alla piccola piaceva correre dietro al pallone, o se prendeva in mano il gioco del meccano era redarguita e rimproverata: «Non sei mica un maschiaccio!». Questa frase erigeva una barriera sociale di carattere sessuale con conseguenze per tutta la vita della donna.
Concetti come «l’uomo è coraggioso», «la donna è debole», «l’uomo ha iniziative», «la donna è passiva», «l’uomo libero sessualmente non si scredita, la donna invece si» erano il risultato di stereotipi influenzati da una società che differenziava i sessi oltre ogni ragionevolezza, attribuendo all’uomo e alla donna attitudini, gusti, capacità del tutto differenti.
Persino il contributo allo svolgimento della storia, è stato ritenuto peculiarità maschile, sicché, in questo campo, la donna è stata lasciata in ombra. Nel ricordare gli eroi della Seconda Guerra Mondiale, troviamo sempre citati uomini, delle cui gesta eroiche si fa un gran parlare, ma le eroine che operarono in quelle circostanze anche gli storici le hanno dimenticate. Chi ricorda le ragazze del S.O.E. (Special Operations Executive) corpo creato da Churchill e inviate in Francia e in altre parti d’Europa per affiancare la resistenza contro i regimi totalitari? Esse contribuirono ad agevolare, con le notizie che inviarono, anche lo sbarco in Normandia. Queste giovanissime e belle ragazze, molte di esse provenienti dalla borghesia, vissero con gran pericolo nei territori occupati dai tedeschi. Non poche subirono violenze e torture; altre morirono nell’espletamento del loro compito. Eppure nessuno più ricorda Lilion Rolfe, giustiziata a Ravensbruck, Vera Leight che finì per mano dei nazisti a Stuthof, Violette Szabo, finita in un campo di sterminio, Eliane Plewman, Madeleine Damerment, Sonia Olschanezsky e tante altre, fucilate da plotoni di esecuzioni nazisti.
L’oblio è dovuto al fatto che i maschi francesi, seguaci di De Gaulle o della estrema sinistra, alla fine della guerra, vollero attribuire a sé la pagina della Resistenza, ignorando volutamente le ragazze straniere che vi avevano contribuito.
Anche nel campo intellettuale vi sono state molte discriminazioni. Emmy Noether una dei più grandi matematici del ‘900, lavorò senza stipendio all’università di Yale, perché le donne non potevano avere un incarico ufficiale; un’altra scienziata, Lise Meitner fu costretta, essendo donna, a svolgere l’attività di ricercatrice di nascosto, negli scantinati dell’Università di Berlino. Sebbene avesse lavorato alla pari con Otto Hahn, solo a lui, che era uomo, nel 1944, venne riconosciuto il Premio Nobel per la Chimica.
Un tempo, persino negli spettacoli, il “genere” femminile era relegato in ruoli codificati, e se usciva dagli schemi veniva criticato e diveniva oggetto di invettive. Non si può dimenticare che durante gli spettacoli dell’Opera dei pupi, quando appariva Bradamante, figlia di Amone di Chiaramonte, guerriera di altissimo valore, veniva fischiata e lungamente contrastata dal pubblico, il quale pretendeva che ella perdesse le tenzoni con i maschi con cui guerreggiava.
Oggi, abbandonate le ferree tipologie, si è arrivati ad una revisione di ciò che è da considerare “maschile” e “femminile”. Uomo e donna hanno atteggiamenti e modi di fare un tempo esclusivo campo dell’altro sesso. Non solo la distinzione tra attività femminili e attività maschili è più sfumata, ma si sono anche in parte equiparati mentalità maschile e mentalità femminile, comportamenti maschili e femminili.
Ma questa parità in qualche caso è sfociata in una sindrome di rigetto nei confronti della donna moderna. Qualcuno, non potendole negare il diritto alla libertà, ritiene questa esigenza femminile una sregolatezza e si augura che la donna “rientri nella normalità” e, guarita dalla esigenza di parità, torni ad essere com’ella era un tempo.
Qualche voce maschile lamenta che alla donna è stato “concesso troppo”, e “sollecita” il suo rientro nei vecchi schemi sociali, soprattutto in campo sessuale. Ma contestando il troppo permissivismo “consentito” alle donne, si negano le pari opportunità ed anche la libertà femminile.
Per fortuna si tratta di voci sparute. E questo, se non altro, è già un passo avanti.
L’italia al maschile (31)
Sebbene le generalizzazioni risultino alquanto imprecise tuttavia, a volte, sono uno strumento pratico per dare un’idea di certe caratteristiche umane.
Un gustoso esempio ne è il libro di Joseph 0’Connor .Il maschio irlandese in patria e all’estero in cui l’autore descrive con brillante irriverenza i difetti e i pregi dei suoi conterranei. In quanto al “genere” maschile italiano, Adolfo Chiesa gli ha dedicato, nel 1989, un brillante saggio il cui titolo ne riassume lo spirito: “Come noi non c’è nessuno. Gli italiani, vizi e virtù”. Sul maschio italico hanno focalizzato la loro attenzione anche altri narratori tra cui Vitaliano Brancati, Ercole Patti, Alberto Moravia, Verga, Pirandello, Pitigrilli, Vittorini, Tomasi di Lampedusa e tanti altri.
Alle considerazioni di questi autori se ne devono aggiungere altre.
Innanzi tutto bisogna cancellare un trito luogo comune che considera l’italiano il prototipo del dongiovanni. Egli semmai rassomiglia a Casanova, il quale era attento all’affetto delle donne. Ma in buona sostanza il maschio italico, per struttura psicologica che gli deriva dall’influenza familiare non è affatto un libertino, ma è un “mammone”.
Persino del maschio adulto italiano che ha formato una famiglia si può benissimo dire che oltre ad essere “padre” tende a rimanere, soprattutto, un “eterno figlio”. Questo perché egli nella donna amata, il più delle volte cerca e “trova” la madre. E si sa, se è difficile staccarsi dalla mamma biologica, è pure difficoltoso abbandonare la madre acquisita.
Il maschio italiano però è vanitoso e ama illudersi di rappresentare il modello che ogni meridionale vorrebbe essere: un conquistatore amato da più donne. Ma per lui sedurre ed abbandonare è difficoltoso, e così spesso si trasforma in poligamo. Infatti all’italiano è estranea l’avventura cinica del dongiovanni che “usa e getta” la donna.
Esempi illustri di questa “psicologia maschile” non sono solo artisti come De Sica, Mastroianni, Fellini, che contemporaneamente ebbero per anni delle parallele storie sentimentali, ma uomini pratici e manager, tra cui Enzo Ferrari, che divise la sua vita tra la moglie Laura e un’altra donna, Lina dalla quale ebbe anche un figlio.
Il coniugato che s’è fatta l’amante la frequenta soprattutto per passare delle ore in tranquillità, lontano dai rimbrotti della rancorosa suocera e dalle urla disumane dei figli L’italiano, “a casa dell’altra”, può seguire in pace la partita di calcio, mentre a casa propria sarebbe assillato, tra l’altro, dal telecomando dei figli che fanno zapping.
L’amante non lo ostacola, lascia che parli di sé, che si lamenti; la moglie, sicura del proprio status sociale, lo critica quasi in tutto; lo contesta e lo deprime.
L’uomo sposato, nell’amante, cerca dunque quel confort e quella pazienza che agli inizi trovava nella moglie.
Di solito l’italiano, dopo i primi fuochi passionali, non chiede più tanto sesso all’amante, perché, talvolta, paradossalmente con lei le cose vanno peggio che con la moglie.
Persino il maschio che professa idee giacobine, resta, malgrado il bisogno d’evasione, un moralista pieno di scrupoli. Ciò gli crea variegati intoppi psicologici in campo sessuale.
Il maschio italiano, coacervo di contraddizioni, si professa cattolico ma cerca insistentemente l’avventura sessuale, dichiara di essere contrario al matrimonio, ma prima o poi finisce col prendere moglie, sostiene di essere di larghe vedute nei confronti della sua compagna, e delle sue figlie. A conti fatti, però, dimostra l’animo di un Otello e l’intransigenza del Sultano.
L’italiano è vanesio, e brama che si spettegoli sulle sue conquiste. L’intrigo, le bugie e i sotterfugi lo edificano: senza le scappatelle la sua vita sarebbe una banale routine
In passato l’italiano è stato contro il divorzio perché pensava che lasciando la moglie per sposare l’amante, avrebbe perso il sale della vita.
L’italiano non ammette che la sua donna, moglie o l’amante che sia, possa essergli infedele. La gelosia del maschio italiano meridionale è tanto più veemente quanto più egli è infedele.
Le separazioni sono più le donne a richiederle. Se dipendesse dal maschio, poiché preferisce mantenere lo status quo, ci sarebbero pochi divorzi .Infatti l’italiano non ha il coraggio di confessare alla sua donna che non prova più nessun trasporto per lei.. Quando non può farne a meno racconta scuse patetiche e banali. L’ammogliato poi, se pressato dall’amante che lo vuole tutto per sé, accampa “tragiche” condizioni familiari che ostacolerebbero il divorzio.
E tuttavia l’italiano, bisognoso di affetto e di cure materne, non è un briccone. In quanto al rapporto con “l’altra”, da quella relazione spera di risolvere il complesso edipico. L’italiano si aspetta che “l’altra” cancelli la troppo preponderante immagine della moglie-madre. Tuttavia, prima o poi, egli trasforma la relazione con l’amante in un’altra situazione edipica, e pertanto non risolve i propri problemi, anzi, li moltiplica.
L’italiano, anche se non vuole ammetterlo è maschilista, orgoglioso, narcisista e quindi non accetta che la compagna sia stanca di lui e lo voglia abbandonare.
Le cronache narrano, purtroppo, che qualche malaugurato,”abbandonato dalla compagna”, in qualche caso ne fa una tragedia.
Malgrado queste debolezze, l’italiano è però, tra tutti i maschi europei, il più affettuoso e servizievole. A differenza degli anglosassoni che amano far le ore piccole fuori casa, al pub o al circolo, che rientrano mal volentieri in famiglia e amano scorrazzare in gruppi, andare al golf, bighellonare per bere l’ultimo sorso “della staffa”, l’italiano rientra volentieri in seno al focolare domestico. Anche perché, a differenza dell’esemplare anglosassone, l’italiano è incapace, o fa finta di esserlo, di badare a sé stesso, e si vanta persino di non saper cucinare nemmeno un uovo alla coque. Tutto l’opposto insomma del maschio nordico che tende ad essere indipendente dalla mamma e dalla sua compagna.
Paradossalmente, l’italiano piace alle donne proprio perché è tanto geloso. La gelosia fa sentire la donna importante, e pertanto il geloso è ritenuto compagno appagante.
Da qualche decennio, inoltre, l’italiano ha imparato a gestire meglio il rapporto di coppia: con più criterio di parità e con meno arroganza di un tempo.
Egli, di regola, bada, più che in passato, alla psicologia della donna. Tutto ciò lo fa meno maschilista dei personaggi brancatiani
L’italia al femminile (32)
La psicologia della donna italiana ha radici profonde nella società romana imperiale: le matrone romane non avevano possibilità di essere socialmente responsabili né avevano alcun peso politico e tuttavia, “dietro” molti antichi romani di successo e affermati, c’era sempre lo zampino delle loro donne, anche se esse non apparivano mai come le artefici di quel successo. Il “filone” psicologico delle antiche matrone romane si ritrova ancora in quelle italiane che appaiono remissive ed arrendevoli, ma che in realtà adottano la strategia della “docilità” per apparire meno “forti”, il che consente loro, alla fine, di prevalere sul partner.
Anche le italiane risolute ed energiche, che sanno competere, che non si danno per vinte e, che, con le loro insistenze, alla lunga, piegano il maschio, sono discendenti delle tenaci signore romane. Per molti aspetti, dunque, nella nostra società, le donne, malgrado le apparenze, proprio come nella Roma dei Cesari, hanno un peso determinante. Un atteggiamento questo che, lungo l’arco dei secoli, è stato tipico delle italiane più intraprendenti, molte delle quali hanno manovrato dietro le quinte facendo eleggere imperatori, mettendo sul trono i loro figli, e persino favorendo l’elezione di molti papi, il tutto, senza mai apparire in primo piano. Donne come Marozia, artefice prima dell’anno Mille delle elezioni di due pontefici, come Maria Beatrice d’Este, che seppe impedire persino al proprio marito, Giacomo II Stuart ,di impossessarsi dei domini del proprio casato, la contessa di Castiglione che seppe tramare per condurre in porto l’Unità d’Italia, tanto per citare qualche nome, sono da ritenersi eredi delle antiche romane.
Questo “istinto” alla manovra, che tende ad influenzare senza farlo apparire è rimasto anche alle italiane del nostro secolo. Prendiamo per esempio l’italiana di mezza età: essa è legata all’immagine della donna ottocentesca e ne ricalca atteggiamenti e mentalità; anche le italiane più decisamente moderne ed emancipate sono apprensive e invadenti e trattano i figli come eterni bambini, “monitorando” la loro vita anche quando diventano adulti. Spesso le mamme italiane, così come avveniva nella Roma imperiale (vedi le madri dei grandi imperatori) prendono decisamente in mano le redini della famiglia della figlia o del figlio, dopo che questi si sono sposati. Ciò a volte fa di esse delle suocere petulanti e indiscrete.
L’italiana affonda però le sue radici anche nella psicologia della donna greca quella dell’antica polis: da essa ha ereditato il bisogno di sentirsi “protetta” dal proprio uomo, (esigenza che oggi, come allora, si rivela però riduttiva della propria libertà) e una certa “resistenza” al fascino dell’avventura sessuale fuori menage.
Penelope, figura di moglie descritta da Omero nell’Odissea, rimase fedele al suo uomo malgrado le lusinghe e le adulazioni dei Proci che la frequentarono e la tentarono durante tutto il decennio in cui lei era senza marito.
Inoltre, così come emerge dalla descrizione che Platone fa della donna greca, anche la donna italiana preferisce essere considerata una sentimentale più che una intellettuale. Ma, a differenza di Santippe, moglie di Socrate dal carattere pernicioso, la maggior parte delle donne italiane sono arrendevoli e remissive e, sicuramente, meno competitive col maschio delle anglosassoni, delle scandinave e delle americane. E in ciò, forse, esse hanno ereditato anche un po’ del Dna delle arabe. L’italiana ama la casa, come l’amavano le greche e le romane, e sta volentieri in cucina. L’italiana è reattiva al pettegolezzo, lo pratica ma soprattutto lo subisce. Nel gineceo greco e in quello romano si respirava la stessa aria.
Le italiane però, a differenza delle greche e delle romane, cercano di scrollarsi di dosso il passato di subalternità, ma non sempre riescono ad avvalersi facilmente delle conquiste occidentali. E così, l’italiana, educata in maniera rigida e restrittiva, sente maggiormente il gravame dei sensi di colpa. Questo stato di cose la rende, in qualche caso, insicura e repressa e così essa si ritiene spesso inidonea a decisioni gravose, compito che lascia volentieri all’uomo.
Infatti, la donna italiana, rispetto alle anglosassoni che hanno un carattere decisamente indipendente e non ammettono alcuna sudditanza ai maschi, è più remissiva. A differenza delle inglesi e delle americane, che gestiscono la loro vita con autonomia, fanno spesso “vacanze separate” e quando non hanno figli, addirittura abitano, durante l’anno, in una casa diversa da quella del partner, le italiane tengono a creare “un nido” e a vivere quasi sempre all’interno del focolare domestico.
Al contrario delle italiane, la maggior parte delle teutoniche, antropologicamente tenaci e determinate, rivelano una marcata tendenza al dominio, e spesso hanno la meglio sui loro compagni, che, per indole, sono invece condiscendenti e tolleranti. Le danesi, le svedesi, le norvegesi e le olandesi, straordinariamente progressiste, hanno conquistato da tempo la parità col maschio, sia nel campo professionale e lavorativo, sia nella conduzione della famiglia, nell’assistenza dei figli, e persino nella gestione della propria sessualità.
Ma l’esempio delle occidentali più evolute ha spinto le italiane delle ultime generazioni a mostrare maggiore combattività, ad avere uno più spiccato desiderio di avventura e di libertà. Molte italiane, le più giovani e le giovanissime hanno oramai capito la trappola nella quale erano cadute le loro madri e le loro nonne, e mostrano chiari segni di ribellione. Infatti le loro mamme e le loro nonne in passato furono tenute spesso in condizioni di sudditanza. L’imbonimento più evidente era quello di ritenerle inidonee a influenti ruoli sociali e a responsabilità pubbliche che, secondo luoghi comuni atavici e pregiudizi, “appartenevano” al patrimonio culturale e lavorativo maschile.
Le nuove generazioni di italiane hanno così in parte abbandonato gli aspetti caratteristici regionali e si sono uniformate a modelli sociali europei. Le italiane di oggi, più evolute ed europee lo sono certamente. Nella metà del ‘900 erano, per caratteristiche psico-sociali e per abitudini quotidiane, simili alle donne di fine ‘800, più di quanto allora non fossero le europee e le nordamericane, che viaggiavano già con una mentalità progredita e rinnovata. Infatti, negli anni cinquanta del ‘900 le nonne e le mamme italiane erano gravate da una società ipocrita e colma di pregiudizi. Invece in quello stesso periodo, le francesi, le inglesi e le tedesche (per non parlare delle scandinave) avevano raggiunto una libertà e uno spiccato senso d’indipendenza inimmaginabili per le nostre rappresentanti.
Le ragazze italiane delle ultime generazioni rassomigliano ormai sempre più in tutto e per tutto alle loro coetanee europee e sempre meno alle “nonne greche e romane”, e tanto meno alle donne dell’800.
Le giovani italiane non hanno nessuna soggezione del maschio, si comportano con una spontaneità che a volte sfiora l’arroganza, usano un linguaggio con espressioni tipiche dei camionisti, sono sfacciate anche se sanno essere simpatiche. Sono più pragmatiche delle loro madri, meno attente all’etichetta, strafottenti al punto da rivelarsi sguaiate, sfrontate e tracotanti fino ad apparire insensibili verso i sensi di colpa.
Insomma, rispetto al passato, sono tutta un’altra generazione, nel bene e nel male.
Passioni, sentimenti e ormoni (33)
I poeti si affannano a manifestare le “sfumature” della loro anima e ad interrogare gli astri per le loro passioni d’amore; maghi e fattucchiere consultano le stelle o adoperano filtri segreti per “aiutare” gli innamorati, per assistere chi è travolto dalla gelosia, o per fare innamorare qualche “distratto”.
Eppure, secondo quanto scoperto da una équipe di neurobiologi, basterebbe che fossero regolati i livelli di due ormoni, la serotonina e l’ossitocina per mettere a posto in maniera “scientifica” i disturbi della coppia.
La psichiatra Donatella Marazziti dell’Università di Pisa ha condotto una interessante ricerca, mostrando che il livello di serotonina negli “innamorati freschi” è del 40% più basso della norma: ciò porterebbe alla conclusione che la passione amorosa, con quell’insistente pensare a una persona, può essere paragonata a un disturbo psichico. In pratica gli innamorati avrebbero la stessa carenza che si riscontra analizzando i livelli di serotonina nelle persone affette da disturbi ossessivi compulsivi.
Nel Congresso di Psichiatria della “Sopsi”, “Dal disturbo alla malattia”, tenutosi a Roma qualche mese addietro, si è evidenziato che alcuni sentimenti sono regolati dall’ossitocina, ormone che tra l’altro faciliterebbe l’attaccamento monogamico tra i partner.
Le ricerche della Marazziti hanno dimostrato che l’ossitocina sarebbe la causa principale della monogamia nei topi della prateria e in alcune specie di scimmie. La connessione ossitocina-monogamia è stata evidenziata anche da studi condotti negli Stati Uniti. Paradossalmente, allora potremmo indurre il partner a non distrarsi, aumentando il livello di ossitocina nel suo sangue, e di converso, evitare l’ossessione della gelosia, facendo diminuire i livelli di serotonina.
Non più dunque pozioni magiche, spilli conficcati nelle foto, scongiuri e pratiche esoteriche per mantenere in vita un rapporto. Basta semplicemente controllare i livelli ematici e aumentare o diminuire l’apporto dei due ormoni.
Nel 1950 due neuroscienziati, James Olds e Piter Milner scoprirono che un neurotrasmettitore, la dopamina, stimola la ricerca del piacere. Infatti essi osservarono un aumento di dopamina nel ratto quando gli veniva mostrata una femmina. Stesso aumento di dopamina lo notarono anche negli esseri umani in concomitanza di un evento sessuale. J.Kanskpek nel 1998, e R Swarting nel 2001 hanno trovato che alcune aree cerebrali si attivano proprio in attesa di fare all’amore. Inoltre, due studiosi dell’Università di Essen, Hartwing Hanser ed Hermann Englert, hanno constatato gli effetti inibitori della prolattina, e lo stretto rapporto tra diminuzione della prolattina nel sangue e aumento dell’effusione sessuale. Con l’aiuto della risonanza magnetica, si sono messe in luce quattro aree cerebrali nelle quali ha probabilmente sede la passione amorosa, e si è visto che quando queste aree sono “occupate” da impulsi d’amore, diminuiscono l’aggressività e la litigiosità.
Forse questo modo di procedere nel campo dell’amore, ad alcuni potrà risultare spoetizzante. Tuttavia conoscere la sede di un fenomeno fisio-psichico può aprire la strada ad eventuali terapie. Aldus Huxley, nel suo “Il mondo nuovo” lo aveva previsto. E forse qualcosa del genere anche Giulio Verne l’aveva intuito.
È probabile per ciò che in futuro, grazie a qualche prodotto ormonale venduto in farmacia, i sentimenti potranno essere normalizzati e omologati in parametri socialmente approvati. È probabile che vi saranno dialoghi di questo tipo:
«Dottore, mio marito mi tradisce»
«Non si preoccupi signora, gli faccia ingollare questo sciroppo a base di ossitocina, e vedrà che tutto si aggiusta!» .
Quando il giovanotto gelosissimo lamenterà di non riuscire ad avere un attimo di pace, l’endocrinologo – consultato dal paziente innamorato follemente-, gli consiglierà, per non essere più geloso, di far calare il suo livello di serotonina: «Prenda questo prodotto e vedrà che tutto si sistema».
Qualche nostalgico penserà che è meglio una disillusione, uno sporadico tradimento, un po’ di gelosia, l’incognita del calo del desiderio, l’imprevisto dell’infedeltà, i malintesi e le “naturali” liti di coppia, piuttosto che vivere una relazione biologicamente trattata, cosa che potrebbe risultare una specie di camicia di forza che impedisce sentimenti “genuini”. E tuttavia, poiché i disturbi di coppia sono perniciosi, forse, in futuro, dopo avere tentato inutilmente con i ragionamenti, si potrà intervenire per via ormonale per appianare i litigi dei partner, regolando serotonina e ossitocina.
La conoscenza dei meccanismi fisiologici ed ormonali dell’amore non è l’unica novità: si è appurato che la sede della paura sta nell’amigdala sicché sarà possibile rendere il vigliacco un eroe, il timido un audace.
Per i poeti e per i “sentimentali” che rifuggono dall’ipotesi meccanicistica, queste scoperte sono sconvolgenti e sgradevoli. Per coloro che ritengono il cervello un semplice strumento attraverso cui agisce l’anima, queste scoperte sembrano orripilanti o irrilevanti. I più entusiasti invece si augurano che col tempo, visto che non sempre col ragionamento si riesce ad educare, si potrà essere in grado di “correggere” i comportamenti umani agendo fisiologicamente. L’indifferente e l’apatico potranno diventare appassionati; i gelosi più indulgenti.
Forse si arriveranno a curare con successo le malformazioni comportamentali dei serial killer o le deformazioni psicologiche degli psicopatici criminali.
Qualcuno potrebbe obiettare che modificando il tasso ormonale dell’individuo si rischia di trasformare la personalità niente più che una composizione biochimica. Infatti, se è impossibile ignorare che l’uomo è un misto di fattori biochimici e di strutture neuro-fisiologiche, non bisogna sottovalutare che i comportamenti degli individui dipendono, in maniera determinante, dall’ambiente e dalla cultura. Quest’ultima considerazione rende in definitiva la personalità il risultato della patrimonio di conoscenze e delle esperienze vissute “in diretta”.
Chi vive in un ambiente degradato palesa caratteristiche comportamentali diverse da chi proviene da altro tipo di condizioni sociali. Ciò spiega come i comportamenti dell’individuo siano il risultato delle condizioni sociali e non traggano origine, come qualcuno immagina, dalle congiunzioni astrali, né possono essere “corretti” dagli interventi di maghi ed esorcisti.
Infatti, i comportamenti possono invece essere indirizzati correttamente solo dal buon uso del ragionamento e del senso di responsabilità. C’è allora da sperare che l’umanità riesca a trovare dentro di sé quel buon senso e quell’equilibrio emotivo che sono le condizioni indispensabili per una vita serena, regolata dalla ragionevolezza. E ciò, indipendentemente dai valori del tasso ematico della serotonina e dell’ossitocina.
Insomma, bisogna augurarsi che le passioni siano regolate più dai fattori psicologici che non dai livelli ormonali.
Ma forse è chiedere troppo all’umanità.
Cicisbei e concubine
Il cavaliere servente, o cicisbeo, fu una invenzione del Seicento. Sorse in seguito al fatto che i matrimoni erano quasi tutti di convenienza e non v’era alcuna intesa né alcun affiatamento sentimentale tra marito e moglie. Il legame spirituale si verificava dunque tra la signora e il cicisbeo. Il cicisbeato, in pratica, consentiva che un uomo “frequentasse”, senza scandalo sociale, la moglie di un altro. Pare che l’usanza abbia avuto origine a Genova, e da li si sia diffusa in Italia e in Europa. Sebbene criticato dagli Illuministi, questo istituto sociale durò fino alla metà dell’Ottocento. Fu così diffuso che in molti contratti matrimoniali le spose facevano includere il nome di uno o più cavalieri che esse desideravano avere al loro fianco. Il cicisbeato, fu, in altri termini, la risposta di un femminismo ante litteram, al maschilismo imperante.
I compiti del cavaliere servente erano quelli di aiutare la dama ad abbigliarsi con gusto, di accompagnarla in chiesa, di esserle a fianco durante le passeggiate, nelle visite, al teatro e di servirla in tutto ciò che le fosse utile. Il cicisbeo sostituiva il marito che, talvolta, paradossalmente, a sua volta, era impegnato come cavaliere presso un’altra dama. Data l’intimità che s’instaurava tra la signora e il cavaliere, accadeva che questi a volte sostituiva il marito in tutto e per tutto, e ciò quasi sempre senza scandalo e senza gelosia del coniuge. Il concetto di “tradimento” in amore infatti iniziò solo a partire dalla secondo metà dell’Ottocento. Tuttavia bisogna sottolineare che l’intimità sessuale tra signora e cicisbeo non era “la regola”, come maliziosamente si potrebbe supporre. E, come non sempre il cicisbeo diveniva l’amante della dama alla quale “prestava servizio”, così non tutti i mariti “lasciavano correre” se notavano del tenero tra i due.
Cicisbei furono anche uomini illustri. Vittorio Alfieri non prese moglie e preferì far da cavaliere a varie signore dell’alta società. Con esse intavolò relazioni “senza impegno alcuno”. Cristina Emerenzia Imholf, Penelope Pitt, la marchesa Gabriella Turinetti di Prié, Luisa Stolberg-Geden, la contessa d’Albany, furono “servite” dall’Alfieri, ed essendo già sposate, evitarono allo scrittore “il fastidioso inghippo del matrimonio”. In alcuni casi, però, l’Alfieri non poté schivare il duello con qualche marito bilioso. È singolare che l’Alfieri, sebbene praticasse il cicisbeato, abbia deriso tale usanza nella commedia “Il divorzio”.
Nota è pure la satira del cavaliere servente che fece il Parini ne “Il Giorno”, e altrettanto risapute le condanne di questa “abitudine” fatte da letterati come il Forteguerri e il Muratori. Il critico letterario Giuseppe Baretti, alla fine del ‘700 ne La frusta letteraria invece difese l’istituzione, ritenendola “utile” alle signore che, «senza di essa sarebbero rimaste prive di compagnia, essendo i mariti impegnati in altre faccende».
Favorevole fu anche Vittorio Imbriani, patriota e letterato, che nelle riviste L’Araldo e Fanfulla esaltò i “benefici sociali” dell’amicizia tra dama e cicisbeo. Il Leopardi, schivo e solitario, fu anch’egli un cicisbeo. Corteggiò molte dame, ma senza troppa fortuna. La «languida e senza mordente», Fanny Targioni Tozzetti che gli ispirò le liriche del ciclo di Aspasia, non accettò la sua corte; e nemmeno l’irlandese Margaret Mason, femminista che aveva abbandonato marito e figli per vivere liberamente, si concesse al poeta.
L’incapacità a dichiarare i propri desideri apparve in tutta la sua drammatica realtà quando Leopardi fece il filo alla contessa Elena Mastiani Brunacci, le cui relazioni amorose, note a tutti, avrebbero dovuto spingerlo a osare di più. Ma Giacomo, pur invaghito della donna, che per altro lo desiderava, non seppe andare oltre “la pura amicizia”. Lo stesso accadde con la nobile Sofia Vaccà Berlinghieri e con la gentildonna Lauretta Parra. Sebbene entrambe si contendessero il poeta nei loro salotti, Giacomo, pessimista e poco intraprendente, non esternò il proprio amore. Non seppe “dichiararsi” nemmeno alla principessa Carlotta Bonaparte, con la quale aveva stretto amicizia durante un soggiorno a Firenze.
Vicenda curiosa fu quella di Giulia Guicciardi, allieva prediletta di Ludwig von Beethoven. A lei il musicista dedicò la sonata “Al chiaro di luna”. Di lei Ludwig era innamorato, ma non ebbe il coraggio di esternarle i propri sentimenti. La ragazza era infatuata del musicista, ma dopo aver atteso invano una parola d’amore dal maestro, sposò il proprio cavaliere servente, il conte di Gallenberg e andò via con lui da Vienna, lasciando Ludwig afflitto ed umiliato.
Ma se il cicisbeato si può considerare “a beneficio” delle donne, il concubinato, modello più antico di trasgressione legalizzata, è nettamente “a favore” del maschio, anche se, in origine, prese le mosse dal bisogno di soccorrere le donne.
In Cina il concubinato fu una necessità. Infatti, essendo la mortalità infantile maschile maggiore di quella femminile, era notevole la disparità numerica tra i sessi. Senza il concubinato, in quel Paese, molte donne non avrebbero avuto un compagno. E così, per tremila anni, chi non aveva oltre alla moglie anche una concubina non era considerato un vero uomo. Ma dopo l’avvento del comunismo, concubinato e adulterio furono vietati. Il parlamento cinese aggiornò in questo senso la vecchia legge sul matrimonio ormai superata dalla realtà sociale. E tuttavia, sebbene il concubinato fosse proibito, molto tempo dopo la promulgazione della legge che lo vietava, persistette nelle regioni con maggiore benessere. Secondo alcune fonti d’informazione, il concubinato in Cina non è ancora del tutto cessato ( pare che a dare il cattivo esempio siano proprio i funzionari di partito) ed è considerato una minaccia per la stabilità sociale e per il controllo demografico.
Il concubinato vigeva, anche nel diritto greco antico; e anche a Roma, questa relazione extramatrimoniale del maschio era lecita. Ad essa vennero estese norme proprie del matrimonio legittimo. Il concubinato consentiva all’uomo di rango, un senatore ad esempio, di vivere con una popolana o con una liberta, con le quali non avrebbe potuto contrarre matrimonio, vietato tra un uomo di alto livello sociale e una plebea. Vi era però il divieto, per chi era ammogliato, di tenere più di una concubina. In seguito Giustiniano stabilì che l’uomo sposato non ne potesse avere nemmeno una.
La figura della concubina è considerata pure legittima nell’Antico Testamento (Gen.16:1-2-) se essa è utilizzata per dare un figlio all’uomo la cui moglie è sterile.(Vedi a tal proposito la vicenda tra Sara e Agar).
In passato il concubinato era inserito nelle leggi di vari popoli: nel nord Europa, presso i nomadi, presso gli Avari, presso i Normanni. I Mongoli, non per legge, ma per consuetudine ritenevano il concubinato una pratica lecita.
Nel mondo Islamico, il Corano, con un tocco di maschilismo, dispone che ogni uomo può tenere fino a quattro mogli. Pertanto, un miliardo e mezzo di persone non trovano nulla da ridire che nella stessa famiglia convivano più donne legate al medesimo uomo. L’usanza ebbe inizio quando Maometto, dopo avere intrapreso la conquista dell’Africa e del Medio Oriente, constatò che, a causa della morte di tanti soldati, era preponderante il numero delle femmine da sfamare. Il profeta pensò allora di far sposare ad ogni capofamiglia quattro donne; così, vedove di guerra e nubili poterono avere la compagnia di un uomo ed essere sfamate ed assistite.
Tutto è relativo in questo mondo: ciò che in alcune circostanze è considerato comportamento biasimevole e indegno, in altre addirittura è visto come atto umanitario.
L’amore nei personaggi della letteratura (36)
La letteratura identifica l’amore in un sentimento emblematico, denso di allegorie. Particolarmente singolare è quello tra Laudamia e Protesilao. Quando quest’ultimo morì nella guerra di Troia, sua moglie Laudamia dipinse a memoria il suo ritratto. Ermes, commosso da quel gesto, fece tornare in vita Protesilao perché avesse un ultimo amplesso con Laudamia. Poi gli scomparve nell’Ade e lei morì bruciata assieme al ritratto del marito.
Amore a lieto fine tra Alcesti e Admeto. A quest’ultimo Apollo promise che al momento della morte avrebbe potuto farsi sostituire. La bella Alcesti, innamorata di lui, accettò di morire al posto dell’amato. Ma Persefone, toccata da quel sacrificio, graziò Alcesti. Pigmalione, re di Cipro, s’innamorò della statua di Afrodite, la sposò e la depose nel letto nuziale. La dea, a quel punto, diede vita alla statua e Pigmalione potè amarla.
Archiloco cantò con versi purissimi l’amore per Neobule, fanciulla che infiammò la sua fantasia, ma che egli non conosceva. Mimnermo, suonatore di flauto, declamò rime bellissime per un’altra ragazza, Nannò, con la quale non ebbe mai rapporti d’alcun genere. Il poeta Alceo cantò l’amore puramente “spirituale”. La poetessa Saffo scrisse: «La cosa più bella è quella che si ama».
Anche i grandi amori frutto di tradimenti sono esaltati. Nessuna disapprovazione per Lancillotto che tradì il sovrano e ne amò la moglie, la regina Ginevra. Ed anche il legame incestuoso di Paolo e Francesca, cognati, continua a commuove.
L’amore è descritto come irrazionale e bislacco, come nel caso dell’attrazione di Angelica per Medoro. Scrive l’Ariosto che Angelica, era altezzosa, e «non le pareva che alcun fosse di lei degno». Annoiata dall’amore di Orlando e stanca dei corteggiamenti dei nobili, si lasciò sedurre dalla bellezza di Medoro, un semplice fante saraceno. Orlando, che per lei aveva abbandonato l’esercito cattolico e aveva tradito Carlo Magno, disperato, perse il senno!
Carlo Goldoni ne Gli innamorati, mostrò come l’amore si può trasformare in bagarre. Nelle sue Memorie, raccontò che la quella commedia gliela ispirò una vicenda reale. «Avevo ascoltato – scrive l’Autore – le liti, le grida, le disperazioni, i fazzoletti strappati, i vetri rotti, i coltelli lanciati dai due innamorati: la figlia dell’abate Piero Poloni, e Bartolomeo Pinto. La travagliata passionale dei due giovani aveva aspetti comici e drammatici, umoristici e seri tanto che mi indusse a narrarla».
Capolavoro dello scrittore inglese Samuel Richardson il personaggio di Clarissa Harlowe. Fanciulla virtuosa, educata in una buona famiglia, avendo ceduto la verginità al libertino Loverace, muore di crepacure.
Goethe ne I dolori del giovane Werther descrisse l’innamoramento senza speranza. Werther è innamorato di Carlotta, ma la ragazza è promessa sposa ad un altro, scelto dai suoi genitori. Non potendo avere l’amata, Werther si suicida. L’opera sconvolse la gioventù del tempo, facendo aumentare i suicidi. La vicenda è l’eco di un’avventura di Goethe che, nelle Lettere a Lotte racconta di aveva amato inutilmente Charlotte Buff, che alla fine sposò un altro, e di avere pensato al suicidio.
Anche Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, ebbero un influsso pericoloso, e il poeta si augurò che l’opera fosse letta da persone equilibrate. Nel racconto un giovane ama una donna che il tragico destino vuole che stia per andare sposa ad un altro. Il suicidio dell’innamorato mette fine al suo tormento.
Eccentrici amorosi li troviamo ne Il rosso e il nero di Stendhal, saga di sentimenti sconsiderati, che l’Autore ricavò da una storia accaduta. Il protagonista, Giuliano Sorel, ama la signora Rênal del cui figlio egli è precettore. Ma quella relazione è sulla bocca di tutti, e Sorel, per evitare lo scandalo fugge a Parigi. Qui s’innamora di Matilde, figlia del suo ospite. Quando Sorel sta per sposare la ragazza, la signora Rênal, ancora innamorata, fa di tutto per discreditalo e impedirgli di sposare la ragazza. Saputo dell’intrigo, Sorel tenta di uccidere la vecchia fiamma, ma la ferisce solamente. Però viene condannato a morte, e nemmeno le preghiere della stessa Rênal, ancora innamorata, ottengono la clemenza della Corte. Il romanzo esalta l’irragionevolezza dell’amore; la Rênal rappresenta l’insanabile contraddizione della sudditanza all’educazione moraleggiante e dell’inalienabile bisogno di libertà.
In un altro romanzo di Stendhal, La Certosa di Parma, tre personaggi, Clelia Conti, la duchessa Sanseverina e Frabrizio danno vita ad una irragionevole schermaglia amorosa .
Nella tragedia Maria Maddalena di Chistian Friedrich Hebbel, la protagonista, Clara, dopo aver ceduto alla volontà di Leonardo, vive in attesa dell’espiazione e della propria morte “liberatrice”. Un’altra Clara, personaggio del romanzo Il padrone delle ferriere di Georges Ohnet, sdegnosa, triste, conformista, a causa del suo carattere non raggiungerà la felicità sospirata.
Carolina Invernizio, nei suoi romanzi d’appendice, da L’orfanella di Collegno a La vendetta di una pazza, ha tratteggiato personaggi in preda a sortilegi amorosi e a drammi passionali che hanno fatto, purtroppo, da modelli a molte generazioni. Nel romanzo di Emily Brontë Cime tempestose l’inesperta Caterina e il fatale Heathcliff danno vita a un torbido amore. Un’altra Caterina, protagonista del romanzo L’ereditiera dello statunitense Henry James è vittima del cacciatore di dote Morris Townsend. Caterina, una volta concesso il suo cuore, non smette d’amare l’uomo che l’ha sedotta, anche quando egli l’abbandona per sempre. Caterina Ivanova, personaggio dell’omonimo dramma di Leonid Andreev, è al centro di foschi adulteri, di passioni travolgenti e preda di demoni che dirigono l’orchestra dei suoi sentimenti
Il Cirano di Bergerac, di Edmond Rostand, figura romantica, ma decadente, ha commosso le platee per il suo stile amatorio e la sua delicatezza d’animo.
Ma in questo caleidoscopio di personaggi, i più singolari e strani sono Renzo e Lucia. La promessa sposa sembra avere un blocco verso la parola amore: non la pronunzia mai. Renzo è molto inibito, per cui, in pratica, nel romanzo, i promessi sposi di un matrimonio sempre differito, paradossalmente, non parlano mai d’amore.
Quando Leone Tolstoj iniziò la stesura di Anna Karenina, la immaginò brutta e antipatica, perché riteneva che così fosse ogni adultera, essendo una donna immorale. L’autore la descrisse fisicamente disdicevole. In seguito, rielaborando l’opera, Tolstoj finì con l’innamorarsi di quel personaggio, e descrisse Anna bella e dal portamento dolce. Tuttavia, il romanziere, per non trasgredire ai principi morali, non trovò altra soluzione per una donna infedele, che il suicidio.
Romanzi e opere di teatro mostrano spesso un “taglio” dell’amore fatto di brame intricate e di avvenimenti strappalacrime. Shakespeare ne da’ due esempi drammatici, Giulietta e Romeo e l’Otello, toccando le corde più esasperate: la straziante fatalità e la gelosia.
Personaggi come Sorel, la Rênal, la Sanseverina, Jacopo Ortis, Werther, Clara, Catherina, Ivanova, Renzo, Lucia, Romeo e Giulietta, Otello, Anna Karenina, e via dicendo, hanno condito di risvolti romantici storie melense, tragiche e crudeli, trasmettendo la cultura di un romanticume decadente.
Nella letteratura, dunque, l’amore è trattato agitando le corde più drammatiche e quelle più incoerenti ed effimere. Molti letterati lo descrivono come vertigine, inquietudine, esperienza patologica e irrazionale, oppure come sogno.
Se l’amore è inspiegabile e complicato, non è la letteratura che lo rende comprensibile, anzi, in qualche caso ne ingarbuglia ancor più le acque.
Fortunatamente l’amore tra persone comuni, non quello tra personaggi letterari, ha anche momenti felici.
Coppie famose ritratte dai pittori
Il fenomeno della trasposizione figurativa da opere letterarie è stato molto rilevante in passato. Nel visualizzare parti di capolavori letterari un posto di preminenza hanno avuto le coppie celebri, che sono state magnificate in opere pittoriche di grande rilievo. Le scene iconografiche relative alle coppie che hanno più impressionato l’immaginazione della gente si trovano in tutti i campi della figurazione, ma soprattutto nella pittura. Le scene di solito sono o una rievocazione storica di avvenimenti in cui la coppia si è trovata, oppure sono riproduzioni di immagini senza tempo della coppia oggetto del ricordo, figure oleografiche e fantastiche che tendono a fare di quella coppia un simbolo eterno.
Tuttavia di solito i due partner sono rappresentati in una vicenda nella quale culmina la loro vita, oppure sono rappresentati su alcuni aspetti secondari e reconditi del testo letterario dal quale sono riprodotti, e sono portati alla luce così aspetti poco noti o immaginari.
Se da una parere alcuni pittori tendono a “rispettare” la vicenda letteraria, e sono i più, dall’altra alcuni artisti prendono spunto da essa per illustrare lati meno noti o immaginifici che però rendono un gran fascino alle figure riportate nella tela.
Paolo e Francesca sono i personaggi forse più ritratti durante il Romanticismo, e lo sono sotto entrambi gli aspetti or ora ricordati.
Lo hanno fatto Dante J.A.D. Ingress ( 1834), Gabriel Rossetti (1855), Anselm Feuerbach (1863), Gaetano Previati (1887 e 1909), Ary Scheffer (1835) , Vitale Scala(1823), William Blake, (1824), Auguste Rodin (1867), Umberto Boccioni (1908).
Il pittore austriaco Egon Schiele nel 1911 fu accusato di pornografia per i suoi nudi e per i disegni degli incontri di coppia che tratteggiò con grande maestria, e rinchiuso in carcere per qualche mese. Un nuovo processo, per “l’oscenità dei suoi quadri”, nel 1912 gli costò la distruzione di centoventi opere.
L’incontro di Dante con Beatrice a Firenze, è un’opera di anonimo del 1850. Dante Gabriel Rossetti ha ritratto Dante e Beatrice in un’opera del 1848. Cimone ed Ifigenia li troviamo dipinti in un’opera della Bottega di Palma il Vecchio (1515). Anche Pier Paul Rubens ha ritratto questa coppia nel 1617 circa. Joshua Reynolds li ritrasse nel 1789.
Un’altra coppia molto ritratta è quella di Ruggero e Angelica. Li ha ritratti Stefano della Bella (1636), Filippo Napoletano ( 1617), Arnold Böcklin
(1871),Antoine-Lois Barie (1846), Eugène Delacroix ( 1860), Giovanni Lanfranco (1616), Cecco Bravo (1640), Alberto Savinio (1931).
Trattandosi di personaggi immaginati dalla penna dello scrittore, gli artisti del pennello si sono potuti meglio sbizzarrire, non essendo obbligati a riportare “immagini realistiche”.
Angelica entra anche in altri quadri facendo parte di altre coppie. Essa infatti è ritratta con Medoro dal Tepolo (1757), da Giovanni Lanfranco (1633), da Jacques Blanvhard ( 1634), da Senbastino Ricci ( 1713).
Tancredi e Clorinda sono dipinti in un quadro di Ambrosie Dubois (1650), e in un altro di Giovanni Antonio Baruffali (1822). La figura di Armida, molto melodrammatica, ha riscosso grande suggestione perché riprende le figure iconografiche delle eroine che per amore si diedero la morte, come Didone e Lucrezia.
Rinaldo e Armida sono ritratti dal Domenichino (1620), da Maurice Denis (1907), da Nicola Puoissin ( 1628), Da Anton Van Dyck ( 1629), da Ludovico Carracci (1583), e da Giuseppe Bottati ( 1766).
Anche Erminia e Tancredi sono una coppia molto ricordata dai pittori tra cui il Guercino ( 1618), Giannatonio Guardi ( 1756), Nicolass Poussin ( 1631), Alessandro Turchi ( 1620).
In quanto a Romeo e Giulietta si può immaginare il successo che questa famosissima e romantica coppia ha avuto tra i pittori. La ricchezza della letteratura al riguardo ha dato modo di immaginare i due giovani amanti da una infinità di aspetti e da diversi punti di vista, ora romantici, ora sensuali, ora tragici. Li hanno ritratti Francesco Hayez (1823), Pino Casarini (1939), Johann Heinrich Füssli (1809), Piero Roi (1882), James Northcote ( 1789), Joseph Wright of Derby (1790).
Otello e Desdemona, coppia funesta e drammaticamente tenebrosa, al causa del finale sanguigno che il fato riserva loro, sono ritratti da molti artisti tra cui Giuseppe Sabatelli (1834) e Alberto Savino (1828).
Coppia affiatata fu quella composta da Federico da Monfeltro e da Battista Sforza, figlia di Alessandro Sforza, che io nobile sposò quando la ragazzina aveva tredici anni. Battista diede al marito una dopo l’altra sei figlie, prima del sospirato maschio, al quale fu imposto il nome di Guidobaldo.
Appena venticinquenne la giovane donna morì sfiancata dalle gravidanze e forse dalla febbre malarica. Immenso fu il dolore del marito, e la pena dell’inconsolabile vedovo fu rappresentata in un quadro del 1474 dal suo grande amico il pittore Giusto di Gand, nel quale si scorge il piccolo Guidobaldo in braccio alla nutrice piangente in ricordo del lutto per la comparsa di Battista.
Comportamenti e amori della gioventu’ d’oggi (37)
Adolescenti e giovani danno oggi di sé un’immagine di libertà, anzi, di libertinaggio che qualche decennio addietro avrebbe scandalizzato persino i più progressisti.
Le adolescenti delle ultime generazioni appaiono “sveglie ed aggressive” e più consapevoli delle loro mamme e delle loro nonne, soprattutto in tema di sessualità. Iniziano ad avere rapporti giovanissime (tra i 14 e i 16 anni), ma solo se convinte di amare il partner. Infatti, paradossalmente, vanno ancora a caccia del principe azzurro. Per i maschi, invece, ogni scusa è buona per fare l’amore.
Maschi e femmine preferiscono il rapporto interrotto perché contrari al profilattico. In quanto alla pillola, solo il 10 % delle giovani ne fa uso, e la accettano se prescritta con intenti curativi, per l’acne ad esempio.
Molte ragazze e tanti ragazzi hanno paura di ingrassare. L’angoscia della bilancia porta molti di loro al limite dell’anoressia. Coloro che, viceversa, sono in forte soprappeso non riescono a dimagrire perché non vanno dal dietologo e preferiscono seguire diete “fai da te” o consigliate da amiche o amici, finendo così con l’essere molto vicini all’obesità.
Maschi e femmine sono attenti ai messaggi della moda. Le ragazze s’innamorano dei cantanti più “in” nelle classifiche; maschi e femmine vanno pazzi per la musica pop, rock, per quella del new age e quella psichedelica, purché ad alto volume.
Le giovani d’oggi mantengono buoni rapporti con le loro madri dalle quali accettano ( a volte subiscono) consigli e suggerimenti. Le genitrici, seguendo l’evoluzione e i cambiamenti fisiologici e psicologici delle figlie, le guidano alla ricerca del marito. Malgrado l’apparente aggressività e sfacciataggine, le ragazze sono fragili, senza esperienza e con scarsa cultura di base; quasi tutte utilizzano in maniera dissennata i cellulari con un fitto scambio di sms, per scambiarsi frasi insulse e insignificanti.
Ragazzi e ragazze si tengono al corrente dell’oroscopo, non leggono libri, ritengono i letterati dei tromboni e preferiscono l’assordante discoteca.
Sia maschi che femmine amano scorrazzare per strada con auto e moto, come se fossero in un circuito. Non si fanno scrupolo di avere, sia gli uni che le altre, un linguaggio da scaricatore di porto. Le ragazze esibiscono modi rozzi, decisi. Una volta si sarebbe detto di loro: “sono dei maschiacci”, oggi si sottolinea che “sono determinate a non farsi prevaricare”.
Ai giovani è stato insegnato, a torto o a ragione, ad essere malcontenti della società. Per tale motivo gridano il loro disappunto nelle strade, durante le adunate e i comizi e lo scrivono negli striscioni che trascinano per le arterie principali delle città.
In qualche caso la gioventù spera di liberarsi del malumore correndo a centonovanta all’ora “per evadere da un mondo tiranno e senza lavoro”. Ebbra di alcool ed eccitata dalla musica al massimo volume, la gioventù sfreccia ad alta velocità con fari abbaglianti che sono pugni negli occhi degli automobilisti che incrociano oppure procede a forte andatura a luci spente per provare l’ebbrezza del pericolo.
Qualche volta, purtroppo, anche perché “strafatti”, i giovani schizzano col mezzo senza ormai più controllo su un palo o investono l’auto in senso opposto.
Come conciliare codesto disprezzo per la vita con l’amore che propagandano per la natura allorché sono intruppati in manifestazioni ecologiste o pacifiste?
Spesso la gioventù non sa di preciso ciò che vuole, e si lamenta di quello che ha. Ai giovani “paninari” non interessa la cucina raffinata, perché prediligono patatine fritte, hamburger e qualche bicchiere di birra, nei Mac Donald o nei camion food.
Maschi e femmine leggono poco o niente, e ciò che sanno lo ricavano dalle canzoni degli autori preferiti. I maschi seguono però l’informatica e sono esperti col computer. Assieme alle femmine frequentano le palestre, fanno footing, hanno modi spicci e senza fronzoli e hanno comportamenti molto rumorosi.
Le ragazze sono allegre, disinibite, il più delle volte senza problemi “esistenziali”, amanti delle discoteche dove si scatenano per ore ed ore in balli “da sballo”.
Specialmente i maschi ritengono tramontati concetti come romanticismo, sentimentalismo, languore.
Sono molti i ragazzi e le ragazze che seguono le dottrine esoteriche e s’interessano del paranormale. Tuttavia hanno rari problemi di ordine religioso e utilizzano le parrocchie per gite, meeting, e attività socialmente utili di gruppo.
Maschi e femmine sono indolenti, trasandati e poltroni; vestono casual e mimano l’abbigliamento dei divi idolatrati in quel momento. Le loro orecchie, le loro labbra e altre parti del corpo sono perforate da anelli e oggetti ornamentali; braccia, spalle e addomi, anche quelli delle donne, sono ricoperti da tatuaggi di cui la gioventù va fiera.
Tuttavia i giovani d’oggi sono meno tenebrosi e pessimisti della generazione del secondo dopoguerra del ‘900; e meno impegnati dei sessantottini. I giovani dell’ultima generazione non sono sfiorati da dubbi esistenziali, non si interrogano sull’aldilà, sono certi che li “dovrà” aiutare la buona stella, non sanno nulla della storia e tanto meno l’apprezzano come maestra di vita.
Ragazze e ragazzi sono visceralmente allegri e simpatici. Quelli che s’interessano di politica lo fanno per marciare rumorosamente nelle strade e far casino quando se ne presenta l’occasione. Pochi sono impegnati intellettualmente
I giovani preferiscono stare in gruppo e non apprezzano né la solitudine né la meditazione. La coppia giovane ama sbaciucchiarsi in pubblico, in qualsiasi posto si trovi: al bar, in un museo, nella metropolitana, in banca, al cimitero o in chiesa.
Giovani e ragazze sono intransigenti nel difendere i loro diritti, che spesso identificano con le loro voglie e le loro passioni.
In quanto ai doveri li considerano delle strumentalizzazioni e delle coercizioni nei loro confronti. Pertanto quasi sempre cercano di sottrarsi ad essi, tant’è che nessun giovane sta al proprio posto senza con questo “sentirsi limitato”.
I giovani si rivolgono poco alla divinità. Amano in maniera narcisistica; credono che all’amore non si possa sfuggire, così come non si può sfuggire all’umidità, allo scirocco o all’infuriare di una tempesta. Ma se finisce il sentimento tagliano corto: non subiscono, come fecero le generazioni dei loro padri e dei loro nonni, una situazione sentimentale deteriorata. Questo atteggiamento, a conti fatti, è forse alquanto sano, perché recriminazioni, animosità e rancori vengono ridotti al minimo. I loro genitori e i loro nonni subivano, per assecondare le consuetudini sociali, per “salvare la coppia” ma soprattutto per salvare la faccia, acredini e conflittualità del tutto sconosciute ai giovani d’oggi
La gioventù odierna è persuasa, come nessuno mai prima di adesso, che il mondo debba essere a disposizione dei giovani e debba riconoscere necessariamente i loro diritti. Ottimistica convinzione che spinge i giovani a non osservare nessuna delle vecchie regole di bon ton. Essi scorrazzano sui marciapiedi con le motorette mettendo a repentaglio i pedoni, superano in maniera spericolata e dalla parte destra le auto, sorpassano le zone pedonali a grande velocità incuranti di chi sta attraversando.
«Ahimé – lamentano gli anziani – viviamo in tempi senza ordine e disciplina!»
Tuttavia ai tempi che i vecchi ricordano, l’ordine e la disciplina erano imposti con metodi estremamente dittatoriali, senza comprensione per le necessità della gioventù. Ed allora, tutto sommato, forse è meglio oggi.
L’ età per amare (38)
La pressione culturale privilegia l’aspetto fisico ed impone all’attenzione maschile una immagine femminile glamour, da copertina di riviste, e all’attenzione femminile l’uomo che simboleggia la forza di un James Bond e la dolcezza di Leonardo Di Caprio.
Tuttavia non solo il bell’aspetto non apporta quasi mai nulla di più sostanzioso che una epidermica attrazione, ma è anche un luogo comune che sogni, passioni, e sentimenti amorosi, siano solo prerogative della giovinezza. Infatti passioni e tenerezze non si esauriscono nel primo periodo della vita, tant’è che molte persone d’età hanno charme e carica psicologica per desiderare e per rendersi amabili e seducenti.
Lo psicoanalista James Hilmann è del parere che quando la vita è ben vissuta, l’anziano o l’anziana, se in buone condizioni fisiche, non rinunziano all’amore.
Gli esempi di persone che anche in tarda età hanno vissuto esperienze passionali sono tanti. Per fare dei nomi a caso tra gli attori e gli artisti ricordiamo Jean-Paul Belmondo, Bob Hope, Renato Cucciola, Fred Astaire, Marlon Brando, Antony Quinn, Ernesto Calindri, Charlie Chaplin, John Wayne, Leo Ferré, Paola Borboni, Marlene Drietrich, Anna Magnani, Edith Piaf e tra gli scrittori, i pensatori, gli scienziati e i politici Victor Hugo, Wolfhang Goethe, Wagner, Arturo Toscanini, J. P. Sartre, Marguerite Duras, Bertrand Roussell, Giuseppe Verdi, Guglielmo Marconi, Wolfhang Goethe, Otto Bismark, il generale Radetzky, Francisco Goya, Auguste Rodin, Boris Pasternak e tantissimi altri, i quali non hanno rinunziato all’amore nemmeno a tarda età. (Totò incontrò la ventenne Franca Faldini quando aveva 54 anni, e tra i due fu subito colpo di fulmine).
Benjamin Franklin, a metà del ‘700 nel suo saggio Advice to a Young Man affermò che la persona matura può avere un fascino particolare. E a tal riguardo specificò varie ragioni per desiderare anche una donna non più giovane. Tra l’altro, secondo quell’autore, la donna d’età è più appagante, perché più affettuosa e riconoscente.
Solzenicyn a quaranta anni risposò Natalya Reshetovskaya, con la quale si era legato in matrimonio vent’anni prima e dalla quale aveva divorziato dopo dieci, affermando che non aveva trovato, dopo il divorzio, ragazze idonee a sostituire degnamente Natalya, sua coetanea.
A cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, Isabella Stewarrt Gardner, mecenate e musa di artisti famosi, fu al centro di tanti e stimolanti amori fino a tarda età (Isabella morì nel 1924 a 84 anni). Attorno a lei gravitarono, malgrado la chiusa società bostoniana, amanti, innamorati e corteggiatori, tra cui gli scrittori Thomas S. Eliot, Francis Marion Crawford, Henry James, il critico d’arte Bernard Berenson, il pittore e scultore John Singer Sargent.
Al pari di Isabella Stewart Gardner, la stilista Helena Rubistein, la magnate dell’arte Peggy Guggenheim e la direttrice del Museum of Modern Art di New York, Sagnes Gund, hanno collezionato, fino a tarda età, focosi corteggiatori e amanti appassionati i quali non hanno tenuto conto della data di nascita di quelle protagoniste dell’amore.
L’ultrasessantenne Jorge Luis Borges ebbe un intenso legame con la giovanissima Maria Kodama. Lo scrittore la conobbe quando, dopo la morte della propria madre, cercò una segretaria che facesse le veci della scomparsa. La sensibile e generosa Kodama accudì per anni l’amico senza mai mostrare di stancarsi. Intelligentemente la Kodama s’arricchì dell’erudizione dell’amico e scrisse anche dei libri. Borges, dopo dodici anni di quella frequentazione, per testimoniare a Maria il suo affetto e la sua riconoscenza, la sposò.
Racconta Gaetano Saglimbene in un suo libro di memorie sui personaggi che a metà del ‘900 vissero a Taormina, che quando arrivò in quella località mondana la cinquantenne Florence Treveylan ricca, colta e innamorata della vita, mise in subbuglio la gioventù maschile del paese, che si contese le grazie della miss inglese.
Mary Wesley, l’autrice che cominciò a pubblicare libri quando di solito gli altri finiscono, raccontò a un giornalista, a proposito del suo romanzo Quel tipo di ragazza, di avere scoperto a settanta anni la vena di scrittrice, e di “intrigare” i suoi lettori con storie, tutte best-seller, che narrano anche passioni tra anziani.
«Non lo si può dire apertamente, affermò la Wesley, ma col sesso non s’invecchia»
Quando Colette incontrò Bertrand de Jouvenel aveva quarantasette anni e lui sedici. Bertrand era figlio del secondo marito della scrittrice. La narratrice abitò a lungo da sola con lui, e tra loro nacque una ambigua liaison, forse quella stessa che Colette descrisse poi nel suo romanzo Chéri, storia d’un amore tra una cinquantenne e un ventenne.
Purtroppo le lettere in cui Colette svelava i suoi sentimenti per Bertrand sono andate perdute, ed è difficile sapere davvero fin dove si spinsero i suoi rapporti col giovane. Tuttavia, dalle testimonianze di amici della scrittrice, e dal fatto che il padre di Bernand, Henry de Jouvenel e la ex moglie, madre del giovane, litigassero perché la donna accusava l’ex marito di non avere saputo impedire che la scrittrice “corrompesse” il loro figlio, si può desumere che tra Colette e il giovane vi sia stata una passione. Ma poco importa cosa sia in concreto accaduto tra i due, ciò che interessa è che il caso mette in luce come una persona d’età possa infatuarsi al pari di una persona giovane, e che si può avere atanto sexappeal anche in età avanzata.
Unione bizzarra quella del pittore Anselm Feuerbach con la popolana Antonia Risi, detta Nanna, più giovane di lui di venticinque anni.
Antonia, moglie di un ciabattino abbandonò marito e figli per “l’anziano” Feuerbach. Invaghito di quella donna dal carattere schietto e spontaneo, l’artista ne fece la sua modella e la sua musa ispiratrice.
La scrittrice Nada Peretti, nata nel 1875 nel profondo Sud, a Macerata, non nascose, ormai cinquantenne, in una intervista rilasciata poco prima della sua immatura fine, la propria predisposizione e il proprio entusiasmo per l’amore. Nei suoi romanzi la Peretti mise in luce che la sessualità dei non più giovani è altrettanto valida.
A New York, a fine secondo millennio, scrivono le cronache che la quarantenne Carmen Valentin, divorziata e nonna, avendo convissuto con Henry Goody un ragazzo di quattordici anni, ha avuto un figlio da lui.
Agli inizi del 2000, in una trasmissione televisiva americana presentata da Jerry Spinger, è andata in onda la storia di Dawn Martie Evans, una signora sulla quarantina che aveva intrecciato una relazione col cognato sedicenne.
A Seattle la professoressa Mary Kay Le Tourneau, trentacinquenne madre di quattro figli, s’è innamorata d’un tredicenne suo alunno, ed è rimasta incinta di lui. Lo stesso accadde nel 1996, in Francia, quando un’insegnante di scuola media, la trentaquattrenne Mary Kay Letourneau, ha lasciato marito e quattro figli per Villy Faulau, suo allievo tredicenne, con le conseguenze legali che si possono immaginare.
In qualche caso, alle persone d’età che s’imbarcano in una liaison possono capitare imbarazzanti episodi come quello di cui è stata vittima Pupella Maggio. L’attrice sposò in età avanzata Luigi Dell’Isola, di ventidue anni più giovane di lei. Purtroppo il giovane marito risultò un cacciatore di dote. Infatti, sebbene l’attrice gli avesse aperto interamente le porte del proprio cuore, lo avesse nominato direttore del teatro di Eduardo e gli avesse donato case e terreni, egli non manifestò mai una sincera passione per la Maggio, e alla fine fu chiaro che l’aveva sposata esclusivamente per il denaro e per poter “frequentare” le soubrette del teatro.
Tuttavia non è solo alle persone d’età che capitano infortuni amorosi, capitano anche ai giovani e, forse, più spesso che agli anziani.
Sindrome di cleropatra e complesso del dongiovanni (39)
Nella nostra epoca le apparenze a volte valgono più della sostanza e soprattutto il sex-appeal apre le porte del successo più di ogni altro valore, più della cultura e talvolta persino più dell’intelligenza.
Convinti che la bellezza sia tutto, alcune donne e alcuni uomini che ne sono dotati particolarmente se ne servono cinicamente. La sindrome di Cleopatra è il disturbo sexy-narcisistico che colpisce donne che si ritengono “fatali”. Chi è affetto dal complesso del “dongiovanni” incarna l’archetipo del libertino, cinico ma irresistibile. Superbia e fierezza, egocentrismo e vanità, ostentazione di raffinatezza e, nel contempo, arroganza, ambiguità e irrisione, sono tratti comuni ad entrambe le incarnazione del narcisismo, quella femminile e quella maschile.
Tuttavia, secondo gli psicologi, le persone narcisiste nascondono a malapena una “nevrotica” profonda disistima di sé e così sono, paradossalmente, angosciate.
Il loro narcisismo copre appena le loro insoddisfazioni interne.
L’atteggiamento definito “gallismo”, o “dongiovannismo”, è presente sia nella vita che nella letteratura, così come è comune nella vita e nella letteratura la sindrome di Cleopatra. Per fare degli esempi letterari, il protagonista de “Il bell’Antonio”, di Brancati è il clou della vanità maschile, e Madame Bovary di Flaubert è l’emblema della esibizione narcisistica femminile.
Cleopatra, viziata dal padre, era vanagloriosa, tronfia e dominata da smisurata passione per il potere. Non era bella, ma il suo sex-appeal era irresistibile. Narcisista, astuta, era sicura di arrivare dove voleva utilizzando il proprio eros.
Quando il vecchio Pompeo inviò il figlio in Egitto per “trattare” un’alleanza con la regina, Cleopatra si concesse al giovane, credendo che costui avrebbe sostituito il padre nella guida di Roma. Ma fece male i suoi calcoli: il vecchio Pompeo fu sconfitto da Giulio Cesare. Cleopatra, allora, senza esitazione, abbandonò il figlio del vinto, ed entrò nel letto del vincitore Giulio Cesare e con l’uso appropriato di moine e leziosaggini, lo incantò. Quando questi fu ucciso, la regina non si perse d’animo e sedusse Marc’Antonio, divenuto il numero uno. Costui s’innamorò perdutamente di Cleopatra, ebbe da lei tre figli. Con smodata volontà di primeggiare, l’egiziana spinse l’amante ad attaccare Ottaviano per conquistare l’Impero. Antonio venne però sconfitto e si uccise. Cleopatra non si diede per vinta. Andò da Ottaviano Augusto, nuovo numero uno, sfoderando l’accattivante sex-appeal col quale aveva abbindolato Cesare e Antonio. Ma Ottaviano non si lasciò ammaliare, e la regina,vistasi perduta, pose fine ai propri giorni.
I casi simili a quello di Cleopatra in cui vi è un ossessivo desiderio di primeggiare, hanno origine da un’infanzia vissuta al centro dell’attenzione oppure derivano, viceversa, da un’infanzia sfortunata come quella di Cenerentola, in cui è andato tutto storto. In ogni caso, i comportamenti delle cleopatre e quelli dei dongiovanni testimoniano l’esistenza di ferite narcisistiche e la conseguente necessità di “risarcimento” che si manifesta nel bisogno di essere sempre al centro dell’attenzione.
Esibizioniste, mitomani e seduttive furono Messalina e Agrippina. Egocentrica e narcisista, Zoe, figlia di Costantino VIII, accolse nella propria alcova gli uomini che le potevano consentire la conquista del potere. La nobile romana Marozia faceva leva sul proprio charme per dominare in politica. Fu amante di papa Sergio III, e grazie a ciò poté spadroneggiare in Roma. In Francia, la Pompadour, con le sue moine e richiami erotici manipolò il monarca tant’è che chi voleva far carriera doveva rivolgersi a Madame, e magari passare dal suo letto.
Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, cugina e amante del Cavour, con la sua provocante bellezza dominò molti politici, tra cui Napoleone III, che, affascinato da quella “stupenda creatura”, intervenne in favore dell’Unità d’Italia.
Barbara Hutton, miliardaria egocentrica e vanesia, ebbe tutto ciò che voleva. Ebbe molti mariti e molti amanti, ma fu infelice. Temendo che gli uomini l’amassero per i suoi soldi, trattò tutti con alterigia e, come accade in questi casi, non ebbe mai amici sinceri. Smaniosa del successo Zsa Zsa Gabor, fascinosa, altezzosa e spregiudicata, visse alla ricerca della popolarità e del dominio sugli altri. Sebbene si mostrasse briosa, Zsa Zsa in privato era infelice. Le persone narcisiste ritengono le mancanze di attenzione nei loro riguardi cocenti e disastrose sconfitte. Afflitte da una maniacale paura del giudizio della gente, queste persone sono timide anche se in pubblico si mostrano aggressive e sferzanti. In realtà, esse sono sempre in bilico tra entusiasmo sfrenato e depressione devastante, e vanno incontro a gravi defaillance.
Barbara Stanwyck all’approssimarsi della vecchiaia affogò nell’alcol la sua depressione. Greta Garbo, a trent’anni, non sopportando la prospettiva del suo declino, si chiuse in casa e visse melanconicamente per altri trenta anni. Jean Harlow brillante diva degli anni Trenta, sotto la maschera di sex- symbol ebbe una vita travagliata e amara. Rita Hayworth, esuberante e fascinosa femme fatale, terrorizzata dalla decadenza fisica, divenne alcolista
E tuttavia, malgrado tanta fragilità interiore, queste persone “appariscenti”, utilizzando al meglio il loro sex appeal, e sebbene si distinguano spesso per arroganza e alterigia, riescono ad affascinare. La “maliarda” è sponsorizzata dai media come symbol di femminilità, e l’uomo narcisista è ritenuto l’élite maschile, “colui che non deve mai chiedere”. Questo genere di individui, donne o uomini che siano, hanno un’interiorità limitata, perché la loro vita è solo protesa a valorizzare le apparenze e l’immagine esteriore. E tuttavia riscuotono successo.
Porfirio Rubirosa fu un dandy dalle vicende banali ma di lui si occuparono i rotocalchi perché rappresentava il sex-symbol del momento. Cacciatore di dote, frequentò l’alta società, fu ospite dei Kennedy, dei Rothschild, del Maharaja di Jaipur, dei reali di Iugoslavia. Ebbe ricchi doni dalle “ammiratrici”, dalle amanti e dalle donne che sposò. Lo amarono Flor de Oro, figlia di Truijllo; l’attrice Danielle Darrieux; Doris Duke erede del magnate del tabacco; la miliardaria Barbara Hutton; la ricchissima fotomodella Odile Rodin. Fu amato pure da Zsa Zsa Gabor, da Dolores del Rio, da Ava Gardner, da Joan Crawford, da Jayne Mansfield, da Susan Hayward.
Ma con nessuna di queste donne Porfirio ebbe legami profondi. Esse, dopo i primi fuochi, erano deluse, ritenendolo narcisista e fatuo. Rodolfo Valentino, sex-symbol dell’inizio del ‘900, per volere della casa produttrice, ad ogni nuovo film, imbastiva una liaison con l’attrice più “in” del momento. Una fiction che faceva presa sul pubblico e riempiva le sale cinematografiche. Pochi però sapevano che a Rodolfo Valentino non piacevano le donne.
Gli “irresistibili” seduttori, maschi o femmine che siano, sono spesso individui frivoli, capricciosi e superficiali. La loro mondanità si fonda sull’apparenza, e molti di essi sono fatui ed egocentrici. Tuttavia il loro narcisismo ha “presa” e fa breccia sul pubblico. Il gioco vanesio, vuota sceneggiata, affascina al punto che le frivole cronache mondane portano alla ribalta e “valorizzano” i narcisi e le narcise. Affermava Oscar Wide, «È possibile l’esistenza di seduttori vanesi e futili perché alcune persone, altrettanto effimere, sono orgogliose di farsi sedurre da questi personaggi». Spesso le donne colpite dalla sindrone di Cleopatra sono affascinate da narcisistici dongiovanni e viceversa; tuttavia, l’accoppiata tra due personalità che “devono primeggiare per sentirsi vivi”, non sempre è duratura: si veda, tanto per fare un esempio, il caso Nicole Kidman e Tom Cruise.
Cleopatre e maschi ruspanti, pur essendo al centro delle cronache perché rappresentano un invidiato status symbol, sono però in privato persone fragili, destabilizzate soprattutto dalla paura di un veloce declino del loro sex-appeal.
«E tuttavia, purtroppo – lamentava il sociologo Herbert Marcuse – in alcuni settori della società sono proprio queste le persone più di spicco»
Ipocrisie sociali (40)
Diceva lo scrittore inglese J.B. Shaw che i campi in cui c’è più doppiezza sono la politica e la sessualità, ma che l’ipocrisia regna sovrana in particolar modo proprio nel secondo di questi due campi.
L’eros nella nostra cultura ha un alcunché di ambiguo e imbarazzante anche in Paesi che si definiscono di idee libertarie. Per fare un esempio: nella pur liberale Bibliothèque azionale di Parigi, le opere sull’argomento sono relegate in una sezione nascosta, chiamata l’Enfer, abbreviazione di enfermée, cioè chiusa al grosso pubblico. Nel British Museum di Londra, città di più larghe vedute, invece, a questo genere di libri è riservata una sezione appartata, ma non “chiusa al pubblico”.
Per dimostrare quanta incoerenza e impostura vi sia in materia di sessualità basta dare uno sguardo al passato: in Francia al tempo della costruzione di Notre Dame, le prostitute furono invitate a offrire una grande quantità di ducati per aiutare il re alla costruzione di quel tempio. E così, proprio grazie alla raccolta dei fondi ricavati dai contributi elargiti dalle “donnine allegre”, si arrivò alla realizzazione delle bellissime vetrate di quella cattedrale.
Lo storico Paul Larivaille riferisce che nella Roma del Rinascimento il papato ricavava notevoli introiti dal “capitano dei lupanari”, cioè da colui che sovrintendeva al commercio più antico del mondo, tant’è che nel 1517 Leone X ordinò la famosa “tassa delle p…”, dalla quale, visto il gran numero di professioniste che viveva in quella città, poté attingere notevoli proventi.
Il Governo di Venezia da un lato “fingeva” di voler moralizzare le piazze, facendo sgombrare le adescatrici, dall’altro guadagnava somme enormi sui proventi di quelle povere donne. In quello Stato, nel 1514, venne emanata una tassa straordinaria “sulle prostitute” per finanziare importanti lavori nell’arsenale.
Tra il ‘400 e il ‘600 la pressione moralistica diede origine all’inasprimento della condanna del meretricio. In molte grandi città si espulsero le adescatrici, ma l’allontanamento delle professioniste portò scompensi economici notevoli. Le cortigiane di alto bordo erano così ricche che con i loro depositi finanziavano anche grossi banchieri. Tanto per dirne una, l’espulsione delle donne di mestiere provocò a Roma, a Venezia e in altre città notevoli fallimenti, tant’è che i governi di quelle città rinunziarono alla moralizzazione e ridiedero a quelle donne la libertà di esercitare il loro mestiere!
Altrettanto irragionevole risulta il fatto che nello stesso periodo in cui gli Stati chiedevano contributi alle donne che esercitavano il mestiere, con dubbia coerenza si imponessero restrizioni nel campo dell’arte: il Giudizio Universale di Michelangelo venne fatto più volte correggere perché, secondo una commissione di moralisti, “c’erano troppi nudi”, e “alcuni angeli erano senza ali”, etc. etc. Clemente VIII pensò di distruggere quel capolavoro, ritenendolo immorale.
A Venezia, città che, secondo le cronache del tempo, ospitava più di 700 prostitute, le quali contribuivano, con soddisfazione dei governanti, ad impinguare le casse della Repubblica, l’Inquisizione veneziana costrinse il Veronese a cancellare ne La cena di Casa Levi, i personaggi ritenuti “troppo lascivi”.
In quanto agli intellettuali, c’è una schiera di autori “insospettabili”, dalla morale ipocrita, puritani di facciata ma trasgressivi in alcune opere o nella vita privata. Tra essi ricordiamo il “severo” Machiavelli, che scrisse un saggio sull’argomento, l’Erotica, opera manco a dirlo quasi sconosciuta; Charles Dickens, considerato un moralista per i suoi celebri libri per ragazzi era padre di dieci figli (avuti da Catherine Hogart) ma nel contempo ebbe varie relazioni, tra cui una con la sorella minore della moglie e un’altra con l’attrice Nelly Terman; il “sentimentale” Antonio Fogazzaro, nel romanzo “Il Santo” esaltò però l’eros; Giosuè Carducci, poeta e moralista, fu nella vita un grande amatore ; Felix Salten, ideatore di Bambi, notissimo capriolo “adottato” da Walt Disney, scrisse molti libri per bambini, ma compilò pure, non dandoli alle stampe per non perdere la reputazione, racconti di avventure lascive. Voltaire che da ragazzo aveva ricevuta dai gesuiti una rigida educazione religiosa, divenuto in seguito assertore della libertà di pensiero, a ottantadue anni scrisse L’Odalisca, racconto licenzioso ed erotico, pubblicato dopo la sua morte. In quanto a La Pulzella d’Orleans, anch’essa opera licenziosa, gaia e spensierata, Voltaire, temendo la galera, la diede alle stampe come opera di anonimo. E un altro illuminista, il Diderot, si cimentò nella letteratura erotica con Les Bijoux Indiscrets. E persino Mirabeau, pensatore impegnato politicamente e sociologicamente, scrisse “di nascosto” Le Rideau se lève, ou la Education de Laure che contiene straordinarie descrizioni pornografiche.
E che dire di Parini? Scrittore serioso e sussiegoso del Settecento, egli scrisse anche un’opera erotica: la Novella di Baccio Pittore. Jonathan Swift, autore de I Viaggi di Gulliver, compose, senza avere il coraggio di pubblicarle, molte poesie pornografiche. Horace Walpole, letterato e uomo politico inglese del Settecento, in pubblico si mostrava serioso e compunto, ma, in un suo saggio storico dal titolo Memorie sui regni di Giorgio II e Giorgio III, predomina il gusto della narrazione piccante. Anche il romantico poeta Alfred De Musset scrisse un racconto erotico, Gamiani, che pubblicò a sue spese e fece circolare tra gli amici intimi.
Persino Federico Garcia Lorca, forse il più sentimentale dei poeti, ha scritto gustosissime poesie erotiche.
Giovanni Verga se ne “La storia di una capinera” e in “Eva”, esaltò l’unicità dell’amore «perché da’ il senso più profondo nella vita», in pratica sconfessò col suo modo di vivere quotidiano i moralismi propugnati in molti suoi libri. Infatti, lo scrittore ebbe molte amanti e condusse una esistenza trasgressiva. Solo in Eros, un Verga fattosi più sincero, quasi con una confessione, dice per bocca del protagonista del racconto: «Noi avveleniamo la nostra vita esagerando e complicando i piaceri dell’amore sino a farne dei dolori».
«La sensualità – osservava Oscar Wilde – è il più difficile degli impulsi da frenare, ma è quello che più si cerca di tenere nascosto. Infatti, se da un lato ufficialmente predominano bigottismo e critiche nei confronti della libertà dei costumi, dall’altro in segreto, la gente tende a divertirsi in questo campo». Una riprova della verità delle affermazioni di Wilde si ha se si considera, per esempio, come sono affettatamente ignorate, ma solo in pubblico, le opere del siciliano Domenico Tempio, mentre in privato questo autore ha molti lettori e grande successo.
Del resto, ad osservare con attenzione la società, si può notare che la gente sotto sotto ammira e invidia i comportamenti libertini, però, per non sentirsi in colpa, accetta ufficialmente solo le trasgressioni dei personaggi pubblici più di spicco. E così, se certe libertà scandalose vengono contestate alle persone comuni, le stesse esperienze invece affascinano se ne sono protagonisti divi e dive, intellettuali, magnati dell’industria e del commercio.
Pertanto le personalità che più contano nel campo dell’arte, della cultura, della finanza, del cinema e in altre attività di pubblico dominio, ostentano impunemente le proprie licenziosità, col risultato che ricevono perfino un ammirato consenso dalla gente. Le persone comuni, invece, non protette dalla immunità morale concessa a chi ha un vasto e rilevante consenso popolare, vengono ipocritamente condannate per le medesime disobbedienze nel campo dell’amore e dell’eros che, al contrario, sono considerate il fiore all’occhiello dei personaggi famosi.
Ciò fa riflettere su quanto l’ambiguità sociale in questo campo regna sovrana ed anche su come è maldestramente dissimulata.
Menzogne e tradimenti
Giovanna Zucconi in un suo articolo su La Stampa scrive che né gli animali né gli uomini sono fedeli per natura. La prova del Dna ha messo anche in crisi la reputazione di uno degli animali più monogami per antonomasia: il cigno. Ebbe, si è visto che il Dna “di papà” cigno non era in tutte le covate. La stessa figuraccia hanno fatto l’oca e l’echidna. Insomma, si è appurato che fra quattromila specie di animali non più di una dozzina formano coppie stabili, e tra queste è pure possibile rilevare delle “scappatelle”.
Mentire e tradire, anche sfacciatamente, è pratica comune pure tra gli esseri umani. Diderot, ne Il nipote di Rameau, fa dire al protagonista, cacciato da casa dai padroni perché aveva detto una verità scomoda, che l’unica cosa utile al mondo è la menzogna.
«Come potrebbero vivere in pace gli uomini, ed evitare di venire sempre a diverbio, senza ingannarsi?». Il giovane nipote di Rameau, sostiene che per affermarsi e andare avanti nella vita bisogna un po’ fingere e un po’ mentire e un po’ anche tradire. Senza questi escamotage, è impossibile la convivenza in un mondo che non accetta di sapere davvero come stanno le cose.
Il filosofo Bertrand Russell, in Matrimonio e Morale scrive: «Io credo che nei popoli civili, liberi di inibizioni, uomini e donne siano generalmente poligami per istinto. Essi possono innamorarsi profondamente ed essere per qualche anno del tutto assorbiti in una persona, ma prima o dopo l’intensità della passione diminuisce ed essi cominciano a guardare altrove nella speranza di rinnovare l’antico brivido. Tale impulso può essere controllato nell’interesse della morale, ma è molto difficile far sì che questa spinta scompaia.
Lo psicoanalista Aldo Carotenuto, in Riti e Miti della seduzione, sostiene che, sebbene l’amore occupi un posto centrale, ed esso non si può sacrificare tutto. Inoltre non è possibile mettere tutto in chiaro, perché una parte di noi potrebbe non piacere all’altro. E dunque, inevitabilmente si finisce col mentire al partner. E per ciò bisogna rassegnarsi all’idea che l’amore ci permette solo di raggiungere transitoriamente una condizione di appagamento del desiderio.
Amare è un po’ anche tradire, afferma J.B. Neuman, perché, dice questo sociologo, quando si ama si “espone la parte migliore di noi al partner”, ma col passare del tempo diventa sempre più chiaro il tradimento iniziale.
Alla lunga infatti è impossibile evitare il primo “tradimento” perché è difficile continuare a “nascondere” quello che di noi occultammo per fare bella figura col partner.
In realtà, uomini e donne non sempre seguono le regole imposte dalla società. Secondo il sessuologo Willy Pasini in qualche caso trasgredire serve a superare la crisi, a ristabilire gli equilibri. Alcune donne tradiscono per rabbia, per vendetta, per ripicca, per scaricare l’astio.
Tradire è assumersi la responsabilità di un’eventuale rottura del ménage, ma è anche mettere in discussione il proprio ruolo all’interno della coppia.
Le unioni “di facciata” (41)
Spesso, soprattutto tra gente che vuole (o deve) curare la propria immagine pubblica, certe unioni sono determinate da motivi politici, commerciali, dinastici, e persino pubblicitari, piuttosto che da un vero trasporto.
A volte è anche l’incapacità a saper scegliere che porta a unioni del tutto formali, quelle che cioè non hanno un substrato d’intesa. In tutti questi casi la coppia vive in funzione della “facciata sociale”.
La sorella della regina d’Inghilterra, Margaret, negli anni 50 del 900, innamoratissima di Peter Towsend, un ex scudiero, avrebbe voluto sposarlo. Ma il suo desiderio fu contestato dalla Corte, dal Governo e dalla stessa Elisabetta la quale invitò la sorella a fare “un matrimonio accettabile per la Corona”. Margaret, nel 1953 sposò Antony Armstrong-Jones, ma l’unione tra i due rimase solo formale, e quando l’apparente intesa venne meno, Margaret finì depressa.
Il caso di Diana Spencer e del Principe di Galles, Carlo d’Inghilterra è emblematico. Carlo amava Camilla Shand, (oggi meglio conosciuta come Camilla Parker Bowles) ma la relazione imbarazzava le alte sfere religiose inglesi e la Corona. L’erede al trono fu pertanto invitato a scegliere una donna che potesse entrare a Corte senza dare problemi. Ma tra Carlo e Diana fu una unione di facciata: il Principe di Galles continuò ad amare Camilla, e Diana, infelice, cercò altrove consolazione. Per anni, tuttavia, i due nascosero il loro imbarazzo e mostrarono in pubblico di essere una coppia unita!
Anche il matrimonio tra John John Kennedy e Carolyn Bassette, una stilista molto nota, dava l’impressione di essere felice. Ma in realtà i due tennevano “una facciata” pubblica, per contentare le ambizioni della frist family d’America, ma la loro unione non era affatto felice. Quel matrimonio era stato caldeggiato dal clan dei Kennedy, e aveva indotto a sognare gli americani che vedevano nei due sposi un replay del matrimonio del presidente John Fitzgerald con Jaqueline Bouvier. Ma invece tra Carolyn e John John non v’era intesa. Carolyn iraconda era schiva della droga, e John John remissivo e poco determinato non sapeva condurre il rapporto. Malgrado la famiglia Kennedy facesse di tutto per far apparire “felice” quella unione, i due vivevano separati. In pubblico, però, per ottemperare ai doveri sociali, si mostravano “uniti”. Purtroppo, quel matrimonio ebbe una fine tragica: l’aereo pilotato da John John nell’estate del 1999 si inabissò nei pressi dell’isola Martha’s Vineyard.
Un matrimonio di facciata fu anche quello di un’altra Kennedy, Kerry, figlia di Bob Kennedy, con Andrew Cuomo, rampollo dell’ex governatore di New York. L’unione voluta per fini politici, dopo 13 anni venne meno malgrado i due, in pubblico, facessero buon viso a cattivo gioco per non dispiacere i loro “clan”.
Anche l’unione tra Maria Callas e Aristotele Onassis è un esempio di unione di facciata. Maria s’invaghì del miliardario perché Meneghini, il suo primo marito era parsimonioso, e la diva, all’apice del successo voleva ostentare il successo della carriera anche con la ricchezza.
Onassis unendosi alla Callas volle forse mostrare di apprezzare la cultura musicale, dote della quale era del tutto carente. Ma i nodi vennero al pettine a causa del divario di interessi e di esperienze che separava i due.
Di facciata fu anche il matrimonio tra il regista Fritz Lang e la sceneggiatrice Thea von Harbou. Il produttore Erich Pommer li fece conoscere nel 1916, perché li utilizzò come soggettisti e sceneggiatori. Quando Lang passò alla regia, la von Harbou scrisse tutti i suoi copioni. Nel 1924 Thea divorziò dall’attore Rudolf Klein-Rogge, e Pommer spinse i due a dare “una facciata” al loro sodalizio artistico: «Pensate come sarebbe bello se la gente vi vedesse uniti nell’arte e uniti nella vita». I due erano però di sensibilità e ideologie discordanti. Lang era figlio di una ebrea, e Thea una militante del partito nazista. La donna, non sopportando il pacifismo del marito denunziò Lang alle SS come ebreo. Avvertito da un amico, il regista fuggì in tempo, assieme a Pommer, prima in Francia e poi negli Usa.
La scrittrice Charlotte Brontë fu protagonista di una storia d’amore disastrosa con Constantin Héger. Costui, un insegnante belga in apparenza culturalmente brillante e carismatico, era debole di carattere. Inoltre Heger che la scrittrice amava perdutamente era marito della padrona della casa nella quale la Brontë abitava a Bruxelles. Costantin, da debole, non solo non si decise mai ad abbandonare la moglie, cosa sulla quale del resto Charlotte non insisté, ma rese infelice la scrittrice con ripicche, gelosie e prevaricazioni.
Alla fine la trentottenne Charlotte, non sopportando più le ambiguità dell’amante, per dare alla sua immagine una esteriorità sociale, sposò il reverendo Nicholls. Ma questo rapporto fu una “unione di facciata”. Infatti i due era molto diversi per carattere e per ideologia. Il matrimonio di Charlotte ebbe però breve durata: alla prima gravidanza la scrittrice, travagliata da complicazioni ginecologiche, finì nella tomba.
A Palermo, a cavallo tra l’800 e il 900, si svolse una vicenda davvero incredibile. Il tenente colonnello dei Bersaglieri Giacomo Barraia-Zacca, di nobile casata, s’innamorò di una leggiadra ragazza che conobbe “a distanza”, mentr’ella era sul balcone. Infatti Giacomo, per andare in caserma, passava e ripassava per viale Libertà, e così ebbe modo di notare più volte la bellissima fanciulla affacciata.
Poiché a quel tempo era impossibile avvicinare la donna di cui si era invaghiti, perché l’etichetta imponeva che l’innamorato si facesse avanti presso la famiglia della prescelta con proposte serie, Giacomo, dopo essersi informato delle generalità della ragazza, mandò un intermediario a casa del padre della fanciulla, per fissare, com’era consueto farsi allora, un colloquio per determinare le modalità del fidanzamento. Il barone Colajanni, genitore della ragazza, soddisfatto delle referenze avute sul giovane, lo invitò assieme alla di lui famiglia per la presentazione ufficiale della figlia.
L’incontro tra consuoceri e futuro genero si svolse in un’atmosfera armoniosa nel salotto roccocò. Alla fine del colloquio il nobile padre della sposa, fece introdurre la figlia perché potesse incontrare finalmente lo spasimante e la sua famiglia. La ragazza entrò nella stanza felice e raggiante e andò incontro al tenente colonnello il quale, invece, alla vista della “promessa sposa” rimase di stucco. Era accaduto un fatto imprevedibile e spiacevole: per un errore di identificazione, Giacomo aveva chiesto, poco prima, al barone padre, in sposa la figlia Carola, ma in realtà non intendeva indicare con quel nome quella ragazza, perché quel nome gli era stato suggerito erroneamente dal mediatore, ma l’altra figlia del Colajanni, Anna Maria.
Così, alla vista di Carola, Giacomo ebbe uno sbandamento. La gaffe era enorme, e il tenente colonnello non ebbe il coraggio chiarire l’increscioso equivoco, né tanto meno di disilludere la ragazza la quale, anche lei, nei mesi passati, aveva adocchiato il bel militare che passava speso sotto casa e aveva immaginato che dedicasse a lei quelle passeggiate. Infatti, vedendo la ragazza felicissima il Barraia-Zurria non ebbe la prontezza di confessarle l’equivoco. A quel punto, l’onore militare, gli impose di mantenere fede a ciò che aveva promesso solennemente al suocero. E così Giacomo, controvoglia, per non “fare brutta figura”, sposò Carola. Per lui fu un matrimonio di facciata, perché Anna Maria rimase sempre nel suo cuore.
Certo, ai giorni nostri questo tipo di sensibilità è venuta meno da un pezzo.
Ma, tutto sommato, forse è meglio così.
Il senso del pudore (42)
Sul pudore si è detto e si è scritto molto. Ma soprattutto in suo nome si sono commesse prepotenze e soprusi. Il pudore, dicono i vocabolari, è “timore di fare o di sentire scostumatezze”; “senso di avversione e di difesa nei confronti di aspetti equivoci e morbosi del sesso”. Esso comporta dunque sia “il bisogno di allontanare il sospetto di una disponibilità a fare cose che il comportamento sociale avversa”, sia “un imbarazzo per certi atteggiamenti altrui”. Dante, con fine intuito psicologico, lo definì: «ritraimento d’animo da laide cose con paura di cadere in quelle».
Se il pudore è la virtù di ritrarsi da ciò che è sconveniente, quando diventa una caccia alle streghe mostra un accanimento sospetto. Infatti, l’esagerata esternazione della pudicizia potrebbe nascondere la paura inconscia di “accettare” ciò che esteriormente si critica. Da questo punto di vista, il pudore, secondo gli psicologi, è un meccanismo di difesa. Il temere di mostrare l’”ego” impudico, fa scaturire il senso del pudore. Esso esprimerebbe, sempre secondo gli psicologi, un conflitto tra il bisogno di soddisfare necessità istintuali e il timore di essere coinvolti in desideri proibiti. Da ciò si scatenerebbero sensi di colpa con relative, grottesche estrinsecazioni di pudore.
Assurda sfuriata fu quella che fece Oscar Luigi Scalfaro nel luglio 1950, all’interno del ristorante Chiarina, a Roma, quando si scagliò contro «le indecenze» della signora Edith Mingoni-Toussan, colpevole d’indossare un abito con bretelle che lasciavano intravedere le spalle nude. Scalfaro entrando nel ristorante e notando la donna s’infuriò e alludendo al decolleté della donna gridò: «È abominevole! È uno schifo!». Poi rivolto alla malcapitata: «Le ordino di rimettersi il bolero!». Forte della carica che rivestiva, Scalfaro invitò la polizia a portare in questura la signora.
A metà del ‘900 il senso del pudore non fu solo prerogativa di uomini della DC, ma anche nel Partito Comunista vi furono episodi di intolleranza. Nel 1948, Pier Paolo Pisolini, dirigente del partito, venne radiato perché omosessuale. Identico provvedimento nei confronti di Pietro Tresso. Alle Botteghe Oscure vigeva a quel tempo una inquisizione durissima. L’Ufficio Quadri, diretto con squallida pudicizia da Edoardo D’Onofrio, controllava la moralità sessuale degli iscritti.
In questo clima va inserito l’episodio che vide protagonista Palmiro Togliatti, il quale diede del “degenerato” allo scrittore omosessuale André Gide, e considerò J. P. Sartre un depravato perché difendeva i gay. In questo contesto, c’è da ricordare che a Domenico Modugno fu censurata la strofa di una sua canzone, ritenuta impudica, perché un verso così recitava: «resta cu’ me, vita da vita mia, nun m’importa chi t’avuto….». Frase considerata licenziosa.
Gli strali del comune senso del pudore si abbatterono anche su Carlo Sforza, pupillo di De Gasperi, diplomatico e politico molto quotato. Indicato nel 1948 come uno dei possibili presidenti della Repubblica, alcuni influenti del partito, farisei e bigotti, non sopportando la sua sensibilità al fascino femminile, sostennero che, “essendo un dongiovanni”, non garantiva serietà alla carica.
E così, a Sforza fu preferito Luigi Einaudi.
Anche nel cinema la censura del “comune senso del pudore” ha avuto mano pesante, e a volte è stata molto ridicola. Ne Il bell’Antonio fu censurata la frase: «come si fa’ a fare i figli?». Nel 1955 il film Totò e Carolina venne mutilato di quindici minuti. Si dovette sostituire la parola prostituzione con sregolatezza, la protagonista non fu più definita peripatetica ma svitata; la parola donnaccia sostituita da povera disgraziata. Censurati persino Totò cerca casa, Totò e le donne e Guardie e ladri. Ne I dolci inganni di Lattuada, censurata una scena in cui la Spaak si alza dal letto al mattino con una corta camicia di notte. Per la televisione si pretese che le ballerine, sotto le vesti, tenessero sottovesti rigide, perché così, piroettando e ballando, non mostrassero le gambe! Luchino Visconti, nel 1961 venne denunziato perché Rocco e i suoi fratelli “turbava il comune sentimento della morale”. Nel 1962 Pasolini fu processato “per turpiloquio” del film Mamma Roma; e Alessandro Blasetti inquisito per il film Io amo tu ami. La giornata balorda di Mauro Bolognini fu sequestrata perché “poneva in eccessivo rilievo gli istinti erotici”. Il Pap’occhio di Arbore fu posto sotto sequestro nel 1980 e de L’ultimo tango a Parigi di Bertolucci si ordinò la distruzione dell’originale. L’avventura di Michelangelo Antonioni fu sequestrata per una appena accennata scena d’amore tra Ferzetti e la Vitti. La censura più incresciosa fu quella de La dolce vita di Fellini, film ritenuto dall’Osservatore Romano un “ostentato invito alla dissoluzione”. Sulla rivista Settimana del clero, il gesuita padre Trapani propose che venissero celebrate messe di espiazioni e di riparazione dei peccati commessi da quanti erano andati a vedere quel film. Solo nel 1994, Città Cattolica valutò La dolce vita film di testimonianza e non di “corruzione”.
Un incidente singolare fu sollevato nel 1958 da monsignor Fiordello, vescovo di Prato. Durante una funzione religiosa, inveì dal pulpito contro due giovani definendoli «pubblici peccatori» perché sposati col solo rito civile. Denunziato dalla coppia per diffamazione, il vescovo venne condannato dal tribunale di Firenze. Ma il caso sollevò un vespaio nella Curia romana, e nel processo d’appello, il prelato… fu assolto.
Il senso del pudore, come si può intuire, non è identico in tutte le epoche e in tutte le latitudini. Oggi molti atteggiamenti e manifestazioni che furono stigmatizzati come contrari al senso del pudore non sono più ritenuti riprovevoli. Ogni cultura elabora particolari aspetti del pudore, talvolta in netto contrasto con quelli di altre epoche e di altri popoli. Il pudore nasce anche dal particolare modo di considerare il corpo umano. Ciò comporta in qualche caso un controllo censorio sull’abbigliamento. Nella Bibbia, il Genesi attribuisce al pudore la primitiva spinta a coprirsi, e fa coincidere questo fatto col sorgere della nozione di Bene e di Male. In India invece nessuno si meraviglia se le donne espongono il seno, ma è sconveniente mostrare le gambe; in alcune tribù, le donne africane girano col viso coperto, mentre tutto il resto è esibito in maniera adamitica senza scandalo.
Il desiderio di piacere e di mettersi in luce crea l’esigenza di un vestiario adeguato a stimolare e attirare. Il modo di vestire esprime anche aspirazioni e tendenze, magari non percepite chiaramente dalla coscienza. Alcune persone indossano vestiti che modellano le forme del corpo o tendono ad avere sempre più parti del corpo scoperte. Spesso si tratta di nudità che contrastano col comune vecchio senso del pudore, e tendono a riaffermare lo spontaneo desiderio di piacere. La parità dei sessi ha prodotto il vestito unisex, ma sia le donne che gli uomini non vogliono perdere il loro ruolo erotico, e l’unisex così non è mai del tutto amorfo. Il vestiario è dunque usato anche come richiamo erotico: decolleté vertiginosi, gonne aderenti ai fianchi e al bacino, pantaloni stretti, notevoli scollature nelle camicie per mostrare petti maschili villosi, sono esibizioni per far risaltare l’appetibilità della condizione fisica. L’abbigliamento non conformista esprime atteggiamenti aperti e confidenziali, ma se sfoderato in maniera eccessiva può essere manifestazione di narcisismo.
Chi invece veste sempre in maniera rigidamente tradizionale potrebbe nascondere la paura di essere bersaglio di desideri. Infatti, quando si occultano esageratamente le proprie forme fisiche c’è da sospettare che vi siano notevoli conflitti interni.
Gli strali dei fanatici del senso del pudore si abbattono su atteggiamenti, gesti ed espressioni, ma anche su opere d’arte, manifestazioni teatrali e testi di vario genere. Imponendo una rigida censura i tormentati custodi della costumatezza cercano di attenuare qualsiasi segnale che possa apparire concupiscente. L’insistente però troppo sul senso del pudore finisce col far scattare l’interesse proprio su ciò che in apparenza si vuole nascondere, facendo così sospettare che i rigidi censori, polarizzando oltremisura l’attenzione sulla impudicizia, ne siano in qualche modo attratti, magari in maniera inconscia.
Single e divorzi sprint (43)
La maggior parte della gioventù ama metter su un ménage familiare a lungo termine e si prepara con zelo a fare il padre e la madre come si faceva una volta, mantenendo la propria unione al meglio e senza gettare la spugna ai primi intoppi.
Tuttavia non si può ignorare che vi è una tendenza, in molti, giovani e meno giovani, a restare single. Famosa la risposta che Alberto Sordi, grande amatore ma eterno scapolo,diede ad una giornalista che gli chiedeva perché non si fosse mai sposato: «E le pare che mi sarei messa una estranea in casa?». Altrettanto fulminante, come la sorniona Lalla Romano raccontò in seguito, fu la risposta della scrittrice al regista teatrale Guido Urbani quando costui le chiese di fare all’amore con lei: «Purché “dopo”, Guido, non mi chiedi di sposarti…»
Alcune persone, anche se legate affettuosamente al partner, preferiscono vivere in casa propria, con abitudini da celibe o da nubile, persino dopo sposati. La tendenza non è moderna: a metà del ‘900, gli attori Aroldo Tieri e Luciana Lojodice, vissero in case separate anche dopo le nozze. Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, legatissimi tra loro, abitarono appartamenti separati. Lo stesso fecero Spencer Tracy e Katerine Hampburn, Anna Magnani e Massimo Serrato, tanto per fare alcuni esempi.
L’identikit dello scapolo o della nubile ad ogni costo lo troviamo nel libro di Virginia Despentes, “Teen sprint”, che narra di adolescenti-adulti che si fanno accudire dalla famiglia e dalle fidanzate e non rinunziano allo status di single. Il tema è ripreso in “Il manuale del perfetto adolescente”, di Paula Guagliumi, autrice che, in “Scopami”, difende le tendenze di quei single che “non s’impegnano”. Significativo è anche il romanzo di India Knight, “Single senza pace”, che sottolinea le ambiguità di chi evita il matrimonio. Il cantautore Tom Wait in una canzone dichiara: “Non voglio crescere/ Non voglio fare un mutuo/ Non voglio innamorarmi, sposarmi e poi scoppiare”.
Il rifiuto delle responsabilità coniugali fu anche un atteggiamento alquanto consueto in passato (non vollero mai contrarre matrimonio Leonardo, Michelangelo, Baudelaire, Nietzsche, Montesquieu, Elisabetta I° d’Inghilterra, Cristina di Svezia, Emily e Anne Brontë, Olympe de Gouges famosa per la sua Dichiarazione dei diritti della donna, Jean Austen, tanto per fare alcuni esempi, ma la lista è lunghissima). Oggi inoltre vi è una vera e propria cultura del single. Come se non bastassero le collane di libri per i single, equivalenti della letteratura rosa che favoriva il sogno del matrimonio d’amore, ora pure il cinema esalta la vita da single.
E l’industria s’interessa sempre più a questa categoria così vasta di persone, diventata una forza economica. La produzione infatti non ignora più le esigenze dei single, e così si trovano molti prodotti in monodosi ad uso delle persone sole.
Vivere da soli a volte, forse, è quasi necessario: la scarsa occupazionalità e gli stipendi bassi non inducono a creare una famiglia; la mobilità del lavoro è pure un handicap: molti preferiscono restare single dovendo cambiare ripetutamente sede e attività. Molte donne sviate dagli impegni di lavoro non sentono più l’impellente bisogno di una famiglia; le manager, sopratutto, rifiutano il legame matrimoniale. Il diffuso bisogno, maschile e pure femminile, di non avere ingerenze nel privato e la sempre più frequente promiscuità sessuale non incentivano di certo i matrimoni.
Gli anglosassoni chiamano kidadults, e i francesi “adultescenti” gli adulti che si comportano da adolescenti, restii a far coppia fissa e che si crogiolano nell’essere single e «mai e poi mani» si farebbero “intrappolare”. La tendenza a rimanere single è attribuita anche all’utilizzo di Internet e della televisione. Secondo alcuni, molta gente, in comunicazione “virtuale” attraverso la rete telematica, non sente più il bisogno di una presenza reale al proprio fianco. Il sociologo Somersit Myers afferma: «La televisione tronca il contatto familiare. Spesso ogni membro del nucleo ha un televisore nella propria stanza ed è quasi indifferente avere una famiglia »
Analisi però troppo radicale e pessimista: infatti attorno al televisore spesso la famiglia si riunisce. Genitori e figli facendo il tifo per la squadra del cuore, o seguendo programmi a quiz, rinsaldano il legame emotivo intenso.
In quanto a Internet, se fa restare per ore “isolati”, tuttavia, chattando e incontrandosi in rete, molte persone comunicano più di quanto non facciano di presenza. Alcuni incontri telematici si tramutano in appuntamenti reali e sfociano in relazioni sentimentali. Le persone timide, favorite da un periodo di “conoscenza telematica”, alla fine si aprono con minor paura.
È probabile dunque che oggi si tenda a gestire in maniera diversa la propria vita. Si ha meno paura di ammettere i propri errori nella scelta del partner e di conseguenza si ha meno paura di “cambiare”. Motivo di tensione e di separazione è pure quando il matrimonio è ritenuto da uno dei due partner una conquista e dall’altro una sconfitta.
La quotidianità, insomma, non è più condotta con le antiche regole della convivenza familiare, quando, per esempio, si preferiva restare uniti in un matrimonio mal riuscito piuttosto che tornare “zitelle”, e quando gli uomini temevano di ridivenire “scapoli” perché non avevano imparato “nemmeno cucinare un uovo sodo”.
Tra i giovani che vogliono farsi una famiglia, alcuni di essi hanno però ritmi sbrigativi. Spesso fanno appena il tempo a dire “ti amo”, che qualche settimana dopo decidono di sposarsi, e così dopo un fugace approccio, si apprestano con superficialità alle nozze. In questi casi, trascorsi pochi anni, o addirittura mesi, appena le difficoltà appaiono all’orizzonte, è facile che si arrivi alla separazione o al divorzio. E ciò avviene spesso anche negli ambienti più “in”.
Claudia Pandolfi si è separata da Massimiliano Virgili dopo meno di due mesi di matrimonio. Nicolas Cage e Lisa Marie Presley si sono lasciati mesi dopo le nozze. Lo stesso tempo è durato il matrimonio tra Jennifer Lopez e Chris Judd.
Secondo l’Istat, nel 2000 la media globale dei matrimoni in Italia era di 13 anni. La quota è però ingannevole, perché è di molto alzata dai matrimoni di anziani con trenta anni di vita in comune! Negli Usa 47 coppie su 100, tra i 20 e i 30 anni, divorziano nel giro di due o tre anni. In Inghilterra il 32% dei coniugi si separa entro cinque anni. Statistiche più confortati in Spagna e in Germania, ove è solo il 20% che conclude il ménage nei primi 5 anni di matrimonio.
Il fatto più paradossale è che, a volte, nelle coppie che hanno convissuto per anni in buon accordo, passando al matrimonio, l’intesa viene meno, come se il vincolo impedisca la continuazione di buoni rapporti.
Il sociologo Ferrarotti afferma che le coppie giovani sono le più a rischio: vanno al matrimonio sognando una vita simile a un lungo viaggio di nozze, e così, alle prime incrinature, ritornano nella famiglia d’origine. In qualche caso i doveri matrimoniali, l’appartamento da gestire in tutto e per tutto, l’allevamento dei figli, il vincolo stesso, diventano un peso che arreca fastidio e intolleranza in quanti furono abituati dai genitori ad essere esentati da responsabilità e da obblighi familiari.
Dopo il fallimento della vita in coppia, non tutti i separati però rientrano nella famiglia d’origine; alcuni affittano un appartamento e vivono da scapoli o da nubili.
Ma i divorzi sprint non sono tipici solo di questa epoca. Giuseppe Garibaldi, centocinquanta anni addietro, dopo una fitta e ardente corrispondenza epistolare con la marchesina Giuseppina Raimondi, che fece salire la furia amatoria dell’eroe, fu indotto a fissare impetuosamente le nozze. Ma si trattò di una cerimonia “esplosiva”, in sintonia con le circostanze della vita del patriota. Infatti, celebrate le nozze, sul sagrato della chiesa qualcuno diede al generale un biglietto. Garibalidi lo lesse e sbiancò; dominando a stento la rabbia chiese a Giuseppina se era vero che fosse incinta, come riferiva la lettera. Colei che da pochi minuti era diventata la signora Garibaldi, arrossì.
L’Eroe allora gridò alla sposa: «Siete una puttana!» e la piantò sul sagrato.
Giuseppina era gravida (l’aveva inguaiata Luigi Caroli, un donnaiolo da strapazzo) e per “sanare” l’infortunio, i parenti della ragazza l’avevano spinta a sposare Garibaldi.
Insomma, anche in passato non mancavano motivi per divorzi sprint.
La coppia “anomala”
L’omosessualità ha radici profonde nella storia: esse risalgono alle origini della umanità.
Nel Parmenide, Platone, narra che i filosofi Zenon e Parmenide erano amanti. Quel legame non sollevava alcun pettegolezzo sicché i due filosofi, viaggiavano assieme e frequentavano gli ambienti intellettuali ove illustravano la filosofia. Il primo era allievo del secondo, e di conseguenza i due erano anche amanti.
Nel periodo della Roma classica era addirittura abitudine che i padri molto ricchi donassero ai propri figli ancora adolescenti “un efebo” (che di solito era un giovane schiavo) perché costui li facesse traghettare verso il rapporto sessuale e li abituasse a quella vita in due, che, in seguito, i nobili giovani romani avrebbero avuto con la donna che sarebbe stata la loro sposa legale.
Tra i due ragazzi, il nobile e lo schiavo, si instaurava quasi sempre un affetto “di coppia”, che induceva in seguito il giovane d’agiata famiglia a trattenere con sé, anche dopo l’avvenuto matrimonio, l’amico del cuore.
Ma non solo nel periodo romano si costituivano “coppie stabili di quel tipo”. Se è però vero che nessuna civiltà antica proibì l’omosessualità, tuttavia, in passato, a parte eccezioni, e tranne in alcune epoche definite (nel periodo della Grecia classica o come s’è visto della Roma dei Cesari) la relazione tra due individui dello stesso sesso veniva occultata in pubblico, e, in qualche caso, addirittura “negata” per evitare sanzioni sociali o penali.
Infatti, la coppia è stata sempre intesa come una unione più meno stabile di due partner di sesso diverso che vogliono procreare dei figli. Questo convincimento ha prodotto, dopo l’Età classica, una forte ostilità verso gli omosessuali sia da parte del Cristianesimo che dell’Impero di Bisanzio.
Inoltre, gli omosessuali erano aborriti per due ordini di motivi: da un lato erano considerati uomini deboli, persone di seconda categoria, (e tuttavia, per ironia della sorte, l’Impero Bizantino, venne piegato dall’orda turca che, per la maggior parte, era formata da nerboruti omosessuali!), dall’altro preoccupavano per la loro ferocia: infatti era pratica alquanto solita, per esempio, che i vincitori si accoppiassero con i perdenti per svilirli rendendoli pari alle donne e onorare così il dominio di chi aveva vinto su chi aveva perso la battaglia.
Questo portò a una drastica condanna verso l’omosessualità. Condanna che perdurò per molti secoli. Tuttavia, malgrado gli strali della censura, già in un passato non del tutto remoto si ha notizia di molte coppie anomali, spesso composte da personalità famose.
Agli inizi del Novecento, il cinquantenne scrittore statunitense Henry James s’innamorò del ventisettenne scultore vichingo Hendrik Chistian Andersen col quale convisse a lungo. James amò il giovane scultore, non solo perché era un bel giovane, ma anche perché aveva un carattere originale ed estroso. La loro fu una coppia molto stabile. Del poeta Arthur Rimbaud conosciamo la romantica fuga con l’amante, il poeta Paul Verlaine, ma anche le liti furibonde. Dello scrittore Giovanni Comisso il più grande amore fu il suo segretario, Gigetto Figallo col quale fece a lungo coppia.
Lo scrittore Henri de Montherlant fu legato da affettuosa amicizia a Roger Peyrefitte. Il giovane attore Mongomery Clift, fu per anni in copia con Kevin Mc Carthy, che egli chiamava “l’uomo della mia vita. Anche gli attori Gary Grant e Randy Scott hanno fatto coppia per molto tempo. Poi quando litigarono, Gary si mise con un altro attore, David Niven, col quale trascorse molti anni della sua vita. Un’altra relazione anomala fu quella che coinvolse, dopo la Prima guerra mondiale, la giovane poetessa moscovita Marina Cvetaeva con la scrittrice Natalja Gonciarova.
Lo scrittore Lawrence d’Arabia, il cui vero nome era Thomas Edward Lawrence, fece a lungo coppia col giovane efebico Dahoum, un arabo che seguì lo scrittore durante gli scavi di Karkemish.
Tutte queste relazioni furono più o meno occultate, perché, fino a qualche decennio addietro, era ancora “pericoloso” esporsi in questo senso.
Da qualche tempo a questa parte, invece, le unioni “atipiche”, quelle cioè formate da partner dello stesso sesso, sono addirittura tollerate e non sono più soggette a persecuzione. Esse hanno un riconoscimento tacito nella società e, in qualche nazione, persino una regolamentazione giuridica.
Da cosa dipende questo cambiamento ufficiale?
In primo luogo dal fatto che vi sono sempre più attori e rockstar gay che, oltre a fare audience, servono da modello. L’ambiguità sessuale diffusa sia nella moda che nei personaggi più trendy del mondo dello spettacolo ha un ineffabile fascino.
Un altro motivo per cui la coppia anomala è ormai accettata più o meno benevolmente è perché sempre più si sta in coppia non per creare una famiglia ma per altre ragioni, compensative, affettive o sessuali, e quindi sono venute meno le ragioni che in passato furono da ostacolo ad una “libera” unione tra persone dello stesso sesso, cioè il mettere su una prole. Per inciso, bisogna però segnalare che, paradossalmente, spesso le coppie omosessuali sentono il bisogno di allevare qualche bambino!
Ciò sottolinea la differenza tra la coppia stabile omosessuale e la pratica del libertinaggio omosessuale che si identifica nel continuo passare da un partner occasionale a un altro, con grave rischio di contrarre malattie, o di imbattersi in situazioni spiacevoli o pericolose.
Oggi la scelta omosessuale, maschile o femminile che sia, è sempre più diffusa e tollerata se si conclude in una coppia stabile. Per certe donne, soprattutto per quelle che vivono in un ambiente fortemente maschilista, scegliere di stare in una coppia omosessuale, serve a rinforzare la propria autostima e il proprio orgoglio “di appartenere” al sesso femminile. Alcune di esse spesso provano una miscela di sentimenti forti verso altre donne e ciò coinvolge anche la sfera erotica. Questo accade spesso quando sono rimaste deluse dagli uomini. Fatto che può rappresentare il primo passo verso la scoperta di una identità omosessuale.
E proprio per una risposta al maschilismo “oppressivo”, un crescente numero di donne dichiara la propria omosessualità.
In quanto ai maschi talvolta la scelta omosessuale serve a coprire difficoltà relazionali con l’altro sesso. Si tratta di un escamotage che serve loro ad evitare di trovarsi in condizioni di “perdenti”. Unendosi in coppia i maschi fanno barriera nei confronti della temuta femmina.
Secondo alcuni psicologi, far coppia “anomala” dipende anche dal fatto che per i partner l’ambiente omosessuale sarebbe più paritario, mentre quello eterosessuale risentirebbe di un certo grado di autoritarismo e di disuguaglianza nell’ambito della coppia.
Ciò indurrebbe gli individui più malsicuri che desiderano la “eguaglianza psicologica” tra partner, a scegliere il ménage omosessuale.
Spesso l’amore verso una persona dell’altro sesso è forte come quello eterosessuale e a volte induce al sacrificio.
Lo scrittore Jean Cocteau, durante il periodo dell’invasione nazista in Francia, salvò più volte con sprezzo del pericolo e persino della propria vita, il suo amato partner, l’attore Jean Marais, evitandogli di finire in carcere.
Dalla seconda metà del ‘900, si assiste ad un incremento sempre più “visibile” e “dichiarato” di unioni tra partner dello stesso sesso.
Oggi dunque, per chi è portato in questa direzione, non è più un problema formare una coppia “anomala”.
Sono infatti lontani i tempi in cui Radclyff Hall, nel suo Il pozzo della solitudine, denunciava l’angosciosa condizione delle donne omosessuali. E sono pure passati i tempi del Medioevo in cui gli omosessuali, dopo processi sommari, venivano legati assieme “come finocchi”, e fatti bruciati sul rogo.
Bisogna però evidenziare che la coppia “anomala” può soffrire delle stesse disfunzioni relazionali e affettive che si possono rilevare nelle unione eterosessuali.
In essa si sviluppano le medesime “strategie” di coppia” che a volte si mettono in evidenza in qualsiasi unione eterosessuale. Infatti presenta gelosie, ripicche, tradimenti, incomprensioni, senso di dipendenza, come nell’altro tipo di unioni.
Insomma “far coppia” con un partner dello stesso sesso è una scelta che inchioda, nel bene o nel male, più o meno nel medesimo quadro relazionale che si riscontra nei ménage eterosessuali.
Le donne e il matrimonio
Per secoli le figure della madre e della moglie hanno sminuito quella della nubile.
In passato, infatti, il rapporto numerico tra donne maritate e donne che non si accostavano al matrimonio era a favore delle prime con una percentuale che non lasciava dubbi sulla necessità che aveva la donna, se non voleva essere emarginata, di prendere marito. E tuttavia, paradossalmente, nemmeno dopo il matrimonio la donna poteva ritenersi del tutto affrancata dai tabù impostile dalla comunità.
In passato alla donna erano assegnati vincoli precisi: se era sterile non era molto presa in considerazione. Mancandole la funzione riproduttiva essa perdeva quasi tutto il suo valore. Ma a dire il vero, anche alla donna feconda era attribuita ben poca utilità.
Tommaso d’Aquino scriveva che la donna è necessaria in quanto principio passivo della generazione: “l’uomo è l’artigiano che fabbrica oggetti, la femmina fornisce solo la materia perché questi oggetti siano portati a termine”. Questa convinzione l’aveva ricavato da Aristotele il quale aveva sostenuto che “la generazione di una femmina dipende da una deficienza di virtù” e che “la nascita di una figlia è contraria alla finalità del seme paterno”. Per il filosofo greco, infatti, nella procreazione il maschio sarebbe il principio attivo e la femmina quello passivo. Il seme si svilupperebbe dunque, più o meno perfettamente, per diventare, nel primo caso un maschio e nel secondo una femmina.
Queste idee rimasero inalterate per molto tempo, e si rafforzarono nel Medioevo, nel ’500 e nel ‘600, fino ad esplodere nella caccia alle streghe.
Cos’erano le streghe nell’immaginario maschile se non donne sfuggite alla funzione più importante, la riproduzione? Non essendosi sposate e, non avendo, dunque, nessuna utilità sociale, si “dilettavano” a tormentare i maschi!
Venir fuori dai ruoli sociali prestabiliti, farsi un’opinione personale, passare dalla soggezione all’indipendenza, avere un lavoro al di là dei fornelli domestici, furono conquiste che in passato non tutte raggiunsero. Vi riuscirono maggiormente quelle che frequentavano gli ambienti artistici e intellettuali.
Nel ‘500 Gaspara Stampa, bella, istruita nelle lettere e con un grande talento musicale, si fece avanti “da sola” nel mondo dell’arte. Un secolo dopo, Artemisia Gentileschi intraprese con successo la carriera pittorica e non volle mai prendere marito. In passato, tuttavia, la maggior parte delle nubili non solo venivano emarginate, ma dipendevano dal padre, non avevano piena capacità giuridica e civile, restavano socialmente ai margini della struttura della comunità, erano esposte alle aggressioni dei maschi, erano considerate “moralmente” sospette.
Poiché alle single era dunque difficile ottenere una posizione socialmente rilevante, molte di esse, anche le più restie a soggiacere ai vincoli matrimoniali, per impostare la propria vita nell’ambito della cultura e dell’arte, per entrare in società, per acquisire diritti e gestire la propria libertà di pensiero e di azione, volendo insomma superare le barriere poste alle nubili, hanno preso marito e si sono fatte “scudo” del matrimonio.
George Sand, sebbene aspirasse ad una vita libera, fu grazie al matrimonio col barone Casimire Dudevant che poté, divenuta baronessa, farsi strada nella società.
Lo stesso accadde ad Alma Mahler, moglie del grande compositore, a Maria Sklodovska, moglie del fisico Pierre Curie, col quale conquistò il Nobel, a Frida Kalò, moglie del pittore Diego Rivera. Un caso emblematico è quello di Caroline Dorotea Albertine, una delle figure più significative del romanticismo, favorita nel suo ingresso tra i letterati prima dal matrimonio con lo scrittore W. A. Schlegel, e, poi, rimasta vedova, dal secondo matrimonio col filosofo Schelling. Anche Ann Radcliffe, famosa alla fine del ‘700 per i suoi romanzi del terrore, fu aiutata dal marito, che era editore.
Spesso, dunque, le donne che avrebbero voluto fare le artiste, le scienziate, le scrittrici, erano costrette a farsi sostenere da mariti famosi, per esprimersi nel campo dell’arte, della scienza, della musica e della letteratura. E tuttavia, è emozionante trovare nella storia donne che, malgrado per secoli le condizioni sociali fossero proibitive per le nubili, abbiano scelto intenzionalmente di non sposarsi pur mantenendo velleità sociali.
Parecchie di esse, pur rifiutando il tramite del matrimonio come mezzo d’ascesa sociale e lavorativo, sono diventate famose.
Molte le “nubili” letterate: nel ‘600, tra le altre, troviamo Mademoiselle de Gournay, Mademoiselle de Scudéry. Tra l’800 e il ‘900, Mary Baldwin Wollstonecraf, Luoise Weiss, nota per il suo Mémoies d’une Européenne; Simone Weill, Margherite Yurcenar, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Anaîs Nin, Doris Lessing.
Altre si sono distinte nel campo dell’imprenditoria, come Palma Bucarelli, direttrice per anni della Galleria d’Arte Moderna di Roma; come Luisa Monardi la prima donna che tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 mise su e diresse un’industria tessile e rifiutò sempre qualsiasi proposta di matrimonio.
«Come fai a tirare avanti da sola in questo lavoro, e come puoi gestire il rapporto con gli operai senza un marito che ti difenda?» le dicevano amici e parenti.
«Conoscendo le pretese degli uomini, temo che un marito mi intralcerebbe al punto che non potrei più dedicarmi a questo lavoro», rispondeva impassibile la Monardi.
In passato sono state molte le pittrici nubili. Ricordiamo, tra l’800 e il ‘900, le inglesi Diana Sperling e Mary Ellen Best; la statunitense Mary Cassatt che fece parte del gruppo di Degas. Berthe Morisot, nata a Bourges, la quale si stabilì nel 1852 a Parigi e dopo aver appreso l’arte del pennello da Guichard, fu allieva di Corot e di Manet, conquistandosi fama di esperta pittrice.
Altre nubili hanno operato con fervore nel campo socio-politico, come la rivoluzionaria russa Aleksandra Michajlovna Kollontaj, e la socialista jugoslava Ibrishima Sisoc-Bejic. L’impegno politico che la coinvolse sin da ragazza fece diventare l’ucraina Angelica Balabanoff “la pecora nera della famiglia”. Ella partecipò alla rivoluzione del 1905; poi nel 1912 si occupò dell’organizzazione dell’Avanti; e nel 1919 divenne segretaria dell’Internazionale comunista.
Nei primi del ‘900, la mondina Argentina Altobelli, che si definiva “nubile per vocazione”, diresse la prima organizzazione del lavoro delle raccoglitrici del riso.
Nel campo della scienza, Maria Montessori, prima donna laureata in Italia in medicina, è una delle tanti rappresentati di quel genere di donne che sono andate avanti nella vita senza essere sposate.
Ma i vecchi preconcetti furono duri a morire. Quando le donne cominciarono a frequentare le fabbriche, persino i sindacalisti non le protessero, vuoi per custodire i posti ai maschi, vuoi perché le ritenevano incapaci di fare il lavoro degli uomini.
Un tempo, infatti, voce comune era che esse dovevano restare a casa ad accudire i figli per non togliere lavoro ai maschi.
Fortunatamente, guadagnato il diritto alla parità, la donna non è più ritenuta utile solo se diventa madre. Le nubili, scartata l’idea del matrimonio e non vedendo la necessità di vivere all’ombra di esso, usufruiscono di una indipendenza esistenziale ragguardevole, pur non rinunziando all’amore e a rapporti sessuali.
Tuttavia, bisogna fare una distinzione tra “donne single” e “donne nubili”. Le prime sono quelle che, provato il rapporto matrimoniale, non lo hanno apprezzato; le seconde quelle che non lo hanno mai voluto sperimentare.
Queste ultime, anche in passato, e malgrado i pressanti tabù sociali, hanno dimostrato che è possibile farsi strada anche senza l’ausilio di un marito.
I preti e il celibato
Quando s’affronta questo argomento, viene subito alla memoria il cardinale Rodrigo Borgia ( salito poi sul trono di Pietro col nome di papa Alessandro VI) e i suoi figli più noti, Cesare e Lucrezia. Con ciò si pensa di circoscrivere in questi personaggi le irregolarità dell’ordine religioso. Tuttavia non sono solo nel casato dei Borgia le anomalie su questo argomento.
In origine il celibato degli ecclesiastici fu portato avanti da una ristretta cerchia, soprattutto da eremiti, e non fu una usanza generalizzata. Nei primi tre secoli dopo Cristo non furono contestati il matrimonio o la convivenze degli ecclesiastici con una donna. Le comunità sceglievano i loro pastori anche tra coloro che erano coniugati. “Che male c’è? diceva la gente, se pure Gesù Cristo elesse i suoi apostoli che si tenne in Spagna mise un freno ai matrimoni dei diaconi, dei preti e dei vescovi. Tuttavia, sino al XI secolo tale proibizione venne osservata solo da alcuni ecclesiastici.
La legge canonica sul celibato riguarda solo i sacerdoti cattolici apostolici della Chiesa d’Occidente. Luterani e Calvinisti ammettono invece il matrimonio degli ecclesiastici ritenendolo “utile” ai fini dell’equilibrio psicofisico dei loro pastori.
Le Chiese d’Oriente, cattoliche o ortodosse, fin dai tempi apostolici hanno lasciato libertà ai propri ministri. La tradizione orientale accetta sia i preti celibi che quelli sposati. La Chiesa Orientale Ortodossa col concilio di Costantonopoli del 690 riteneva valido il matrimonio se contratto prima di ricevere gli Ordini, ma dichiarava nulli tutti quelli contratti dai preti dopo l’ordinazione. Pratica che è rimata valida fino ad oggi.
Ma torniamo ai tempi antichi e facciamo qualche esempio.
Felice III, papa che proveniva dalla aristocrazia romana, e che pontificò dal 482 al 492, arrivò al soglio di Pietro che era già sposato e con una grande quantità di figli avuti dalla donna con la quale era regolarmente unito in matrimonio. Felice non ripudiò la moglie, ed ebbe altri pargoli mentre era papa. La cosa, essendo figlio di un prete, non gli sembrò affatto anomala. Egli sarà anche il bisnonno di Papa Gregorio I, Magno.
Un altro papa, Innocenzo I ( 384-399), era figlio di papa Anastasio I, che lo aveva preceduto sulla cattedra di S Pietro. Anastasio a sua volta era figlio di un prete.
Papa Bonifacio I (418-422) era figlio di un prelato noto a quel tempo, padre Secundio, che rappresentava il papato a Costantinopoli.
Ma non furono casi isolati.
Ricordiamo a caso altre vicende: il vescovo Adriano II era sposato con una certa Stefania, dalla quale ebbe diversi figli; il vescovo Arsenio era anch’egli sposato. I papi Martino II e Bonifacio VI erano figli di preti. Papa Ormisda ( 514-523) ebbe diversi figli; uno di essi divenne papa col nome di Silverio.
Papa Simmaco (494-514) visse con a fianco una bella fornaia romana che aveva un nome molto buffo: Conditaria. Papa Giovanni XI era figlio di Papa Sergio III. È noto anche che papa Innocenzo VIII (1484-1492) ebbe due figli, Teodorina e Franceschietto, verso i quali devolse sempre grandi premure.
Per l’attuazione delle istanze del Monachesimo e dell’ascetismo medievale, e per arrivare all’esperienza mistica che escludeva qualsiasi contaminazione materiale della carne e inneggiava ad una vita lontana dalle tentazioni e sprofondata nelle meditazioni, la premessa sostanziale era l’attuazione del celibato. Ma vi aderì una parte del clero.
Il problema del celibato dei preti si manifestò in maniera pressante nel disegno politico di Carlo Magno. Terre e principati ecclesiastici che veniva gestiti da vescovi, una volta morto il titolare, ritornavano all’imperatore il quale provvedeva a nominare un successore. Se però i vescovi avevano prole, essi dividevano il territorio loro assegnato dall’imperatore in tante contee e ducati quanti erano i figli, e quel territorio veniva perso per sempre dall’Impero di Carlo Magno. Era necessario dunque che i beneficiari delle elargizioni imperiali non avessero figli. Ma per avere dei vescovi celibi, era necessario un presbiterio di preti celibi, dai quali poter scegliere vescovi non sposati.
Perché si verificasse questa opportunità il re dei Franchi, e in seguito gli altri imperatori, appoggiarono con tenacia e veemenza il celibato degli ecclesiastici.
Nei Concili e nei Sinodi da quel periodo in poi, l’autorità imperiale sollecitò che fossero dettati comportamenti della vita sacerdotale e del clero diocesano, vertenti a far si che venisse rispettato il celibato.
Tuttavia una forte resistenza venne proprio dalle gerarchie ecclesiastiche infeudate e inglobate nella macchina statale dell’impero: i vescovi, non potendo avere figli legittimi non potevano avere una discendenza e pertanto non erano in grado di trasferire al proprio casato le terre ricevute dall’imperatore. Ciò li costringeva a “restituirle” allo Stato laico. Da qui la resistenza a sottomettersi al celibato.
Qualche secolo dopo il regno di Carlo Magno, a causa della continua violazione delle norme in materia di celibato “suggerite” nei vari Sinodi, la Chiesa di Roma, col Concilio Lateranense del 1123 alla fine vietò tassativamente il matrimonio degli ecclesiastici e, stabilendo che se era stato contratto prima dell’ordinazione, fosse dichiarato nullo.
Trattandosi però solo di una legge ecclesiastica, e non di un sacramento, la dispensa può essere gestita dai pontefici. È accaduto così, che in Africa, per esempio, negli ultimi decenni, molti preti cattolici hanno avuto l’autorizzazione a contrarre matrimonio, perché secondo alcuni popoli di quel Continente un uomo che non ha moglie non è degno di fede. Ciò metteva in imbarazzo i preti che portavano la evangelizzazione in quelle terre. La soluzione del problema nel senso della possibilità del matrimonio per i preti che operano in Africa, ha consentito una maggiore penetrazione del Cattolicesimo in quelle terre.
Ovviamente, in un sistema fortemente maschilista, queste eccezioni possono eventualmente essere applicate agli ecclesiastici maschi.
Nessuno si sognerebbe di portare avanti un simile discorso in favore delle suore, sebbene anch’esse sono soggette alle stesse necessità psico-fisiologiche che si riconoscono ai prelati.
E del resto anche nelle altre confessioni non apostoliche romane, quelle che ammettono i matrimoni degli ecclesiastici, le pastori “sposate” sono una esigua minoranza, e spesso non vista di buon occhio.
E se fosse una terapia antidepressiva?
Vi sono persone per le quali la sessualità è un problema. Sono quelle che subiscono in maniera oppressiva i divieti imposti dalla pressione sociale e dai tabù. Queste persone sono costrette a volte a dover fare i conti con malesseri psicosomatici, mal di testa, tachicardie, attacchi di panico, senso di soffocamento, bulimia o anoressia. Disturbi dovuti al conflitto tra bisogni naturali e tabù sociali.
Questi malesseri, osservati attraverso la filigrana dell’inconscio, rappresentano la punta di un iceberg secondo Sigmund Freud e altri studiosi. Sono disturbi che segnalano quando la personalità è avviluppata in angosce esistenziali, inestricabili e ineluttabili. Psicologi, psicanalisti, sessuologi e psichiatri ritengono che le somatizzazioni, cioè i disturbi psicofisici, rappresentano la metafora di inquietudini dovute a tabù per lo più di carattere sessuale.
L’antropologa Margaret Mead, osservò che: “le persone manipolate e condizionate nelle loro spontanee necessità naturali, vivono malinconiche”.
Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski affermò di non avere riscontrato forme di nevrastenia nei popoli primitivi che ignoravano quel tipo di repressione, mentre osservò stati patologici nelle regioni in cui l’istinto sessuale veniva considerato pulsione vergognosa. Questa osservazione è condivisa dall’antropologo e filosofo Ettore Brocca il quale constatò che quando la pudicizia occidentale impose agli Indi di versi e di astenersi da effusioni erotiche, quei popoli “innocenti”, una volta ricoperti di panni che impedivano la traspirazione in quelle terre calde e umide, ed obbligati a privarsi delle spontanee espansioni, finirono depressi.
Secondo il sociologo Jeremy Bentham la condotta umana è stimolata dal bisogno di raggiungere un appagamento psico-fisico. E John Stuart Mill, osservò che le persone soggiogate da condizionamenti sociali e da divieti morali, trascurando di soddisfare gli appetiti naturali, e vivono infelici. Ciò, afferma Freud, è causa di disturbi emotivi.
William Reich, psicoanalista assai apprezzato, scrisse: “Le elaborazioni mentali bloccate dai tabù, stimolano paure e depressione, impedendo così la fruizione della parte più piacevole della vita: star bene con l’altro sesso”
Già nel ‘500 Machiavelli sosteneva che: «Seduzioni e pulsioni rinvigoriscono e pongono le basi per una maniera gioiosa di vivere. Infatti bisogna indursi a pensare a cose piacevoli né so cosa che diletti più a pensarvi e a farlo che stare “in piacevole diletto”. E filosofi ogni uomo quanto e’ vuole, che questa è la pura verità, la quale molti intendono così ma pochi la dicano»
Per i sessuologi Masters e Johnson se si vuol descrivere e capire una personalità bisogna conoscerne il comportamento sessuale.
“Solo così si potrà avere la mappa completa del suo stato psichico”.
Anna Proclemer ha confessato in una intervista TV che il suo matrimonio con Vitaliano Brancati fu quasi “in bianco” perché il grande scrittore siciliano, pudibondo e condizionato dal perbenismo sociale dell’epoca, non riuscì a fruire serenamente l’intimità perché temeva qualsiasi libertà di effusioni con la moglie.
Questo tormentone personale e sociale lo si ritrova in molti suoi romanzi: “Paolo il caldo”, “Il bell’Antonio”, “Dongiovanni in Sicilia”, “Gli anni perduti”, nei quali la sessualità repressa gioca un ruolo determinante nel singolo e nella vita della società. A tal proposito, il filosofo Bertrand Russell giudicava infelice chi identifica il Bene con la rinuncia e con la paura dei tabù.
Il regista Luis Buňuel riteneva irrazionali certi tabù. In Il fascino segreto della borghesia mostrò come molti comportamenti sociali sono sei preconcetti. Beffeggiando i pregiudizi Buňuel in quel film racconta un mondo paradossale, in cui la gente quando mangia è costretta a nascondersi pudicamente, mentre le altre attività, tra cui quelle sessuali, non essendo ritenute indecenti da quella società descritta dalla fantasia del regista, le espleta in pubblico per non essere soggetta a critiche e punizioni. Insomma il regista ha inteso sottolineare che i tabù sono pericolosi punti di vista non sempre in linea con la ragionevolezza.
Honoré de Balzac non riteneva affatto sconveniente la pulsione erotica, mentre trovava depresse le persone che ne hanno paura. Balzac visse intriganti e vertiginose esperienze passionali, ritenendole necessarie sia per motivi fisiologici e “terapeutici”, ma anche per la sua attività intellettuale.
Affermava infatti che le varie relazioni gli avevano evitato la depressione.
Qualche critico malizioso e pudibondo insinuò che Honoré veicolasse tali convinzioni per giustificare il proprio libertinaggio.
Il contrasto tra condizionamenti sociali e bisogni privati era radicato anche nel poeta francese Jean de La Fontane. Egli, per non essere marchiato di immoralità, nascose le proprie inclinazione ai piaceri della vita. Solo dopo duecento anni dalla sua morte sono venuti in luce alcuni racconti erotici che La Fontaine scrisse e fece illustrare dal pittore e scultore Jean Honoré Fragonard, e che l’autore tenne sempre nel cassetto.
Arthur Schopenhauer, filosofo sussiegoso e cupo, è però autore di un libro che è tutto un programma: Metafisica dell’amore sessuale. Arthur, in privato, fino a settanta anni fu coinvolto da passioni erotiche. Egli s’invaghì di una giovane, la scultrice Elisabeth Ney, la quale lo frequentò per immortalarne l’effigie.
In seguito, affascinata dal pensiero e dalla personalità del filosofo, la giovane divenne l’amante del filosofo.
Quando il romanziere Heinrich Heine venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto alla tomba, gli si paralizzarono i muscoli facciali. A quel punto, Heine, tra il serio e il faceto lamentò: «Le mie labbra sono bloccate e purtroppo non posso più baciare una donna». Il suo stato d’animo era – disse- pieno di nostalgia e di rimpianto perché gli erano impedite la gioia, l’ebbrezza, le effusioni con l’altro sesso.
Eppure, malgrado tutto, pregiudizi e ipocrisie fanno dell’affaire più intimo un esecrabile tabù, appesantito da preconcetti e da proibizioni ritenute “salvifiche”. Ma non tutti ritengono positivi i divieti della società.
Maria Ricciardi Ruocco, docente di pedagogia al Magistero di Firenze, osserva che quando il sesso è ritenuto un peccato, la personalità manca della normale maturazione. Per l’inventore della bioetica, il sociologo H. Lowen nella nostra cultura troppe persone sono afflitte da sensi di vergogna e, di conseguenza, soffrono di depressione. «Quando la vita sensoriale è piena di conflitti – osservò Lowen – è improbabile che si riesca ad avere un approccio sereno e creativo. La depressione sottolinea la sconfitta della gioia e la paura del desiderio, entrambe associate a un sentimento d’imbarazzo».
Per il filosofo Diogene Laerzio fuggire da ciò che piace è ipocrisia. Diogene riteneva che chi si vergogna dei proprie passioni amorose vive con molta acredine. Lo scrittore torinese Pitrigrilli sosteneva che se si elimina il disagio della visione intransigente e puritana della vita, le effusioni diventano un antidepressivo.
L’amore è tutto quello di cui abbiamo bisogno, cantavano i Beathles.
D. H. Lawrence era convinto che innalzando tabù e barriere per evitare le passioni si diventa accidiosi e propensi alla discordia. L’autore inglese segnalava che: «chi fa serenamente l’amore, non ha “necessità” di fare la guerra»
Conclusioni
Può sembrare che le storie qui narrate tratteggino vicende vissute “sopra le righe”, esperienze fuori del comune; in altri termini che si tratti di ménage che nulla hanno a che vedere con la quotidianità.
Esse invece rappresentano alcuni tipi di rapporti tra l’uomo e la donna che la cultura ufficiale in materia di sessualità cerca di ignorare.
Infatti, l’immagine pubblica della coppia deve essere conformista, e tuttavia passioni vietate, erotismo in contrasto con il puritanesimo, voglie di piaceri raffinati e proibiti rappresentano il sottobosco di tanti ménage, che in apparenza e ipocritamente si mostrano conformisti. Al contrario, e anche questo è conformismo, molte coppie lasciano ad intendere chissà quale armonia sessuale, e invece, nell’abito di quel ménage i rapporti sono carenti o addirittura assenti.
Tutto questo ha creato un castello di ipocrisie, di pregiudizi, di falsità di luoghi comuni, di precetti che da un lato danno la convinzione che il sesso e la passione erotica siano indecenti, mettendo sotto processo questa esperienza centrale dell’animo umano, e procurando incubi a varie generazioni; dall’altro con altrettanta ipocrisia si dà per scontato che una “coppia regolare” abbia soddisfacenti rapporti sessuali.
Tanta ipocrisia spinge la gente a comportarsi con doppiezza; in apparenza in linea con i precetti, e di nascosto in maniera trasgressiva.
Ci sono però persone che per reazione e per sfida, non si piegano alle conformiste usanze socio-culturali e conducono una vita fuori dagli schemi. A volte arrivando anche ad eccessi, a comportamenti stranie controcorrente, ma questo è purtroppo il risultato della falsità e della insincerità in cui la gente è costretta a vivere.
I comportamenti sessuali si sono sviluppati in maniera equivoca a causa degli stereotipi di comportamento prescritti dalla società nei vari periodi storici, e ciò ha indotto alcune persone sfuggire l’eros come la peggiore delle calamità, e altre a fare del sesso una ossessione.
Una recente ricerca del sociologo Franco Garelli mostra che i giovani contemporanei mirano più al sesso che all’amore, pur continuando a credere a quest’ultimo come valore ideale. E se una metà del campione intervistato si è definita ‘fedele’, una buona parte ha affermato di ritenere logica una certa “flessibilità”; altri intervistati hanno dichiarato apertamente di non volere vincoli di fedeltà e di vedere il tradimento come un dato di fatto che non è possibile eliminare. Al tempo stesso i giovani hanno affermato di ritenere la sessualità il mezzo di comunicazione più idoneo per comprendere il partner, per migliorare la propria sensibilità umana e sociale nei confronti dell’altro sesso.
Aspetti contraddittori che aspettano di essere riconciliati da un’attenta opera educativa.
L’educazione sentimentale dovrebbe essere ispirata al buon senso e al rispetto della personalità. E non solo la famiglia ma anche la scuola dovrebbe offrire strutture valoriali e modelli di cultura per maturare. Purtroppo, spesso, in quest’opera educativa famiglia e scuola risultano inefficaci e carenti di incentivi.
Inoltre la società offre modelli di vita ambivalenti, specie per quanto riguarda le relazioni di coppia e familiari.
Va anzitutto ricordato che la crisi della coppia, e di conseguenza della famiglia, è legata a mutamenti notevoli, dovuti ai nuovi modelli che regolano la condotta sessuale, ma anche a un certo calo d’interesse per l’istituzione matrimoniale, ad un rinnovato anticonformismo instaurato in tutti i livelli sociali, alla maggiore libertà che le donne hanno raggiunto in molti campi.
Un mutamento profondo si è verificato nella cultura giovanile a proposito delle relazioni tra i sessi, per cui, se un tempo l’unica possibilità d’intraprendere una relazione con una donna era sposarla, oggi – con tante occasioni d’approccio – ricorrere al matrimonio è solo una della soluzioni del problema ma non certo l’unica, come un tempo.
L’emergere di una fascia sociale adolescenziale e giovanile sempre più protagonista della dinamica sociale e il diffuso riconoscimento della giovinezza non più come stato preparatorio dell’età adulta ma come stadio in sé completo dello sviluppo psicologico, stanno rivoluzionando le norme sociali, oggi stimolate continuamente da convinzioni e incitamenti derivanti dal mondo giovanile.
La maggiore apertura internazionale delle nuove generazioni, l’aumento sempre più consistente del loro peso politico ed economico sia nelle scelte di mercato come nello stile di vita, la distribuzione sul piano mondiale di intensi contatti tra i giovani – che, tramite internet o mediante un più diffuso turismo, si scambiano idee più velocemente di quanto non potevano fare le generazioni precedenti – ha contribuito ad accentuare le distanze tra le generazioni adulte e quelle dei giovani, i quali tendono a svincolarsi dalle tradizioni e spesso perdono la memoria del passato.
E così, poiché la cultura giovanile ormai da diversi decenni si va sempre più caratterizzando per la mancanza di pregiudizi, per l’abbandono dei luoghi comuni e delle consuetudini care alle generazioni precedenti, le nuove leve appaiono avverse ad ogni tipo di regola precostituita. E se un tempo erano gli intellettuali più “trasgressivi” e gli appartenenti ai movimenti estremisti che rompevano con le consuetudini dei padri, oggi l’anticonformismo è più generalizzato e il distacco dalle regole e valori non ritenute più valide diventa la maniera più efficace per infrangere il potere degli adulti legati al “ vecchio” passato. Questo cambiamento culturale, ormai abbastanza generalizzato in gran parte del mondo occidentale, ha portato al paradosso per cui da qualche tempo appaiono essere sempre più gli adulti a modellarsi sulle esperienze dei giovani.
Il sovvertimento è davvero inusuale: spesso sono le nuove generazioni a fare da modello alle vecchie nei modi di fare, nelle abitudini, nel sistema di lavoro e persino nel vestiario e nelle pratiche alimentari.
Le nuove ideologie hanno legittimato la famiglia con genitore singolo, sicché il ruolo del nucleo familiare e della parentela allargata è diminuito. Soprattutto le donne, alla ricerca di una maggiore autonomia, trovano sempre più insopportabile la subordinazione femminile tipica della famiglia tradizionale.
Ma il vecchio sistema, fino ad ora, solo in qualche caso è stato sostituito, e parzialmente, da altri modelli, anche perché nessuna di queste novità sociali è in grado di regolare, col medesimo affidamento che un tempo dava la famiglia, la vita privata e quella della coppia.
La rottura delle connessioni col passato è avvenuta in qualche caso anche in modo traumatico. Tuttavia, se da un lato alcuni vecchi modelli di comportamento sono stati stravolti, dall’altro l’inadeguatezza di certi nuovi principi, e le ripercussioni ambivalenti sul piano emotivo negli stessi giovani, hanno frenato il cambiamento delle precedenti regole e hanno lasciato in vita alcuni degli antichi privilegi.
Il cambiamento culturale, pur corrodendo la vecchia struttura familiare, non ha ancora portato ad una modalità adeguata da utilizzare – anche sul piano giuridico – per sostituire il precedente assetto del nucleo familiare.
La famiglia, pur in uno stato di contraddittorietà e ambivalenza, resta pertanto ancora parte essenziale del sistema sociale. Essa ha fornito, soprattutto in passato, le motivazioni e l’abitudine alla disciplina, alla obbedienza, all’assuefazione al lavoro e alle regole della sessualità, garantendo in cambio sicurezza agli individui e alla società.
L’insofferenza sempre più diffusa nelle giovani generazioni nei confronti della vecchia struttura, deriva dalla constatazione che ancora oggi essa, spesso, mantiene regole desuete per una società moderna, come il paternalismo, i rigorismi esagerati, i manierismi e una certa sessuofobia, che caratterizzavano l’ancien régime familiare ottocentesco e quello del primo Novecento.
Ma, se la contestazione delle regole precedenti è stata ovviamente la cosa più facile da attuare, più difficile è la ricostruzione di uno scenario sociale che contenga le libertà conquistate ma anche le sicurezze richieste dai singoli soggetti e dai gruppi sociali.
Conquistare questa integrazione tra antichi modelli e nuovi bisogni è la sfida che – specie per quanto riguarda la sessualità e la istituzione familiare – può essere vinta solo grazie ad una educazione che elimini ipocrisie e luoghi comuni, e sia sostenuta invece da un’intelligente crociata della ragionevolezza e dell’equilibrio emotivo.